SUSANNA GIOVANNI

SUSANNA GIOVANNI (? - 1431)

notaio

Immagine del soggetto

Ritratto ideale di Giovanni Susanna, XV secolo (coll. privata).

Figlio del cancelliere patriarcale Odorico, che aveva riordinato l’archivio di Marquardo nonché compilato il famoso inventario noto come il Thesaurus Ecclesiae Aquileiensis e che aveva tanto bene meritato presso la curia aquileiese e presso l’imperatore Carlo IV da essere nominato nel 1369 conte palatino, G. S. nacque a Udine intorno al 1352 nella vecchia casa di famiglia nel borgo Aquileia interno. Sulla scia del padre intraprese studi notarili che dovevano condurre pure lui alla carriera cancelleresca, iniziata sotto Giovanni di Moravia. Il primo documento ufficiale per ora noto dove egli si sottoscrisse come «publicus imperiali auctoritate notarius et patriarchalis cancellarius» risale al 14 giugno 1389, quando il parlamento della Patria del Friuli, riunito a Cividale, decretò la restituzione dei beni confiscati dagli ufficiali patriarcali. Fra il 1393 e il 1401 redasse gli atti di quattro sedute del consiglio del parlamento (tre a Cividale e una ad Aquileia). Un’interessante questione sul rapporto fra il potere del patriarca e quello del parlamento solleva un rogito del 14 novembre 1391, redatto in casa del canonico cividalese Bartolomeo da Sillavengo, dove si registra una richiesta avanzata a G. S. dal tolmezzino Giacomo di Paiso, il quale esigeva che il cancelliere pubblicasse la deliberazione consiliare nella quale lo stesso protestava per un furto perpetratogli in terra d’Alemagna. Il S. sostenne che sarebbe stato pronto a farlo in pubblica forma, purché glielo ordinasse il patriarca. ... leggi Gli fu ribattuto che la deliberazione era del parlamento, non del patriarca, e che quindi sarebbe stato suo dovere procedervi. Cosa che evidentemente il S. non fece, poiché il tolmezzino pregò il notaio Giacomo presente di stendere il rogito relativo a quanto espresso nell’incontro. Il documento finale non precisa se il S., conscio delle conseguenze della formalizzazione di tale atto, volesse evitare complicazioni al patriarca o se effettivamente non avesse ammesso la legittimità dell’intervento del tolmezzino in sede parlamentare. Ancora sotto Giovanni di Moravia redasse la relazione della seduta parlamentare del 13 gennaio 1393, nella quale si chiedeva che cessassero le vertenze e le discordie tanto criminali quanto civili sorte nei recenti conflitti. Nella primavera di quell’anno s’insediò il nuovo patriarca Antonio Caetani, al cui servizio il S. continuò a espletare la sua funzione. Infatti il 13 luglio con il titolo di cancelliere diramava da Gemona l’invito del patriarca alla rivista militare, secondo le decisioni del parlamento. Il Caetani valutò con realismo le possibilità che l’impiego del S. potevano offrire. Già con Marquardo, il padre di lui Odorico aveva intrapreso una sistematica raccolta di documenti nota col titolo di Thesauri claritas. Al successore Giovanni di Moravia aveva poi preparato l’Introitus Aquileiensis Ecclesiae, fondamentale schema dei capitaniati, delle gastaldie e dei vari uffici della mensa patriarcale con il relativo prezzo di vendita. Per il d’Alençon aveva scritto il Lucifer Aquileiensis. Il Caetani, che pur movendosi sulla scia di un riordino cominciato tanti anni prima, per l’efficienza e la chiarezza dell’amministrazione e del governo aveva mobilitato notai e cancellieri per poter disporre della documentazione dell’intero territorio. Aveva riscontrato varie resistenze tra i notai cui aveva affidato l’incarico di collazionare gli atti, tanto che nel 1398 dovette persino emanare un editto per la loro conservazione. Non si sottrasse però all’invito il S., che lavorava nella curia accanto a Francesco da Perugia, Enrico Praytenrewter e quel Giovanni che si definiva Teutonico. Con questi egli sottoscrisse diversi atti del Registrum litterarum del patriarca Caetani. G. S. portò a compimento il lavoro del padre nelle cinque copie ordinate, con l’esclusione del Lucifer (copiato più tardi da David Santo Felice). Nel privilegio del 15 giugno 1397 con il quale il patriarca Caetani premiava il S. con la concessione di una braida in Laipacco e ne comunicava notizia al capitolo di Aquileia, l’opera veniva complessivamente chiamata Thesauri claritas, come giustamente avrebbe riportato più di un secolo dopo il Belloni nella copia di sua proprietà. Il cancelliere, portavoce del patriarca anche presso la comunità di Udine, nel novembre 1399 chiedeva per lo stesso una scorta che lo accompagnasse ai bagni termali di Siena. Il consiglio in quella circostanza vi oppose un rifiuto e altrettanto fece il 3 dicembre 1400, quando il S., sempre a nome del Caetani, chiese al comune di Udine di apporre il sigillo a patti stabiliti fra i Tedeschi e le comunità feudali. Con l’avvento del patriarca Antonio Pancera il S. continuò la sua attività. Nel gennaio 1404, anzi, fu addirittura investito della funzione di giudice delegato a pronunciare la sentenza in una vertenza fra la pieve di S. Maria di Tricesimo e S. Daniele di Monastetto da una parte e Giusta vedova di Nicolino da Carnia, suo figlio e suo genero dall’altra, tenuti a pagare un affitto alle due chiese per un baiarzo sito in Monastetto. Si trattava senza dubbio di una questione di limitata importanza, ma è pur sempre singolare che una tale operazione fosse delegata a un cancelliere. Il fatto, che appare finora tipologicamente isolato nel contesto della biografia, sembra convalidare l’opinione che il S. godesse di grande stima nel suo ambiente. Fu senza dubbio il suo prestigio che suggerì qualche anno dopo (1419) ai canonici del capitolo di Aquileia di ricorrere a lui per compilare l’inventario del tesoro della loro cattedrale, con un documento scritto da Gioacchino di Pietro Merlato da Grado scolastico del capitolo stesso. Le turbolenze dell’estate 1410 non sembra che avessero intaccato la fedeltà del S. al suo signore Antonio Pancera, del quale era ancora considerato scriba e cancelliere. Così lo definiva Tommaso Ronconi redigendo l’istrumento con il quale il Susanna giurava al notaio Giovanni Missulini di aver pubblicato gli atti del defunto nipote Girolamo Brunacci scriba della comunità udinese, e nel contempo prometteva di presentare al Pancera o ai successori entro un mese dal giorno dell’eventuale conoscenza i documenti relativi alla Chiesa di Aquileia. A un parente cancelliere del patriarca, con una dichiarazione fatta alla presenza, tra gli altri, del dottore di diritto civile Andrea Monticoli e con un rogito di Giovanni Missulini, gli atti di un cancelliere del comune dovevano apparire sicuramente ben affidati. Risultava evidente l’intenzione del S. di continuare l’opera che Giovanni di Moravia aveva anni addietro commissionato e che si sarebbe conclusa con il Lucifer. Resta il dubbio se fosse questa solo una preoccupazione del vecchio cancelliere o se fosse invece rimasto in vigore il regolamento valido per tutti i notai del tempo, di segnalare atti significativi per lo stato. Ancora nel 1411 il Pancera inviava il S. presso Giovanni XXIII a Bologna per intercedere a suo favore e farlo desistere dal proposito di rimuoverlo dal patriarcato. Nel 1412, ormai sotto Ludovico di Teck, nei documenti ufficiali al suo nome si apponeva soltanto la qualifica di notaio. Dal rotolo di amministrazione personale tra i vari crediti di quell’anno si registra un suo prestito al neopatriarca per il tramite del suo canipario Elia di Giovanni di Tommaso. In tale registro infatti egli annotava le numerose entrate tra affitti e livelli in varie località del patriarcato, i numerosi prestiti e tutte le uscite, dai pagamenti degli orefici per i gioielli e l’argenteria di famiglia a quelli per i corredi delle ragazze di casa (figlia e nipote) o per i salari dei domestici teutonici che teneva con sé. Negli anni di tregua fra Sigismondo e la Repubblica Veneta lo si coglieva a Udine come testimonio a processi dibattuti sotto la loggia minore davanti al vicecapitano o a rogiti normali di colleghi notai. Sapeva evidentemente destreggiarsi con abilità tra le fazioni che laceravano la vita politica cittadina, tanto che al momento della resa a Venezia fu inserito nella legazione degli otto incaricati di trattare. Il titolo di conte palatino ereditato gli permetteva anche di creare notai, come Paolo di Gasparino Priori da Venzone il 15 maggio 1421. Per la sua cultura e la sua autorevolezza insieme con il dottor Giovanni Moisi nel 1423 fu incaricato di reperire un grammatico per le scuole di Udine. I due si recarono a Venezia, contattarono Giovanni da Amaro che insegnava colà e su sua indicazione si rivolsero a Padova ad Antonio Baratella e lo persuasero a venire a Udine. Il 6 agosto 1431, sei giorni prima di morire (12 giugno 1431), G. S. dettò un testamento dal quale si ricavano diversi elementi utili innanzi tutto per delineare relazioni da lui intrattenute con personaggi udinesi del tempo e interessi culturali da lui coltivati. Se ne deduce inoltre che libri suoi erano sparsi per il Friuli fra Udine e Gemona: Odorico, rettore di scuola in quest’ultima cittadina, tratteneva un suo Boezio con il commento del Travet; a Gemona ancora Antonio da Portogruaro custodiva tre opere sicuramente importanti per la sua professione: un Apparatum notularum, un Apparatum inditiorum e una Summa notarie; Giovanni da Clauiano, verosimilmente il notaio, aveva ricevuto un suo Valerio Massimo con commento e un suo Virgilio curiosamente, date le sue sostanze, in pegno per sei ducati. In tale documento non è ricordato invece il Lucano che egli nel 1403 aveva fatto copiare da Nicolò di Biagio per ventun soldi al quinterno.

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Bibliografia

ACU, Cod. 87; ACU, BINI, Documenta historica, XI, 20; ASU, NA, Tommaso Ronconi, 5150/6, f. 4.

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