GIOVANNI DI TOMMASO DA CLAUIANO

GIOVANNI DI TOMMASO DA CLAUIANO

notaio

Nulla finora si sa della famiglia d’origine del cancelliere della comunità udinese G. di T. da Clauiano, località alla cui chiesa per testamento egli destinava un piccolo lascito, pur essendo vissuto a lungo altrove. Sposò certa Dorotea che gli premorì, ragione per la quale egli passò a nuove nozze con Filippa di Pietro di Vanni. Il 7 gennaio 1407 all’elenco dei sette cancellieri scelti dai deputati “ad regimen” di Udine venne aggiunto ex novo il suo nome. Della sua attività come notaio sono rimasti atti dal 1406 al 1432 con ampie lacune. La più vistosa risulta quella dal 1413 al 1421, periodo nel quale a partire dal 29 settembre 1413 egli rivestì di nuovo la carica di cancelliere del comune affiancato da Tommaso Ronconi. G. fu con lui riconfermato regolarmente negli anni successivi costituendo elemento di continuità nella sua funzione fino agli inizi del dominio veneto. Si potrebbe così interpretare che i due fossero inseriti in un schieramento politico antisavorgnano specie al servizio del capitano per la redazione degli atti giudiziari, ufficio che il nostro personaggio realmente egli espletò “solliciter, diligenter, recte, fideliter et legaliter”, come detta il giuramento degli addetti a questa carica. Il cancelliere a questo punto fu impiegato anche in una funzione importante per tutta la Patria del Friuli: la redazione degli atti relativi ai saggi di moneta della zecca patriarcale allora attiva in Udine. Scritto in una grafia ordinatissima, il protocollo costituisce non solo la documentazione del singolo atto di saggio, ma nell’insieme lo specchio dell’economia dello stato al suo tramonto. Si ignora se fosse stato l’appaltatore Ambrogio Marchesini o piuttosto qualche potente fautore di Ludovico di Teck a sceglierlo, evidentemente accantonando altri notai che prima di lui avevano ricoperto lo stesso ufficio. ... leggi Come cancelliere della comunità, G. assistette registrandoli a eventi politici fondamentali di transizione tra il patriarcato, l’Impero e la Repubblica veneta. Il Suttina attribuì a lui o a Tommaso Ronconi la paternità di alcuni versi latini vergati negli Annales civitatis Utini in data 27 settembre 1414; ma non ne esiste notizia in fonti coeve. Che si trattasse di persona professionalmente preparata e colta è confermato dalla presenza di determinate opere nella sua biblioteca, di cui dà un’idea il suo testamento dettato il 20 novembre 1433. Essa comprendeva dodici opere, per un terzo di carattere giuridico. In particolare la Lectura magisteri Rolandini super summa notarie indica un preciso orientamento nella impostazione degli studi che, appunto secondo Rolandino Passeggeri da Padova, avrebbero dovuto coniugare l’arte notarile con la retorica. Ciò potrebbe forse autorizzare ad attribuire a Pietro Batteri l’Apparatus notularum con il quale si apre l’inventario, arricchito anche da una anonima Summa notarie (di Rolandino?) e dalle Constitutiones antique Patrie, la cui conoscenza era senz’altro obbligatoria per un cancelliere di comunità quale Udine. Altre opere erano di autori classici pagani (tragedie di Seneca, il De factis et dictis memorabilibus di Valerio Massimo, le Bucoliche di Virgilio, il De officiis di Cicerone, un Lucano incompleto e le Heroides di Ovidio), quasi tutte opere facilmente presenti nell’iter scolastico del trivio. L’ultimo codice era un Liber canthoris cum exquisitione. C’era anche una grammatica, la Summa cum regulis di Giovanni da Soncino, che il notaio destinava a Colussio figlio di Nicolò Serafino. Il Lucano e un Boezio egli lasciava ad Antonio figlio di Monte sarto da Pagnacco. Il suo interesse per i classici è confermato da una notizia del testamento di Giovanni Susanna registrato il 16 agosto 1431. Il collega vi sosteneva di avergli prestato un Valerio Massimo con commento e di avere presso di sé come pegno per sei ducati un Virgilio. S’ignora se quest’ultimo sia quello che, riscattato, ricompare nel testamento di G. Quest’ultimo, che abitava nella contrada di S. Pietro Martire, era sicuramente legato ai domenicani e intratteneva legami di parentela o di stretta amicizia con la famiglia di Federico Badalassio, come si desume dal fatto che egli ordinò di essere sepolto nel chiostro del convento nella tomba degli eredi del detto Federico. Con un lascito particolare avrebbe destinato la somma necessaria per costruire un altare dedicato a san Giovanni e a san Nicolò nella chiesa di quei frati. Speciale devozione alla Madonna dimostrava con legati per la fraterna di S. Maria della medesima chiesa e per quella dello stesso titolo di S. Maria di castello e S. Maria Maggiore della città. Non avendo poi potuto sciogliere il voto del pellegrinaggio al santuario di S. Nicola di Bari, ordinava ai curatori testamentari di provvedere a trovare e finanziare un suo sostituto. Aveva un amico nel prete Tommaso officiante in S. Maria Maggiore, il quale per tre ducati per un anno quotidianamente si sarebbe impegnato a recitare per lui i Sette salmi penitenziali con le litanie nonché a celebrare messe e uffici funebri. Nel 1434, l’anno successivo alla stesura del testamento, era certamente morto, in quanto Filippa, indicata come vedova, contraeva società di drapperia con Filippo di Pietro Vanni.

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Bibliografia

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