FORTUNATO II

FORTUNATO II (? - 826)

patriarca di Grado

La divisione del patriarcato di Aquileia (606/607) in due serie parallele, di Aquileia e di Grado, con motivazioni dapprima dottrinali (scisma dei Tre Capitoli) e poi anche politiche per il sopraggiungere dei Longobardi (ma alla base rimaneva forte l’attaccamento alla propria storia), persistette anche in età carolingia, quando era già avvenuta l’abiura (698) e quando però si inserì nel gioco l’autonomismo di Venezia, che voleva resistere all’ascesa della potenza e dell’autorità di Carlo Magno. Il patriarcato di Grado era stato inserito negli orizzonti veneziani al punto che il patriarca gradese Giovanni I venne assassinato nell’802 a Grado in quanto difensore della sua chiesa e della dignità patriarcale, offuscata dalla consacrazione a Venezia del vescovo di Olivolo, sostenuto invece da Costantinopoli. F., forse di origine triestina, ricevette il pallio il 23 marzo 803 per interessamento del duca Giovanni: la sua elezione però favorì non poco la fazione filofranca che si stava affermando a Grado, pur con molte resistenze, contro il filobizantinismo di Venezia. F. II (un Fortunato I era stato patriarca di Grado per pochi mesi tra il 627 e il 628 ma era passato presto nel partito tricapitolino ad Aquileia e più precisamente a Cormons), ambizioso e spregiudicato, fu pronto a difendere la sua chiesa, nella scia dell’infelice predecessore Giovanni (che era suo zio), ma ancor più disinvolto negli orientamenti politici. Essendo partito da ligio esecutore dei piani di Carlo Magno, sconfinò nel tradimento, soggiornando a Salz, ma anche in Germania, e infine rifugiandosi in Istria (Pola) e addirittura a Costantinopoli, prima di ritornare in Francia nel “suo” monastero di Moyenmoûtier e morirvi forse il 26 febbraio 826. La sua figura, illustrata negli Annales di Eginardo e nella Cronica di Andrea Dandolo, concorre a illustrare la storia di Venezia, dell’Istria e anzitutto di Grado e di Aquileia. ... leggi Pochi mesi dopo la sua elezione, avendo partecipato a una congiura contro il tribuno di Malamocco, Obelerio, dovette rifugiarsi presso Carlo Magno a cui portò da Grado oreficerie, ricche stoffe e due battenti in avorio intagliato. L’imperatore gli rilasciò due diplomi (13 agosto 803) che gli confermavano i beni della chiesa di Grado e la sua autorità sulle chiese istriane (è chiamato «Venetiarum et Histriensium patriarcha»), ma anche privilegi nei commerci marittimi e appunto l’abbazia di Moyenmoûtier. Le gelosie da lui suscitate nella corte lo obbligarono però a partirsene. Nell’804 era al Risano, non lontano da Capodistria, dove si tenne un placito, di emanazione franca, in cui si ascoltarono lamentele di città e di castelli per i gravami ecclesiastici: F. vi svolse un’azione mediatrice. Nell’805 era ad Aquisgrana, propugnatore del passaggio della Venezia marittima e della Dalmazia dall’area bizantina a quella franca: per reazione di Venezia fece occupare il posto di antipatriarca di Grado al diacono Giovanni di Olivolo, che si firmò quale «Iohannes iunior» nell’architrave della cappella gradese di S. Marco, dove ricorre per la prima volta nell’alto Adriatico il nome dell’Evangelista (807-810), prima dunque che Venezia lo trasformasse nel suo patrono. In quegli anni F., esule «propter persecutionem Grecorum seu Veneticorum», soggiorna a Pola col permesso di Leone III (che però disapprovò il comportamento di F., giudicato indegno d’un arcivescovo) e per interessamento di Carlo Magno, che lo favoriva in tutti i modi: Grado nel testamento di Carlo compare quale sede metropolitica dell’impero. Dopo la pace di Aquisgrana (810-814), riconosciuta l’autorità bizantina sul ducato, F. risiedette nuovamente a Grado e allora, anche con l’autorizzazione del doge Angelo Particiaco, si dedicò a un’intensa attività architettonica e artistica in favore della sua sede: si riconoscono lavori condotti in molti luoghi e anzitutto nella basilica di S. Giovanni Evangelista (nell’odierna Piazza della Corte) per cui egli fece «venire magistros de Francia», più dal continente che dalla Francia in senso proprio o dalla Lombardia. Lavori furono compiuti anche nel monastero di Barbana e soprattutto nella cappella di S. Marco, annessa a S. Eufemia, dov’era stato sepolto il predecessore Giovanni, con un intervento anche di Giovanni “iunior”. Gli elementi carolingi, ispirati a una rinascenza classicheggiante e confondibili con eleganti soluzioni bizantine, caratterizzano, ad esempio, i cibori di quel tempo che sono conservati in S. Maria. Un ricco “memoriale” fu redatto dallo stesso F.: è quel Testamento, documento molto prezioso da tanti punti di vista, che fu redatto alla corte di Ludovico il Pio anche con la speranza di rientrare ancora una volta a Grado. Nell’821 F. doveva nuovamente presentarsi alla corte franca, inseguito da accuse circa sollevazioni che sarebbero state da lui fomentate in Pannonia (duca Liudewit): fingendo di partire per la Francia, F. s’imbarcò per Zara da dove fu obbligato a trasferirsi a Costantinopoli per rimanervi fino all’824. Soltanto dopo ritornò alla corte di Ludovico il Pio, assieme con i legati che dovevano giustificarlo; sarebbe invece dovuto sottoporsi al giudizio del papa, cosa che non avvenne perché durante il viaggio egli morì a Moyenmoûtier. Negli ultimi anni dell’episcopato di F. fu agitata la lunga questione della legittimità della sede e del patriarcato di Grado e specialmente della giurisdizione metropolitica che veniva esercitata in Istria: la causa, di per sé perduta per Grado, venne difesa dal successore Venerio e discussa nel sinodo di Mantova dell’827, dove si impose l’autorità di Massenzio, patriarca di Aquileia, il che non significò tuttavia l’estinzione del patriarcato di Grado né la perdita di giurisdizione: erano ormai troppo forti gli interessi di Venezia.

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Bibliografia

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