VARI FRANCESCO

VARI FRANCESCO (? - 1436)

notaio, copista

Immagine del soggetto

Segno di tabellionato e sottoscrizione di Francesco Vari, cancelliere a Spilimbergo.

Del notaio F. V. (a Varis, de Varis, Vai) di Ermacora «pellicciaio» si ha notizia per la prima volta nel 1422, quando risultava abitare e rogare a Cividale. Nella città egli era presente già dal 1416, anno in cui vi si era trasferito con il padre e aveva aperto una scuola privata per alcuni scolari. L’ambiente cividalese, nonostante la congiuntura drammatica che caratterizzò i primi decenni del secolo, era fecondo. Vi si ravvisava infatti una sottile trama di rapporti con la cultura umanistica, grazie anche al passaggio, in occasione dello sfortunato concilio del 1409 promosso con Gregorio XII, della curia papale e alla presenza in loco di personalità di spicco. Tra questi il cividalese Nicolò Rugi, entrato al servizio della curia papale verso la fine del pontificato di Bonifacio IX, e Nicolò da Portogruaro, dottore in diritto canonico nel 1399, professore all’Ateneo di Padova e vicario generale del vescovo Stefano da Carrara. Entrambi erano stati presenti al concilio del 1409 e Nicolò da Portogruaro aveva ottenuto da papa Gregorio XII il decanato. Lo troviamo presente quindi e partecipe alla scena politica friulana, nel delicato passaggio alla Repubblica Veneta (sarebbe stato nella commissione per la riforma delle costituzioni friulane), uomo di governo, ma anche studioso e professore di diritto presso lo stesso studio cividalese. Proprio del Portogruarese il V. divenne segretario e copista, trasferendosi presto, per maggiore comodità, nella dimora del decano. Tenne la contabilità e copiò i Consilia editi tra il 1416 e il 1425, anno in cui la morte colse Nicolò da Portogruaro nel pieno di una attiva partecipazione alla riorganizzazione della Patria del Friuli. ... leggi Sfumarono così anche per il notaio le speranze di un futuro impiego come cancelliere presso la curia romana. In una nota redatta per gli eredi poco dopo la morte del decano, F. V. ripercorse la propria attività, ricordando i diciotto mesi di studio presso l’Ateneo patavino, ed elencando nove volumi copiati presso il decano, tra i quali le Epistole di Cicerone e opere di Francesco Barbaro e Leonardo Bruni, tracce dello scambio mantenuto dall’ecclesiastico con i circoli umanistici, divenendo lui stesso copista. Da Cividale il V. si trasferì probabilmente a Spilimbergo, dove si trovava dal 30 dicembre 1427 al primo ottobre 1428; l’8 febbraio e il 3 giugno è attestata la presenza in casa sua anche del fratello Giovanni, egli stesso notaio. Non si hanno notizie dal 1428 al 1430, ma l’8 marzo del 1430 comparve a Udine, significativamente, nella spezieria di ser Costantino Giuseppe da Verona, parente di Guarino e suocero del grammatico Giovanni da Spilimbergo. Non pare casuale neppure il fatto che l’approdo nel capoluogo coincida con l’inizio dell’attività di cancelliere del luogotenente Leonardo Giustinian, presenza fervida dal gennaio 1432 al gennaio 1433, attraverso i cui contatti pare veicolata la partecipazione di Udine al rinnovamento culturale che irradiava dai due poli di Padova e Venezia (a Udine insegnava grammatica un importante autore dell’umanesimo veneto, Damiano da Pola, sostituito poi da Giovanni da Spilimbergo, considerato fautore dell’infiltrazione dell’umanesimo nell’entroterra veneto. È anche attraverso questi elementi, affioranti tra le carte del V. (i cui atti costituiscono una fonte preziosa per lo studio dei fatti e dei personaggi della cultura di Udine, in particolare nell’anno 1432, quando i suoi rogiti sono i più numerosi), che si delinea il clima culturale della città friulana negli anni Trenta del Quattrocento. Il V. si inserì inoltre tra i nomi ai quali si fanno risalire le spie, irrelate e «renitenti a disporsi in sistema», dei «versi italianeggianti» tra Tre e Quattrocento. «Quanto più mi credea esser beato» è l’incipit di un madrigale, nei toni del lamento d’amore, conservato tra i processi del notaio, nell’anno 1430 per la cui paternità Pellegrini avanza però dubbi: non certissima l’identità della mano, e «si tratta comunque di uno spazio bianco riempito in un secondo tempo». Altri due componimenti sarebbero emersi dalle carte del fratello. All’inizio della luogotenenza del Giustinian, il V. stava uscendo da una malattia, riprese il servizio di cancelliere il 22 gennaio 1432, dedicandosi anche alla libera professione. Di nuovo per motivi di salute le udienze furono sospese nel febbraio dello stesso anno. Come cancelliere è ricordato fino al 21 agosto 1436. La menzione della malattia nei mesi precedenti fa pensare che la morte lo abbia colto poco dopo, tra la fine di agosto e il 5 ottobre 1436, data in cui le abbreviature del defunto furono consegnate al fratello Giovanni.

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Bibliografia

ASU, NA, Francesco Vari, 5188; mss BCU, Joppi, 231 (trascrizione del testo poetico); Ibid., Principale, 3849, G. B. della Porta, Index notariorum Patriae Fori Iulii, sub voce.

A. BATTISTELLA, La servitù di masnada in Friuli, «Nuovo Archivio Veneto», n.s., 12 (1906), 177; D. CADORESI, Letteratura italiana in Friuli, in EMFVG, Aggiornamenti 2, 1985, 16; G.B. DELLA PORTA, Index alphabeticus notariorum patriae Foriulii, Udine 1931, ms., II, s.v.; F. FATTORELLO, Storia della letteratura italiana e della cultura nel Friuli, Udine, La Rivista letteraria, 1929, 37; V. MASUTTI, Incontri udinesi tra ‘otia’ e ‘negotia’ del luogotenente Leonardo Giustinian, «MSF», 65 (1985), 118-119, 123-124; PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura, 79-81; SCALON, Libri, 74-77; ID., Produzione, 78, 80, 100, 107, 125, ni 198, 200, 223, 229; SOMEDA DE MARCO P., Notariato, 37-57; L. SUTTINA, Voci e lamenti d’amore dei secoli XIV e XV da carte notarili udinesi, «MSF», 10 (1914), 83-85.

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