PALMA IL GIOVANE

PALMA IL GIOVANE (1548 - 1628)

pittore

Immagine del soggetto

'Dedizione di Udine a Venezia', particolare della tela di Palma il Giovane con piazza Contarena e il Castello, 1595 (Udine, Civici musei).

Iacopo Negretti, detto P. il Giovane (Venezia 15481628), pittore e incisore, pronipote di Iacopo Negretti detto Palma il Vecchio e figlio del mediocre pittore Antonio Palma, dopo un’iniziale formazione nella bottega paterna, appena ventenne fu al servizio di Guidobaldo II della Rovere a Urbino per il quale eseguì copie di dipinti di Raffaello e di Tiziano; dallo stesso fu mandato a Roma dove poté accostarsi all’arte di Michelangelo e Raffaello, studiarne gli affreschi e frequentare gli ambienti manieristici romani. Conobbe anche, tra Urbino e Roma, le opere del Barocci che lo avrebbero in seguito non poco condizionato. Ritornò poi a Venezia dove nel 1570 entrò nella bottega di Tiziano e, dopo la morte del maestro (1576), ne condusse a termine il celebre quadro con la Pietà oggi esposto alle Gallerie dell’Accademia della città. Qualche mese prima aveva anche ricevuto la sua prima commissione pubblica: per tale motivo alcuni studiosi fanno coincidere con quell’anno l’inizio del Seicento veneto. Dotato di un’incredibile scioltezza nel dipingere, il P. mostra nelle centinaia di tele che di lui si conoscono, piacevoli a vedersi per l’ottimo chiaroscuro, per la felice distribuzione dei volumi, per l’abilità ritrattistica – ma prive di profonde implicazioni sociali o filosofiche o teologiche – vicinanza sia alla poetica del Tiziano che a quella del Tintoretto, non disgiunta talvolta da una grandiosità di sapore romano. Personalità di spicco tra quelle della giovane generazione che raccolse l’eredità dei grandi maestri veneziani del Cinquecento, come già ricorda Marco Boschini nelle Ricche minere del 1674, P. è presente con numerosi dipinti in Friuli a partire dal 1583, quando portò a termine per la chiesa di Tricesimo una Presentazione al Tempio di grande effetto per il deciso impianto scenografico ed il ricco impasto cromatico, fino al 1624, quando firmò per la parrocchiale di Pontebba una modesta pala con la Vergine e i santi che evidenzia l’ormai esausta vena creativa. ... leggi Tra i vari dipinti “friulani” (una ventina circa), particolare significato riveste il quadrone di maniera del 1595 commissionatogli dalla comunità di Udine – che in passato per quadri del genere si era affidata a Pomponio Amalteo, Francesco Floreani e Alessandro Spilimbergo –, raffigurante la Vergine con il Bambino attorniata da angeli con il santo aquileiese Ermacora in piedi e san Marco inginocchiato reggente in mano il vessillo di Udine, a simboleggiare la Dedizione di Udine a Venezia, per eseguire il quale il pittore, come ricordano gli atti cittadini, si era «personalmente trasferito in queste parti». Esposto nella sala del consiglio (oggi presso i Musei civici udinesi), ammirato per la felice distribuzione dei volumi, per l’abilità ritrattistica e i corretti rapporti chiaroscurali, per l’intenso e gradevole gioco coloristico, dovette suscitare non poco interesse nell’ambiente artistico udinese. La bella veduta della piazza Contarena con i maggiori monumenti e del castello che si apre sulla parte sinistra del quadro, è indice di puntuale attenzione per l’ambiente e per la realtà locale, la stessa che ritorna nella pala del Redentore del 1607 in S. Pietro di Volti a Cividale, allusiva alla peste che dieci anni prima aveva mietuto numerose vittime in città, con la poetica, ma veritiera, descrizione del Ponte del Diavolo che scavalca il Natisone sullo sfondo, alla cui leggendaria intitolazione richiamano le due figurine sul greto del torrente. Di notevole fattura sono altre due tele eseguite per Cividale del Friuli, l’Ultima Cena e la Lapidazione di S. Stefano, entrambe del 1606, nel duomo, e la Deposizione del Monte di pietà di Udine, che de Rubeis e Faccioli, che per primi la ricordano alla fine del Settecento, dicono collocata a mo’ di pala dietro l’altare della cappella di S. Maria del Monte dove rimase per tutto l’Ottocento e per buona parte del Novecento. È una delle numerose Deposizioni o Compianti sul Cristo morto o Pietà dipinte dall’infaticabile pittore veneziano ed è databile al 1620. È un dipinto di forte suggestione ed emotività con una attenta e severa impaginazione che colloca le figure entro linee di lettura oblique e fratte e trova nel corpo abbandonato del Cristo il punto focale. I colori del piano di fondo e dei personaggi entrano in contrapposizione dialettica e chiaroscurale con gli improvvisi colpi di luce che animano la scena. Bello lo squarcio azzurro del cielo in alto a sinistra, belli i guizzi cromatici che evidenziano a tratti il corpo del Cristo, un volto o una mano degli astanti, o le bionde chiome della Maddalena. Il compatto, serrato gruppo di persone raramente trova l’uguale nell’opera di P., solitamente più largo e arioso nella distribuzione dei volumi, anche per l’uso di inserti paesaggistici di rara bellezza. Il pittore veneziano incise profondamente sulla cultura locale: alla sua maniera, facile e corsiva, guardarono infatti numerosi artisti friulani dando luogo ad una vasta produzione di opere di carattere sacro che vanno spesso sotto il nome del maestro.

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Bibliografia

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