MAINERIO GIORGIO

MAINERIO GIORGIO (1525 - 1582)

ecclesiastico, musicista

Nulla è noto di G. M., prete, musicista e compositore, prima del 2 settembre 1560, quando si presentò in duomo a Udine e ottenne in beneficio la cappella di S. Orsola. La sua origine parmense (è probabile appartenesse alla locale famiglia borghese dei Maineri, mentre non sono dimostrati legami con l’omonima famiglia cremonese che pure vantava diversi musicisti in quegli anni), viene ribadita continuamente nei documenti udinesi, ma la data di nascita rimane sconosciuta e solo congetturalmente viene collocata intorno al 1535 in considerazione del fatto che quando comparve a Udine era già prete. Non era il primo prete di Parma a giungere in città; già da vent’anni, ad esempio, serviva in duomo un suo concittadino, tal pre A. Vallara e altri con una ricerca sistematica si potrebbero forse trovare. G. Pressacco, che più volte ha rivolto la sua attenzione sul M., tentò qualche decennio fa di colmare in parte il vuoto precedente il 1560, proponendo di identificarlo con un organista, nato a Parma da padre scozzese, ma attivo a Gorizia dal 1547 al 1555 circa, nominato senza rivelarne l’identità perché «sospetto in linea politico-militare» in un rapporto inviato intorno al 1555 ai commissari imperiali di guerra in Friuli. L’ipotesi, pur suggestiva, non appare molto convincente innanzi tutto perché nel documento si dice che questo valente musicista, in grado di suonare anche strumenti a corda, è sposato ed ha un figlio, poi perché non si capisce come mai, se ammettiamo che sia il M., dal 1560 in poi questa abilità organistica non è stata più messa a frutto o palesata nelle istituzioni in cui si trovò ad operare che pure di simili abilità avevano bisogno (e M. si rivelò invece sempre molto attento alle occasioni per far guadagno). Altro ostacolo a questa proposta identificativa, e si potrebbe continuare nell’elencazione, viene dalla testimonianza di un canonico udinese, resa nel gennaio del 1564 al tribunale dell’Inquisizione, secondo la quale il M. «era partito della sua terra [Parma] a posta per venir a servire questo reverendo capitolo et poi non li havevano vosto dar la mansionaria et che era in perdita de incirca de cento ducati per tal fatto». Sempre Pressacco in un altro suo scritto aveva ipotizzato che il M. potesse essere figlio di un «cancelliero parmesano» imprigionato a Venezia per eresia e feritosi al collo in carcere con un temperino per fuggire. ... leggi Tale cancelliere intorno al 1555 aveva preso stanza a Udine ed aveva collocato nel celebre monastero delle clarisse di Udine una figlia, suor Artemisia, alla quale nel 1590 fu addossata la responsabilità degli inizi di tante deviazioni morali e dottrinali in S. Chiara. Anche in questo caso mancano comunque riscontri sufficientemente probanti e non resta che ripartire dal 1560. Insediatosi come cappellano nel settembre di quell’anno, G. M. concorse senza successo ad una mansioneria il 20 novembre seguente; nel luglio del 1563 tentò nuovamente di ottenerne una, grazie a un maneggio privato con Giovan Battista Nascimbeni (disposto a cedergli la sua direttamente, scavalcando le normali procedure, non appena ottenuto un canonicato ad Aquileia), ma nella seduta dell’8 luglio 1563, il capitolo udinese decise diversamente. Il M. dovette accontentarsi di ottenere, il 29 dicembre dello stesso anno, la nomina a mansionario soprannumerario, ossia senza prebenda, con diritto di investitura al primo posto vacante. Tra il 30 dicembre 1563 e il 14 gennaio 1564, essendo stato accusato presso il vicario patriarcale di aver commesso non meglio specificati «opprobriosa et nephanda crimina contra honorem Dei omnipotentis», fu sottoposto a processo dall’Inquisizione, ma non ebbe conseguenze («ad ulteriora non proceditur»). Forse era vittima di calunnie nate nell’ambiente del capitolo udinese, dal momento che gli stessi testimoni, appartenenti al clero locale, si dimostrarono restii a presentarsi all’inquisitore o addirittura reticenti. Il sopralluogo effettuato in casa sua durante il processo ci permette di conoscere la sua bibliotechina, composta di diciassette libri, e rivela i suoi interessi culturali per letteratura e musica (Petrarca, Ariosto, C. Janequin, V. Lusitano, due libri di intavolature per liuto) oltre a medicina, chirurgia, astronomia, astrologia, chiromanzia e nomandia (di queste ultime discipline possedeva manuali pratici allora fortunatissimi e assai diffusi, anche se non sempre perfettamente ortodossi). Nell’inventario non risultano comunque libri di negromanzia come sinora è stato scritto, anche con troppa enfasi, basandosi su una cattiva lettura di un passo slavato, bensì di nomandia; inoltre l’«Erasto» più che una copia manoscritta della Explicatio gravissimae quaestionis […], dell’eterodosso tedesco Thomas Lieber, definita da Pressacco «presenza altamente significativa» tra i libri del M., molto più semplicemente, senza scomodare Lieber, deve essere stato una copia di Erasto doppo molti secoli ritornato al fine in luce (edito a Venezia numerose volte a partire dal 1550 anche con il titolo I compassionevoli avvenimenti di Erasto) testo narrativo di origine orientale che racconta le avventurose vicende del figlio dell’imperatore Diocleziano (ancor oggi diversi testimoni di questo libro si conservano nelle biblioteche ecclesiastiche udinesi, con note di possesso rinvianti a canonici e mansionari del luogo). Superato indenne il processo, il 3 dicembre 1565 ottenne la tanto sospirata mansioneria che tuttavia lasciò ai primi di aprile del 1570, dopo essersi garantito una sistemazione migliore. Nei dieci anni trascorsi in Udine sicuramente il M. aveva avuto modo di completare la sua formazione musicale (sostanzialmente amatoriale, stando a quanto da lui stesso affermato nella dedicatoria dei suoi Magnificat) a stretto contatto con i maestri di cappella Gabriele Martinengo (1561-66), Domenico Micheli (1567, per pochi mesi) e Ippolito Chamaterò (1567-70), espletando gli obblighi di canto corale cui erano tenuti gli otto cappellani e i diciotto mansionari del duomo, e prestando la sua opera come cantore anche presso la fraterna udinese di S. Maria della Misericordia. Il 2 aprile 1570, superato l’esame «in lectura et cantu», fu investito di una mansioneria nella cattedrale di Aquileia, antica sede del patriarcato, e, il 25 maggio seguente, della cappella di S. Canciano. In questa sede il M. trascorse gli ultimi dodici anni della sua vita caratterizzati dalla continua ricerca di migliorare il suo status (ad esempio chiedendo di subentrare nei benefici di volta in volta resisi vacanti qualora più redditizi dei suoi, o di cambiare casa o terreni in affitto), ma anche dall’assunzione di responsabilità amministrative e incarichi musicali: fu dapifero negli anni 1573, 1577 e 1580 (nel 1573 e nel 1577 resse anche l’“officium canipariae”), tanto scrupoloso ed esigente da provocare non poche lagnanze da parte dei canonici e dello stesso vicario patriarcale. Per quanto riguarda la musica furono questi gli anni più fecondi della sua vita: nel 1574, infatti, diede alle stampe i Magnificat octo tonorum […] cum quattuor vocibus (Venezia, G. Bariletto) che dedicò al capitolo di Aquileia. Si tratta di una raccolta di Magnificat composti sugli otto modi gregoriani; per ciascun modo il M. propone dapprima le intonazioni polifoniche per i sei versetti dispari e poi quelle per i versetti pari, e queste intonazioni, contrariamente a quanto recita il titolo, sono realizzate da due a otto voci. Spiccano nel libro per originalità, la Sexti Toni sopra la Battaglia Francese e la Quinti Toni Sopra la battaglia Italiana, che utilizzano liberamente materiali tematici tratti da due celebri “battaglie” musicali: La guerre di C. Janequin commemorativa della battaglia di Marignano (1515) e La bataglia taliana scritta dal fiammingo M.H. Werrecore per celebrare la battaglia di Pavia del 1525. La dedica dei Magnificat al capitolo gli fruttò 15 scudi d’oro (7 genn. 1575) e la promessa di assegnazione di una nuova cappella (S. Ellaro) che si aggiunse il 12 novembre del 1576 a quella che già deteneva, insieme col titolo di maestro di cappella e con la preminenza su tutti i mansionari, perché «lęto animo possit inservire sanctae Aquileiensi ecclesiae et facilius se sustentare»; col nuovo beneficio gli venne aggiunto il compito però di insegnare il canto ai fanciulli inservienti nella chiesa. Nel 1578 diede alle stampe a Venezia per i tipi del Gardano Il primo libro de balli a quatro voci, accommodati per cantar et sonar d’ogni sorte de istromenti, dedicati «Alli molto magnifici signori accademici philarmonici del nobil casin del reverendo monsignor Oratio Billiardo dignissimo canonico di Parma» che probabilmente aveva avuto modo di visitare nella primavera del 1575, quando gli erano stati concessi tre mesi di licenza per recarsi «ad patriam suam» e a Roma per il Giubileo indetto da Gregorio XIII; M., come si apprende dalla dedicatoria, l’aveva preparato da tempo ma si era trattenuto dal pubblicarlo perché «assalito da gran tempesta di molti travagli in grandissima parte cagionati da la passata mortalità di Venetia a tutta Europa dannosa» (il riferimento è senza dubbio alla terribile peste del 1576). Il libro, oggi particolarmente apprezzato e conosciuto, è una delle più importanti fonti di musica per danza della seconda metà del secolo XVI e raccoglie ventun balli, alcuni dei quali accompagnati da saltarelli e riprese; sono intitolati a personaggi reali (La Billiarda) o popolari pittoreschi (La Saporita Padovana…), o hanno nomi di danze caratteristiche di particolari aree regionali (L’arboscello ballo Furlano) e nazionali (Ballo francese, Ballo anglese…). Scritti in forma perlopiù omoritmica, con pochissime movenze contrappuntistiche, solitamente affidano la melodia al soprano, rendendola l’elemento predominante: brevità, freschezza, simmetria del fraseggio sembrano sottolinearne un’origine popolare (che in diversi casi è stata dimostrata), nobilitata sapientemente con frequenti procedimenti variativi (si veda in particolare Ballo francese) e talvolta con l’utilizzo di bassi in funzione di ostinato. I saltarelli sono sempre in ritmo ternario e sono melodicamente ricavati dal ballo binario che li precede. Fra tutti, particolare interesse rivestono Pass’e mezzo antico e Pass’e mezzo moderno considerati già dal Blume i più antichi esempi di suite strumentale che si conoscano. Una terza opera musicale, i Sacra cantica beatissimae Mariae Virginis omnitonum sex vocum parium canenda (Venezia, Gardano, 1580), fu dedicata dal M. alla confraternita del Santissimo Sacramento di Ancona, sodalizio devozionale-assistenziale di cui era stato ospite nel 1579, in occasione di un pellegrinaggio a Loreto effettuato con la Compagnia del Santissimo Crocifisso della città di Udine. Il libro, pervenutoci solo nelle parti di Quinto e Basso, si apre con il mottetto O sacrum convivium e contiene poi dieci intonazioni polifoniche dell’intero testo del Magnificat realizzate negli otto modi gregoriani a sei voci pari (organico particolare, scelto forse in funzione dei destinatari della raccolta). Nei primi mesi del 1581 le condizioni di salute del M. non risultavano buone, ma nonostante ciò frequenti vertenze e liti lo videro protagonista almeno fino al 7 febbraio del 1582, quando dovette presentarsi a Udine di fronte al vicario patriarcale. La notizia della sua morte venne data nel capitolo del 4 maggio 1582 tenutosi nella cappella di S. Marco in duomo a Udine (dai primi di maggio ad Ognissanti la basilica di Aquileia, «ob aëris intemperiem», era officiata solitamente in forma ridotta e spesso il suo capitolo si riuniva a Udine). È da ritenere che il decesso risalga ai primi di maggio. Nel 1583 quasi tutti i suoi balli furono ristampati anonimi, e in qualche caso col titolo leggermente variato, in due importanti e diffusissime antologie: diciotto balli confluirono in Chorearum molliorum collectanea (Anversa, P. Phalèse e J. Bellère); sette furono invece inseriti sotto forma di intavolatura tedesca per organo in Ein schön nutz unnd Gebreüchlich Orgel Tabulaturbuch […] von Jacobo Paix (Lauingen, L. Reinmichel). Non si conoscono altre opere di M. e l’informazione riportata da G. Draud (Bibliotheca classica, 1611) di un’altra sua raccolta di balli, intitolata Choreae variorum nationum e edita dal Gardano a Venezia nel 1576, nonostante sia stata ripresa anche in anni recenti in diversi repertori bio-bibliografici, mancando di un qualsiasi riscontro documentario, va considerata una svista o un riferimento impreciso al Primo libro de balli.

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Bibliografia

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