CESCHIA LUCIANO

CESCHIA LUCIANO (1926 - 1991)

scultore

Immagine del soggetto

Autoritratto di Luciano Ceschia, s.d. (collezione privata).

Nacque a Coia di Tarcento il 4 giugno 1926. Figlio di contadini, iniziò la sua formazione artistica nella locale Scuola professionale, che frequentò senza troppa convinzione nel 1937, e nell’eclettica bottega di Cesare Turrin, uno dei primi fotografi friulani, durante il 1940. Fu il figlio di quest’ultimo, il compagno di scuola Tiziano Turrin, ad insegnare al giovane C. i rudimenti della pittura e del disegno. Nel biennio 1941-1942 lavorò nel laboratorio dell’ebanista e restauratore Salvatore Rizzi a Colugna, vicino a Udine, prima di approdare (1943) nello studio dello scultore Antonio Franzolini, da cui imparò in particolare a modellare il gesso. Dopo la caduta del fascismo, aderì giovanissimo al movimento resistenziale: arrestato nel 1944 e deportato in un campo di lavoro austriaco, riprese la lotta clandestina fino alla Liberazione dopo essere riuscito a fuggire. L’idea di riprendere gli studi nell’immediato dopoguerra, iscrivendosi al Liceo artistico di Venezia, si rivelò poco praticabile, considerate anche le condizioni di miseria in cui versava la famiglia. Da Tarcento, seguì l’evolversi del dibattito artistico provinciale e partecipò, come pittore, alla Mostra d’arte sacra contemporanea, organizzata dalla Famiglia Artisti Cattolici Ellero (FACE), nell’aprile 1947. Forse anche la situazione di precarietà economica lo spinse a trasferirsi nella vicina Jugoslavia, in quegli anni terra promessa per diversi giovani della sua generazione: dopo un periodo trascorso a Lubiana, si stabilì a Fiume, lavorando come speaker in una radio locale e disegnando per il quotidiano «La voce del popolo». Nel 1949 rientrò in Italia, trascorrendo anche qualche giorno nel carcere di Gorizia, quando le prime conseguenze della rottura di Tito con l’Unione Sovietica si fecero sentire sui militanti del Partito comunista italiano, quale era in quel momento C., fedeli alla linea moscovita. ... leggi Vicino alle posizioni neorealiste, nel 1950 aderì all’Unione sindacale artisti friulani e partecipò, come pittore, sia all’esposizione inaugurale dell’associazione (gennaio-febbraio 1951) sia alla Mostra del lavoro in bianco e nero (maggio 1951). Più difficile fu tradurre le istanze del realismo in scultura e C. oscillò, in questi anni, tra l’espressionismo delle teste dei lavoratori e il più raccolto plasticismo dei nudi femminili. Fu probabilmente il viaggio nella Francia meridionale del 1953, dopo una lunga permanenza a Ginevra (1951-1952) dove lavorò come decoratore, che rafforzò C. nel suo interesse verso la ceramica: costruì una rudimentale fornace a casa sua e cominciò a realizzare opere di esuberante sapore popolare che furono esposte nella sua prima personale, allestita presso la galleria La Colonna di Milano, nel febbraio 1959. La definitiva consacrazione di C. arrivò dal premio del Ministero dell’industria e del commercio in occasione della Biennale di Venezia del 1962 con la Grande porta da Hiroshima: una grande ceramica greificata, in cui il tema della guerra era svolto in chiave materica e quasi astratta. Gli anni Sessanta furono densi di avvenimenti per lo scultore che, pur sviluppando spesso tematiche legate alla Resistenza, si allontanò progressivamente dalla figurazione. Mentre proseguiva la produzione di ceramiche (da ricordare quelle di grandi dimensioni realizzate, tra 1961 e 1965, per edifici pubblici e privati di Tarcento, Lignano, Tricesimo, Mirandola e Modena), C. iniziò ad utilizzare anche altri materiali. Nelle serie dei Gong, Dischi e Scudi, a partire dal 1961, realizzate in ghisa fusa con l’inserzione di elementi metallici, introdusse il motivo circolare che fu utilizzato, con una certa costanza in diversi lavori successivi (Mandala tascabili, Planisferi e, ovviamente, nelle numerose medaglie realizzate con continuità dall’inizio degli anni Ottanta). Risalgono alla metà degli anni Sessanta le prime opere in pietra, che segnarono il definitivo passaggio ad una scultura astratta, molto spesso destinate ad esposizioni all’aperto, come la rassegna jugoslava “Forma Viva” a cui C. partecipò in varie occasioni. Dalla fine del decennio iniziò a servirsi del ferro (saldato, smaltato, piegato) per eseguire le Verticali, sculture totemiche adatte per la dimensione monumentale. L’attenzione per le opere di grande formato era maturata anche dal confronto con i vari architetti con cui C. collaborò, Gianni Avon, Marcello D’Olivo, Ermes Midena, Gino Valle: dapprima concepite come complemento architettonico, poi sempre più autonome. Il monumento alla Resistenza di Cividale del Friuli, inaugurato il 25 aprile 1975, è il lavoro che più di altri manifesta la raggiunta autonomia della scultura da ogni ipotesi decorativa: realizzato in cemento armato, si sviluppa nello spazio e sembra farsi esso stesso architettura. Nel 1983 l’amministrazione regionale del Friuli Venezia Giulia, attraverso l’assessorato del lavoro ed emigrazione, sostenne due importanti eventi che ebbero per protagonista lo scultore: prima organizzò un corso di scultura per figli di emigranti presso il laboratorio di C., realizzato a Collalto di Tarcento a metà anni Settanta; poi promosse una mostra personale itinerante che fece conoscere le sue opere a New York, Ottawa, Toronto e Vancouver. C. morì a Udine il 4 novembre 1991.

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Bibliografia

Luciano Ceschia. Sculture e disegni 1943-68. Catalogo della mostra (Udine, 1-30 giugno 1968), Udine, Del Bianco, 1968; Artisti udinesi d’oggi, a cura di V. ROSSITTI, Udine, AGF, 1971, 69-73; Luciano Ceschia. Catalogo della mostra (Vienna, novembre-dicembre 1979), Vienna, Istituto Italiano di Cultura, 1979; V. CESCHIA, Note Biografiche, in C. CERRITELLI, Luciano Ceschia, Udine, Casamassima, 2000, 231-235; L. CESCHIA, Inverni e primavere [1980-1983], a cura di F. AGOSTINELLI, Pasian di Prato, Campanotto, 2004.

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