ALBERTO DE COLLICE

ALBERTO DE COLLICE

vicedomino patriarcale, vescovo

L’origine di A., attivo nei territori del patriarcato a partire dalla metà del XIII secolo, è ancora oggi incerta, considerata l’assoluta mancanza di fonti antecedenti. Variamente attestato col predicato de Collo o de Co(l)lice, è probabile che A. appartenesse alla famiglia dei nobili aventi giurisdizione nell’odierna Colle Umberto, nel territorio della diocesi cenetense, di cui faceva parte un omonimo canonico di Ceneda che già nel 1220 si era qualificato comes Albertus de Collo: difficilmente identificabile con A. per i termini cronologici, fu forse un suo parente. La prima menzione sicura data, tuttavia, al 29 agosto 1252, quando A. de C. risulta già vicedominus del patriarca di Aquileia eletto Gregorio di Montelongo. Negli anni 1255 e 1256 il presule investiva il suo vicario di numerosi mansi: un unico atto di investitura del 1256 – con cui Gregorio assegnò alcune proprietà di Pozzuolo non solo al vicedomino ma anche a Federico di Colmalisio (poi Savorgnano) – sta verosimilmente all’origine della lunga tradizione secondo la quale A. era fratello di questi e figlio di Rodolfo che nel 1255 aveva avuto riconfermata dal patriarca la giurisdizione su Cols (da individuare in Colmalisio, presso Moruzzo). Il 4 novembre 1257 il vicedomino affidava a Giovanni Longo la custodia del castello di Cormons, qualificandosi anche vescovo di Ceneda eletto. Il vicario  si fregiò della nuova dignità (senza ottenere mai la consacrazione) almeno fino alla metà del 1260, quando era già eletto vescovo di Concordia. Va  osservato che la facile confusione fra le forme abbreviate per “Cenetensis” e “Concordiensis” è stata motivo di fraintendimenti delle fonti, inducendo persino a ipotizzare la presenza di due diversi vescovi di nome A., l’uno eletto di Ceneda, l’altro di Concordia, entrambi vicari del patriarca (Degani). La sequenza cronologica restituita pare corretta, benché qualche incongruenza rimanga anche a causa della contemporanea scomparsa, nel 1257, dei predecessori di A. nelle due sedi episcopali. ... leggi Che la vacanza della sede di Concordia durasse più a lungo di quella cenetense è provato anche dal fatto che in quel triennio Gregorio, titolare della diocesi suffraganea vacante, fece costruire un girum di mura a Portogruaro a difesa del Friuli e della chiesa concordiese: poi, a lavori ultimati, il 27 marzo 1265, il patriarca investì A., nel frattempo divenuto presule di Concordia, di tutto il territorio compreso nel girone di Portogruaro. Benché gli impegni vicariali prevalessero sulla cura pastorale, fu A. a indire una sinodo a Portogruaro i cui statuti, pubblicati dal suo successore Fulcherio di Zuccola l’8 dicembre 1275, non solo costituiscono le più antiche scritture sinodali di quella diocesi, ma sono di qualche interesse perché si crede ricalchino le precedenti costituzioni conciliari di Gregorio di cui sono rimaste solo tracce. Tali scritture furono forse redatte da Pietro d’Oltreponte, ritenuto figlio di A., ma più verosimilmente notaio del vescovo, morto a Cividale il 17 ottobre 1292. A partire dagli anni Sessanta l’attività di A. è attestata solo nell’esercizio di quelle prerogative di natura giuridico-amministrativa, ecclesiastica e politica tipiche del vicedominato: così a Udine dava licenza al gastaldo di Parenzo di eleggere il locale podestà (1° aprile 1261); a Cividale presiedette il tribunale del patriarca in una causa che il locale capitolo aveva intentato a un feudatario di Moruzzo (16 settembre); disponeva l’escussione di alcuni testimoni in una vertenza che il canipario patriarcale aveva col monastero di Santa Maria in Valle (marzo 1263); consacrava la chiesa di S. Francesco di Udine (4 luglio 1266) e, ancora il vicedomino, poneva la prima pietra del monastero della Cella di Cividale (13 aprile 1267) che il patriarca avrebbe poi consacrato al termine di quell’anno. L’episodio politico di maggior rilievo per A. ebbe luogo a Cormons il 5 giugno 1265, quando a nome del patriarca stipulava un trattato con il conte Mainardo di Gorizia che agiva anche a nome del fratello Alberto. La tregua ebbe termine il 20 luglio 1267 con la cattura del patriarca da parte di quest’ultimo: a seguito di ciò, il 4 agosto, il vicedomino e Asquino di Varmo venivano designati capitani generali della Patria. Dopo che, dietro pressione del re di Boemia, il 25 di agosto il conte Alberto ebbe deciso di rilasciare il patriarca rinchiuso nel castello di Gorizia, Gregorio, giunto a Cividale, fece stilare a sua volta un compromesso il 27 di quel mese, presente A., nuovamente suo vicario. Di lì a meno di un anno anch’egli sarebbe stato vittima dei soprusi del Goriziano, con un esito più drammatico: l’«obitus venerabilis patris domini A. Concordiensis episcopi» è ricordato il terzo giorno di luglio nel libro degli anniversari di S. Domenico di Cividale, senza indicazione dell’anno, e nel necrologio di Concordia che riporta anche il lascito personale del presule alla sua chiesa, costituito da paramenti sacri e altri oggetti preziosi; ma l’eco dell’uccisione del prelato, assassinato il 3 luglio 1268 presso il colle di Medea dai sicari di Alberto di Gorizia, fu tale da lasciare traccia in un apposito paragrafo della Cronaca di Giuliano da Cavalicco. La breve campagna militare dell’ultima decade di agosto – allorché Gregorio si accampò con la sua corte a Lucinico riuscendo a sedare temporaneamente la bellicosità del conte – può essere letta anche come una ritorsione contro il mandante del sacrilego assassinio. Alcuni documenti dettati dal patriarca al suo scriba Giovanni da Lupico testimoniano la stima accordata al vicario, anche dopo la sua scomparsa: ancora due giorni prima di morire (6 settembre 1269), Gregorio restituiva alcune case di Udine, appartenute ad A., ai nipoti di questo, i fratelli Alessandro e Antonio, e al solo Antonio, notaio, le case che il vicario aveva tenuto a Cividale.

 

 

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Bibliografia

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