ASQUINI FABIO

ASQUINI FABIO (1726 - 1818)

nobile, agronomo

Immagine del soggetto

Ritratto di Fabio Asquini, olio su tela attribuito a Giovanni Battista de Rubeis (Udine, collezione privata).

Nato a Fagagna (Udine) nel 1726 da Giampietro dei signori di Fagagna e da Elisabetta Panigai, ereditò a vent’anni l’intero patrimonio familiare, costituito da case e terreni, molti dei quali un tempo beni comunali, in Fagagna, nel monfalconese, presso Concordia oltre che dalla casa di famiglia e da altri possessi in Udine. Studiò al collegio dei nobili di Santo Spirito dei somaschi di Cividale, per dedicarsi alle discipline scientifiche, in particolare agricoltura e scienze naturali. Egli concentrò la sua attività sull’azienda di Fagagna, centro di esperienze di modernizzazione, secondo la linea innovativa del pensiero degli agronomi, e di incisive iniziative imprenditoriali. Inizialmente gli interessi dell’A. furono di natura soltanto commerciale; tra l’altro la non conoscenza del francese lo teneva lontano dalla produzione d’oltralpe. L’incontro con Antonio Zanon, che avvenne nel 1762 quando iniziò la corrispondenza tra i due, rafforzò i suoi interessi avvicinandolo, come attestano le lettere del mercante udinese, anche allo studio del francese e a letture fondanti il suo percorso culturale. Da questo momento e fino alla morte di Zanon (1770), la vicenda del conte di Fagagna si lega a quella dell’illuminista friulano in una comunanza di intenti che spiega un rapporto al di fuori di ogni conformità sociale. Entrambi erano lontani dalla cultura antiquaria e arcadica, estranei all’ambiente mondano cittadino; l’A. raccoglie e sviluppa il messaggio di Zanon sostanziando le posizioni ideologiche con l’applicazione pratica, ma anch’egli privo di interesse per il riformismo politico o istituzionale. ... leggi L’archivio Asquini conserva una ricca documentazione relativa anche ad altri corrispondenti, nomi illustri dentro e fuori lo stato veneto (tra gli altri Carlo Amoretti, Giovanni Arduino, Gian Rinaldo Carli, Alberto Fortis, Gerolamo Gravisi, Salvatore Mandruzzato, Antonio Turra), suggeritori di nuove esperienze o richiedenti consigli e indicazioni, ma il carteggio con Zanon è uno dei più completi per ricostruire una rete di interessi che inserisce il Friuli nel largo dibattito dell’illuminismo europeo nel momento in cui ancora trionfa l’ottimismo per le idee di Francia. Quando incontrò lo Zanon, l’A. aveva già iniziato (almeno dal 1755) la coltura di un vitigno pregiato, diffuso nella seconda metà del Settecento in Friuli, il picolit, di cui egli stava studiando gli aspetti tecnici per ricavare un prodotto vinicolo da distribuire in un sistema commerciale, avvalendosi di una rete di relazioni di parentele e amicizie. Una parte della produzione proveniva dalle colture di casa Asquini; un’altra era acquistata, imbottigliata e immessa sul mercato. Lo Zanon diventò l’unico rivenditore autorizzato di picolit e da Venezia svolse un’attiva propaganda sia presso l’aristocrazia locale sia presso i rappresentanti degli stati esteri presenti nella Serenissima per la diffusione di un vino di pregio, dolce e liquoroso, diverso e non concorrenziale con i vini francesi, in ogni modo rivolto a un pubblico dal gusto raffinato. Ma l’amicizia con lo Zanon fu determinante per promuovere nell’A. un entusiasmo culturale che coincise nel 1762 con l’istituzione della Società di agricoltura pratica all’interno dell’Accademia di Udine e con la volontà di sperimentazione di nuove colture e nuove tecniche. Difficoltà iniziali nel reperire il numero dei soci e ostilità dell’ambiente friulano della vecchia nobiltà sono ampiamente documentati nella corrispondenza con lo Zanon. Inizialmente aderirono alla nuova Accademia agraria appartenenti alla nobiltà recente o alla borghesia cittadina; anche successivamente la Società mantenne tali caratteristiche, mentre agenti, fattori e gastaldi poterono partecipare alle riunioni per conoscere le sperimentazioni, ma senza essere compresi tra i soci. Il discorso di apertura della prima sessione fu tenuto il 23 luglio 1765 dallo stesso A., che in esso tracciò il programma della nuova Società, ottenendo l’immediato consenso e l’associazione alla Società economica di Berna, uno dei modelli «oltramontani» indicati dallo Zanon. Il conte, come segretario perpetuo della Società di agricoltura pratica udinese fino alle dimissioni nel 1780, ne seguì l’attività con impegno attraverso l’organizzazione di quesiti, cioè bandi di concorso che ponevano i problemi dell’agricoltura friulana a un pubblico ampio. Una delle battaglie che maggiormente impegnò l’A. fu l’abolizione del “pascolo a erba morta”, proponendo piuttosto l’allevamento stabulare, argomento sul quale la Società inviò per una ventina d’anni suppliche ai deputati all’agricoltura, fino all’abolizione decretata dal senato veneto nel 1787. Le dimissioni dell’A., anche se non ben chiare nelle motivazioni, avvennero in un momento di stallo e di ripensamento della Società, parzialmente spiegato dal conte, come scrive ad Antonio Turra nel 1781, quale svogliatezza per «ogni studio e fatica», mentre alcuni «distolgono gl’altri colla derisione di ciò che fanno». In ogni caso, negli anni successivi i ruoli direttivi furono occupati da esponenti dei barnabiti, che in qualche modo ne assunsero il controllo fino allo scioglimento nel 1797. L’interesse principale dell’A. restò sempre l’azienda di Fagagna, costituita da un’eredità complessiva di 407, 92 ettari e incrementata fino a 427, 78 ettari nel 1796 con una politica di ristrutturazione della proprietà attraverso acquisti, recuperi e permute; in realtà non molto per lo sforzo profuso, il che è indice delle difficoltà che si frapponevano all’accorpamento fondiario a causa di diritti secolarmente sedimentati nell’agricoltura friulana. Tra le forme di conduzione, si preferì l’affitto misto con la previsione anche di clausole che limitavano ogni autonomia del locatario. Su strutture che sono ancora quelle sostanzialmente tradizionali dell’economia friulana, l’A. innestò una serie di innovazioni di colture e di tecniche che non miravano alla sola rendita, ma volevano verificare nell’applicazione pratica alcune idee d’oltralpe, come gli suggeriva Zanon: nuovi tipi di frumento, vite pregiata, gelso, patata, prati artificiali, rubbia, marna come fertilizzante, escavazione della torba che diede avvio alle attività manifatturiere. Alcune sperimentazioni colturali restarono episodiche, altre, come la coltura del gelso e della vite, portarono a dei progressi. Il tutto però si sviluppò in un rapporto difficile con la comunità di Fagagna, non tanto a livello istituzionale, in quanto l’A., rimasto unico consorte del castello, non entrò in conflitti giurisdizionali, ma la distanza fu di tipo culturale. Coloni e contadini erano ostili alla sua volontà di rinnovamento agrario, all’impiego di salariati estranei alla comunità per il lavoro nelle attività manifatturiere, quando essi si rifiutavano di farlo o non sapevano adeguarsi alle nuove tecniche. Il divario si evidenziò quando l’A. diede inizio all’attività manifatturiera della “Nuova Olanda” utilizzando come combustibile la torba delle paludi di Fagagna. La scoperta della torba nella propria tenuta nel 1764 è in linea con la scoperta del territorio in funzione del miglioramento delle condizioni di vita che costituisce un aspetto del movimento dei lumi nello stato veneto. Avvenne per una riflessione, alla luce della scienza sperimentale, collegando un passo di Niccolò Madrisio, che scriveva di aver visto in Olanda terre combustibili dette “turbie”, a un episodio successo a Fagagna, quando il fuoco acceso per bruciare erba secca in alcuni beni paludosi si era propagato alla terra. Dopo un primo uso domestico l’A. la utilizzò come combustibile a basso costo, sostitutivo del legname di cui si accusava la mancanza, per attività manifatturiere, dapprima di calcina e laterizi, poi di terraglie e maioliche. Su queste operazioni, inizialmente sostenute tecnicamente dallo Zanon, si incentrò un vasto interesse che andò al di là dei confini dello stato veneto. Sull’argomento l’A. scrisse una memoria, Discorso sopra la scoperta e gli usi della torba in mancanza de’ boschi e del legname, pubblicata nel «Giornale d’Italia» del 1770 (poi raccolta nelle Memorie e osservazioni pubblicate dalla Società d’agricoltura pratica di Udine, Udine, Gallici, 1770). Dopo l’avvio di una prima piccola fornace sperimentale presso la casa padronale nel 1769, l’A. iniziò nel 1771 la costruzione di un imponente impianto manifatturiero, la “Nuova Olanda”, che entrò in funzione nel 1779 e che per dimensioni e potenzialità si configurava come elemento innovativo rispetto alla tradizione artigianale friulana. Ma il problema primo era costituito proprio dall’approvvigionamento di combustile, che doveva essere estratto ed essicato dai suoi coloni, i quali vedevano però sovrapporsi i tempi del taglio della torba con quelli del lavoro contadino e insieme rifiutavano una tecnologia che comportava orari molto pesanti né erano allettati dal guadagno, opponendo quasi una resistenza passiva. L’assunzione di manodopera forestiera (e per forestiera si intende di altro paese del Friuli, come Maniago) veniva d’altra parte fortemente osteggiata dalla comunità fagagnese. Un rapporto complesso, che però non impedì all’A. di trovare un elemento di stabilità in quattordici famiglie di grandi coloni che, indebitati e dipendenti dalla proprietà, gli garantirono una base di forza lavoro. L’uso della torba spinse l’A. a tentare un’altra iniziativa imprenditoriale avviata intorno al 1780: la “figulina”, una fabbrica di ceramiche sul modello di Bassano, per cui egli credeva ci fossero buone possibilità di mercato. In realtà la necessità di maestranze specializzate (per cui un periodo fu costituita una società di gestione con Giuseppe Maria Rollet, maestro della fabbrica di ceramiche di Urbino) non presenti a livello locale, gli alti costi di produzione, le reali difficoltà di mercato fecero fallire l’impresa nel giro di una decina d’anni. La rivoluzione francese e i governi delle municipalità misero in crisi la rete di rapporti su cui si reggeva il mercato dei prodotti dell’A., ma soprattutto provocarono forti ripensamenti in uomini che, come lui, avevano creduto nel progresso e nel miglioramento economico all’interno dei vecchi stati e di fronte alla violenza dei mutamenti furono profondamente turbati nelle loro coscienze. In questi anni interesse scientifico e spirito illuministico umanitario e filantropico spinsero l’A. a una nuova impresa: l’impiego terapeutico del santonico contro le febbri periodiche per le quali si adoperava la china, ricercando la collaborazione del chimico Salvatore Mandruzzato, conosciuto ad Abano dove si era recato per curarsi dei postumi di una caduta. Il conte friulano sopportò i costi finanziari, lasciando all’amico una ricerca scientifica che dette alcuni frutti, perché l’uso del santonico si diffuse in molte parti d’Italia. Intanto però il vecchio conte rinunciava al ruolo attivo: dopo la chiusura della Società d’agricoltura e la requisizione da parte del demanio della sua biblioteca, la caduta delle vendite di picolit, il rallentamento della produzione della “Nuova Olanda”, il nuovo sistema impositivo che intaccava il patrimonio, l’A. provò ancora per un momento a dedicarsi a un nuovo commercio, quello di santini e libri di devozione, come attestano alcuni suoi ordini al Remondini di Bassano. Ma fu una breve esperienza. Di tutta la sua attività una in particolare (forse quella ancora meno studiata), lasciò un’eredità diretta fino al positivismo postrisorgimentale: gli studi meteorologici. Nel discorso d’apertura del 1765 della Società d’agricoltura l’A., in accordo con lo Zanon, segnalava «la necessità di istituire con ogni possibile prontezza le tavole meteorologiche», convinto dell’importanza di tali rilievi per l’agricoltura. Egli stesso registrò giornalmente osservazioni che furono pubblicate dall’abate Toaldo, il massimo esperto in materia con cui egli fu in corrispondenza (Raccolta di lettere inedite, a cura di A. Fiammazzo), nei suoi «Giornali Astro-Meteorologici» di Padova. L’incontro tra ricerca scientifica e ricerca umanistica fu continuato dai figli Giulio e Girolamo, ma soprattutto nell’età della restaurazione da Gerolamo Venerio, che conobbe direttamente l’A. e pose le basi per ogni successiva ricerca climatologica in Friuli, fino a Giovanni Marinelli e Arturo Malignani. L’A. morì a Udine nel 1818 a novantuno anni; la sua salma fu trasportata a Fagagna. Inserito tra gli italiani illustri dal De Tipaldo, dopo biografie d’occasione, l’interesse per la sua figura è maturato con l’affermarsi degli studi sull’illuminismo veneto, sul pensiero degli agronomi, sulla protoindustria. Per prima Luciana Morassi ha esaurientemente indagato sull’attività della “Nuova Olanda” e sulla Società d’agricoltura pratica, proponendo una vicenda umana, intellettuale e imprenditoriale che può essere esemplare nella storia dell’illuminismo della Repubblica Veneta.

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Bibliografia

L’attività di F. Asquini è ampiamente documentata nell’archivio privato Asquini di Fagagna. Altri scritti presso la BCU e la Biblioteca del museo Correr di Venezia (corrispondenza con S. Mandruzzato nell’epistolario Moschini).

F. ASQUINI, Discorso sopra la scoperta e gli usi della torba in mancanza de’ boschi e del legname, detto nella Società di agricoltura pratica di Udine dal conte […], Udine, Gallici, 1770; ID., Transunto del parere intorno alle acque dannose del Friuli di […] del collegio degli elettori possidenti del Dipartimento di Passariano, Milano, Sforza, 1807; ID., Raccolta di lettere inedite, a cura di A. FIAMMAZZO, Udine, Del Bianco, 1891, 17-23.

E. DE TIPALDO, Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del sec. XVIII e de’ contemporanei, X, Venezia, Alvisopoli, 1845, 156-160; G. ROMANO, Del conte Fabio Asquini, Udine, Doretti, 1905; L. MORASSI, Un’azienda friulana nel secolo XVIII. La tenuta di Fagagna del conte Fabio Asquini, «Quaderni storici», 39 (1978), 1011-1035; EAD., Tradizione e “nuova agricoltura”. La Società d’agricoltura pratica di Udine (1762-1797), Udine, Ribis, 1980; A. ZANON, Lettere a Fabio Asquini (1762-1769), a cura di L. CARGNELUTTI, saggio introduttivo di G.P. GRI, Udine, Ribis, 1982; L. MORASSI, Un nobile imprenditore nel Friuli del Settecento. Mattoni e calcina alla “Nuova Olanda”, «Quaderni storici», 52 (1983), 81-103; EAD., Fabio Asquini e la Fagagna del ’700, in Fagagna. Uomini e terra, a cura di C.G. MOR, Fagagna, Amministrazione comunale, 1985, 217-255; La Nuova Olanda. Fabio Asquini tra accademia e sperimentazione, a cura di L. MORASSI, Fagagna, Magnus, 1992; F. MICELLI, Gerolamo Venerio e l’età della restaurazione, in 1815-1848. L’età della restaurazione in Friuli, a cura di T. RIBEZZI, Trieste, Editreg, 1998, 198-200; M. SIMONETTO, I lumi nelle campagne. Accademie e agricoltura nella Repubblica di Venezia, 1768-1797, Treviso, Canova, 2001.

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