BARATELLA ANTONIO

BARATELLA ANTONIO (1300 - 1448)

notaio, rettore di scuola

Dal 1423 al 1424 resse la scuola pubblica a Udine il grammatico A. B. di Zanino, nato a Loreggia nel distretto di Camposampiero (Padova) prima del 1385 e morto a Feltre (Belluno), sua ultima condotta, nel 1448. Il Friuli allora stava riassestandosi dopo il pesante conflitto con la Repubblica Veneta, conclusosi nel 1420. Nel periodo di turbolenze immediatamente precedente alla dedizione non si erano spinte in una terra che dal 1412 era rientrata nell’orbita dell’impero germanico, quindi politicamente ostile a Venezia, forti personalità forestiere di grande cultura. Con l’avvento del nuovo regime a Udine un maestro di estrazione locale, tale Benvenuto da Carpeneto, che aveva insegnato per anni parallelamente a Giacomo di Caterino da Sacile, assistendo al trapasso non incruento dal patriarca Pancera a Ludovico di Teck, e che nel 1416 aveva perfino condiviso la responsabilità dell’insegnamento pubblico anche con un “ludi magister” teutonico il quale dettava nella sua lingua, nel 1420 era stato giudicato persona non gradita e allontanato dalla città. Certamente nel Veneto era risaputo che l’ambiente udinese, già di per sé provinciale e culturalmente emarginato, non era tanto sereno e tranquillo. È ben vero che fra il 1389 e il 1392 i cittadini di quel capoluogo avevano assaporato l’atmosfera dei tempi nuovi dal famoso Giovanni Conversini, ma troppo breve era stata la sua permanenza o troppo difficili i momenti per permettere un significativo riscontro locale e un sensibile rinnovamento culturale. ... leggi Si ignora con quali argomenti nel marzo 1423 gli udinesi Giovanni Moisi dottore in diritto civile e Giovanni Susanna cancelliere patriarcale, inviati a Venezia per ingaggiare come pubblico rettore delle scuole il grammatico di origine friulana Giovanni da Amaro, non avendo potuto persuadere costui, con i suoi stessi buoni uffici riuscissero invece a convincere il B. ad accettare una condotta nel capoluogo del patriarcato non ancora del tutto pacificato: soltanto nel giugno dell’anno precedente, infatti, il patriarca Ludovico di Teck con quattromila Ungari aveva tentato con gravi saccheggi di riprendersi il Friuli. Il contratto d’ingaggio prevedeva un onorario di 60 ducati annui (20 “statim”, 20 a san Michele e 20 alla fine dell’anno), cifra analoga a quella che nei piccoli centri si prevedeva in casi del genere, anche se a Venezia alla celebre scuola privata di Tomà Talenti se ne erogavano soltanto 50. Gli ambasciatori udinesi dovettero essere abbastanza abili, perché il grammatico, adducendo a motivo il pericolo della peste, aveva in precedenza rifiutato un invito simile avanzatogli dalla comunità di Treviso attraverso Guido da Alano (licenziato a Padova in diritto civile prima del 1420 e quindi forse conosciuto dal B.). Sempre per colpa del morbo, il grammatico si era allontanato dalla città lagunare, dove nel 1418 aveva insegnato a S. Lucia, per rientrare a Camposampiero, in tempo per assistere alla morte del padre nel 1419. In quel periodo, segnato da contrasti con i parenti per la sua scarsa capacità di amministrare l’eredità, pare che abbia composto diversi carmi (raccolti poi nell’Ecato metrologia) su vari argomenti, tra i quali anche uno sulla dedizione del Friuli. Sembra però che Venezia sia sempre rimasta nei suoi interessi, in quanto vi ritornò un paio di volte prima del 1422. Qui allora brillavano per la loro eccellente cultura aristocratici quali Leonardo Giustinian, Francesco Barbaro e il cancelliere “grande” Giovanni Piumacci con il figlio Bertucci; qui insegnavano dal 1414 al 1419 Guarino in casa Barbaro soprattutto e dal 1421 Paolo della Pergola alla scuola del Talenti. Il B. allora non aveva ancora alle spalle una consolidata carriera nel campo scolastico né sufficiente fama di modernissimo umanista. La sua formazione era avvenuta a Padova, dove, su sollecitazione paterna, aveva concluso gli studi di notariato e ciò gli aveva permesso di esercitare pur senza particolare convinzione la professione almeno fino al 1412. Il suo forte interesse per le lettere (già dal 1411 aveva trascritto tre libri di Epistole metriche del Petrarca) lo aveva tuttavia indotto a iscriversi all’Università degli artisti di Padova, città dove dal 1407 insegnava retorica Gasparino Barzizza, primo rappresentante dell’umanesimo letterario postpetrarchesco in quell’ateneo, frequentato anche dai nobili veneziani e nobilitato dalla docenza di Vittorino da Feltre, Prosdocimo Beldomandi, Poggio Pellecani e Paolo Veneto. La sua presenza fu segnalata all’esame di licenza di personaggi poi divenuti celebri, che vantavano maestri famosissimi. Correvano gli anni nei quali a Padova si sperava di aver trovato le ossa di Tito Livio e se ne facevano grandi celebrazioni, promotore Sicco Polenton. Una fitta rete di corrispondenza dimostra i rapporti del B. lungo tutta la vita con intellettuali di alto valore sia in campo letterario sia in quello politico e giuridico. Dalle sue opere sembra di dedurre la sua amarezza per l’impossibilità di avvalersi del suo status di “ludi magister” per raggiungere quello di intellettuale di vaglio, quale avevano conseguito, per esempio, Antonio Loschi o Guarino Veronese, che per le loro qualità eccezionali grazie alla stima di grandi signori, erano riusciti a ottenere uffici molto remunerati e prestigiosi. A Venezia allora gli intellettuali aristocratici non erano ancora abbastanza interessati o potenti per creare simili condizioni. Il B., animato da ossessiva “captatio benevolentiae”, lungo il corso della sua vita continuò a dedicare opere e scrisse epistole latine a personaggi famosi nella politica, nella letteratura, nelle scienze e perfino nel campo militare, molti legati alla cultura veneta, altri impegnati in importanti cancellerie (come il Loschi da Milano a Firenze, a Roma). Circa la produzione poetica, al momento dell’accordo con gli Udinesi il B., oltre all’opera ricordata (dedicata al Barzizza, costituita da migliaia di versi intesi a celebrare il restauro della letteratura), aveva scritto il Policleomenareis, poemetto mitologico-celebrativo, datato post quem 1422 in quanto vi è citata la battaglia di Gaeta tra Veneziani e Genovesi combattuta in quell’anno e d’altra parte vi è ricordato il doge Mocenigo che sarebbe morto nel 1423. Ed appunto in tono encomiastico per il successore Francesco Foscari, eletto il 15 aprile 1423, scrisse la Foscara, dedicata al cancelliere grande Giovanni Piumacci. Si ignora la data precisa dell’arrivo del maestro a Udine: per contratto avrebbe dovuto giungere ad abitarvi «per totum mensem aprilis». I patti, di cui rimane notizia indiretta attraverso la relazione fattane al consiglio della città dal Moisi e dal Susanna in data 9 marzo, costituiscono un documento importante per la storia della cultura friulana del momento, definendo con precisione, oltre che le condizioni economiche, anche le aspettative di entrambe le parti. Si prevedeva che il maestro potesse ricevere 40 denari da ciascun allievo «de latino» e 32 dal «non latinante», secondo l’antica consuetudine. Si precisava che, se la città gli avesse messo a disposizione una casa «ydoneam in loco non pestilentiato», egli vi dovesse ospitare anche la scuola per la quale la comunità gli avrebbe fornito un numero sufficiente di scranni e una cattedra; gli si concedeva facoltà di licenziare gli allievi insolventi e «discolos»; con quelli forestieri il maestro si sarebbe potuto accordare ad libitum; «tempore hiemali de nocte» avrebbe ugualmente dovuto insegnare «ad audiendum» per chi lo avesse desiderato; nel caso, poi, che il grammatico si fosse allontanato dalla città, sarebbe stato esentato da ogni tipo di tributo, dai pedaggi e dai dazi sulle cose. Naturalmente il comune si riservava la facoltà di licenziarlo se egli non avesse corrisposto alle aspettative e lui stesso, previo avviso di un mese, avrebbe potuto andarsene qualora i patti non fossero stati rispettati. Secondo una consolidata consuetudine, il rettore avrebbe dovuto condurre seco un ripetitore idoneo che nelle scuole del tempo istruiva «non latinantes». Il B. aveva accettato la condotta anche perché forse sapeva che in Friuli e in particolare nel capoluogo i tempi maturavano con un clima diverso: ormai arrivavano come luogotenenti della Patria personaggi appartenenti a prestigiose famiglie veneziane, insieme con vicari e alti funzionari forniti di lauree in diritto civile o addirittura in utroque, spesso già sostenuti da fortunate carriere. I capitani stessi di Udine, non più scelti o imposti per esigenze militari o per opportunità politiche comunali, ora rispondevano a provati requisiti di preparazione politica e giuridica. Com’è noto, dopo la pace del 1421 primo capitano fu il giurista veneziano di formazione patavina Tommaso Piacentini; poi, fra il 1422 e il 1423, il padovano Domizio Broccardi e nel periodo del B. il civilista Alvise Bertoni. In Friuli non erano personaggi di secondo piano neppure quei due che avevano stilato il contratto: il Moisi si era già impegnato a Venezia per le trattative di pace alla fine del conflitto e il Susanna figlio di Odorico cancelliere patriarcale, autore del Thesaurus Ecclesiae Aqui leiensis aveva completato con autorevolezza l’opera del padre. A Udine inoltre il B. poté incontrare il giurista Antonio Baldana, ormai rientrato dall’Università di Firenze. Si ignora se la loro conoscenza fosse anteriore al soggiorno friulano del grammatico o se la loro amicizia, documentata dalla corrispondenza, si fosse allacciata proprio in questo periodo. È tuttavia certo che il poema del Baldana Ab origine schismatis usque ad unionem si avvale di singolari combinazioni metriche analoghe ad alcune del B. Con un altro personaggio friulano il maestro allacciò corrispondenza, ossia con il medico Leonardo Gaspardi da Portogruaro, da lui sicuramente incontrato a Udine. Tra i suoi corrispondenti locali si annovera anche Giovanni di Mels, probabilmente conosciuto allo studio di Padova. Antonio di Zucco, personaggio ancora non bene identificato, gli dedicò un carme. Quanto alla traccia che l’insegnamento del B. poté lasciare negli allievi udinesi, essa non è ancora dimostrabile. Alla scadenza del contratto, il 3 marzo 1424, egli comparve davanti al consiglio comunale e rinunciò al suo incarico: un anno evidentemente gli era bastato. Forse si era spaventato per le difficoltà economiche nelle quali si dibatteva l’amministrazione udinese, tanto che il collega Giacomo da Sacile nel corso di quell’anno aveva sollevato reiterate rimostranze per il ritardo dei pagamenti. Certo è che il B. partì da Udine e che nel 1426 accettò per un anno la condotta di Pirano, tragicamente funestata dalla morte della moglie Lucrezia, che avrebbe pianto (nonostante i di lei non proprio chiari trascorsi del 1413) negli ultimi carmi del Baratella e nei primi dell’Antonia. A Pirano compose i 1742 versi della Musonea («incepta et perfecta fuit 1426»). Egli si compiaceva di indicare il numero dei versi, come se la quantità fosse il pregio della sua poesia. Dopo il soggiorno istriano, che egli abbandonò con l’arrivo di un’ondata di peste, accettò l’incarico di precettore dei figli del doge cui aveva dedicato l’opera del 1423. Nel 1429 insegnava retorica a Padova, vantandosi che alle sue lezioni assistesse una «contio docta virorum». Riprese moglie e, dopo un amaro ritiro a Camposampiero, si risolse ad accettare la condotta di Belluno dal 2 settembre 1430 all’8 giugno 1434. Dopo il periodo di Laureia, con una breve interruzione, riprese la strada dei monti con una condotta a Feltre, riverito e rispettato, ma ormai disilluso nelle sue aspettative e amareggiato dal silenzio di quei personaggi dai quali sperava l’aiuto per risollevarsi dalle ristrettezze economiche. In questo periodo compose l’Asella (1436), la Polydoreis (1439) dedicata a Guarino, la Protesilais (1440), la seconda redazione della Ecatometrologia nonché l’Antenoreis e la Metrologia priscianica (due libri dedicati a Leonardo Bruni). Vi andava ripetendo alcuni motivi già espressi mutando la forma; urgeva sempre il rimpianto della sua Loreggia (Laureia). Nelle tredici opere pervenute si enumerano ben 44.131 versi, ma egli nella Metrologia afferma di averne composti ben 72.000 in venticinque opere. Il suo stile, fondato sulla rigida imitazione dei modelli classici, si distingue per la continua ricerca di variazione formale di un circoscritto repertorio di motivi per gran parte di argomento mitologico. Sotto l’aspetto strettamente linguistico spiccano l’uso insistente del linguaggio metaforico e figurato nonché la scelta di preziosismi lessicali, i quali, uniti alla sintassi talora eccessivamente complessa e a un gusto per la creatività metrica spesso esasperato, sortiscono frequentemente esiti di oscurità. Il B. morì a Feltre il 27 luglio 1448 e fu sepolto nella cattedrale di quella città.

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Bibliografia

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