BINI GIUSEPPE

BINI GIUSEPPE (1689 - 1773)

ecclesiastico, storico

Immagine del soggetto

Ritratto dell'abate Giuseppe Bini, olio su tela, copia di Valentino Baldissera (1876) da quadro coevo al soggetto (Udine, Civici musei).

Nacque a Varmo il 22 aprile 1689 da Giovanni Battista e Bernardina dei signori di Varmo. Dopo aver ricevuto la prima formazione in ambito domestico, nel 1700 fu inviato a Udine per studiare presso la scuola dei barnabiti, la cui prestigiosa tradizione educativa richiamava giovani dall’intero Friuli e dal Veneto. Rivelò precocemente di essere dotato di intelligenza pronta ed ambizione, qualità che, secondo una consuetudine ricorrente all’epoca, furono finalizzate ad intraprendere la carriera ecclesiastica. Mentre ancora compiva i suoi studi teologici e filosofici, il B. manifestò un certo talento poetico che lo avvicinò all’ambito degli arcadi friulani, guadagnandosi la stima e la protezione di Nicolò Madrisio; forte di questo rapporto di amicizia, e della sua passione per gli studi eruditi, egli tentò di ottenere la mediazione del poeta friulano presso il patriarca Dionisio Dolfin per essere nominato bibliotecario della biblioteca patriarcale che era stata fondata nel 1709. Anche in età più matura il B. si propose più volte per questo incarico, ma la sua aspirazione non fu mai realizzata. Dopo aver preso gli ordini minori nel 1710, il primo maggio 1712 fu ordinato sacerdote. Nell’aprile del 1713, grazie all’intercessione del Madrisio, fu aggregato all’Accademia degli Arcadi di Roma, per la quale si scelse il nome di Tegeso Acroniano, e poco dopo entrò anche a far parte dell’Accademia udinese degli Sventati. Le sue qualità umane ed intellettuali lo fecero entrare ben presto a far parte della cerchia degli “abatini precettori”, e tra la fine del 1713 e l’inizio del 1714 fu chiamato ad occuparsi dell’educazione del giovane Fabio di Colloredo, unico figlio del potente marchese Rodolfo. ... leggi Per volere di quest’ultimo sempre nel 1714 il giovane sacerdote accompagnò il suo allievo a Roma, con lo scopo di ampliarne e perfezionarne la formazione erudita. Il contatto con l’ambiente romano inevitabilmente influenzò molto anche il B., che affinò la sua vena poetica arcadica, soprattutto in seguito all’incontro con il Crescimbeni e il gruppo del Bosco Parrasio in seno al quale le sue qualità gli guadagnarono l’onore di tenere l’orazione inaugurale per l’anno 1715. Ma le sollecitazioni culturali della città eterna ebbero sul giovane abate anche l’effetto di sviluppare una forte passione per gli studi storici e le raccolte di fonti documentarie, che egli già in parte aveva coltivato quando si trovava ancora in Friuli e che rafforzò in seguito all’incontro con Giusto Fontanini: contribuì infatti alla costituzione della Conferenza dei concili, istituzione accademica facente capo alla Congregazione della propaganda fide, presentando tre ampie dissertazioni storico-ecclesiastiche nell’arco di un anno (1715). Nel periodo della sua permanenza romana il B. elaborò l’ambizioso progetto – che non fu però mai dato alle stampe – di realizzare una storia della provincia ecclesiastica di Aquileia («Aquileiensis provincia sacra, opus quod Romae concinnabat Iosephus Binio»), e a questo scopo raccolse moltissimo materiale di prima mano e copiò personalmente una gran quantità di documenti. Rientrato nel 1716 in Friuli insieme al suo discepolo, il B. continuò la sua opera di ricerca e raccolta di fonti per la storia friulana, circoscrivendo, di necessità, l’ambito delle sue ricerche agli archivi privati ed ecclesiastici locali; tenendo conto della grande competenza raggiunta in materia, il patriarca Dionisio Dolfin lo incaricò di allestire e riordinare l’Archivio patriarcale. Dopo un breve soggiorno a Vienna al seguito del marchese Rodolfo di Colloredo, nel 1718 si portò a Milano in qualità di segretario di gabinetto del fratello di questi, il conte Gerolamo, che era stato nominato governatore imperiale della città. Gli anni trascorsi nella città lombarda videro il B. molto impegnato in delicati incarichi amministrativi, ma anche molto attivo nelle sue attività di studio e raccolta di documenti, che si concentrarono in particolare sull’attività di spoglio sistematico degli archivi di Milano e Monza e sulla stesura di una genealogia dei Colloredo. Nel 1719 iniziò ad avere contatti epistolari con Ludovico Antonio Muratori, e questo sodalizio intellettuale influenzò in modo determinante le sue convinzioni di storico, inducendolo a farsi assertore della necessità della completezza delle fonti e a considerare come un suo dovere quello di mettere a disposizione di chiunque il suo sapere: probabilmente questa è una delle ragioni per cui egli non diede alle stampe nessuna delle sue raccolte, ma in molti vi attinsero con profitto. Nel 1722-23, forte del prestigio raggiunto e delle conoscenze storiche e archivistiche che poteva vantare, il sacerdote friulano collaborò e favorì la stampa dei Rerum italicarum scriptores muratoriani ottenendo un finanziamento a favore della Società palatina, realizzatrice del progetto. Due anni più tardi il B. si trasferì nuovamente a Vienna al seguito di Gerolamo di Colloredo, il quale ormai riponeva in lui una tale fiducia da averne programmato una brillante carriera diplomatica e politica, il cui avvio sarebbe dovuto coincidere con la nomina a segretario del consiglio d’Italia. Questa prospettiva fu però bruscamente interrotta dall’inaspettata morte del conte nel 1726; rimasto senza il suo protettore, pur essendo stati richiesti i suoi servigi dai cardinali Leandro Porcia e Zondadori, il B. scelse di rientrare definitivamente in Friuli. Nel marzo 1727, grazie all’interessamento del conte Carlo di Savorgnan, fu nominato vicario della pieve di Flambro, e lì rimase per oltre dieci anni continuando le sue attività di ricerca documentaria e di promozione degli studi storici. Per sostentarsi, riprese anche l’attività di precettore: tra i suoi allievi di questi anni spicca il nome dell’istriano Gianrinaldo Carli che si trattenne presso di lui dal 1735 al 1738 per svolgere una parte della sua formazione giovanile. Pur trovandosi in una posizione logisticamente e culturalmente defilata, il B. restò una figura di primo piano e allacciò scambi epistolari con i maggiori eruditi, friulani e non, del suo tempo; collaborò anche attivamente ai lavori dell’Accademia di scienze del patriarca Dionisio Dolfin e successivamente a quella Ecclesiastica fondata dal suo successore, Daniele Dolfin, per la quale recitò la dissertazione inaugurale nel 1739. Nello stesso anno il patriarca gli attribuì l’arcipretura di Gemona, che era una carica ecclesiastica di grande rilievo, dal momento che quella chiesa aveva un’ampia giurisdizione e godeva di ricche prebende; a questa poco più tardi si aggiunse anche il vicariato generale dell’abbazia di Moggio. Al di là del prestigio che la nuova posizione attribuita al sacerdote friulano comportava, va segnalata anche la possibilità di allargare le ricognizioni archivistiche, possibilità che egli colse immediatamente e con competenza, realizzando un inventario di consistenza dell’archivio moggese e riordinando il materiale della pieve di Gemona; quest’ultimo costituì il fondamento per la stesura di due importanti sillogi documentarie: il Thesaurus iurium Glemonae e il De parochia Glemonensi. Una memoria che egli inviò al Gori sulla presenza in quel territorio di Toscani nel secolo XIII, gli valse la nomina, il 30 agosto 1747, ad Accademico della Società Colombaria di Firenze. Nel 1750, quando ormai già da tempo era in corso un acceso dibattito riguardante l’opportunità di sopprimere il patriarcato di Aquileia per risolvere l’ostilità che verso l’istituzione nutrivano i territori austriaci – pur essendo soggetti alla sua giurisdizione – il B. fu nominato consultore straordinario della Repubblica su proposta di Antonio di Montegnacco, pievano di Tarcento ed egli stesso consultore a Venezia; questa designazione fu dovuta proprio alla sua profonda conoscenza storica del patriarcato, che per parte veneta avrebbe dovuto essere uno degli elementi comprovanti la secolare tradizione dell’istituzione e rappresentare uno degli elementi decisivi per ostacolarne la soppressione. Con questo delicato incarico, poco dopo la sua designazione fu inviato a Roma insieme con il cardinale Rezzonico; il pontefice Benedetto XIV decise però di portare a termine quanto deciso, emanando il 6 luglio 1751 il decreto di soppressione del patriarcato e creando i due vescovadi di Udine e Gorizia. Il drastico ridimensionamento del potere e della giurisdizione provocò il risentimento di Daniele Dolfin, che non perdonò mai al B. l’inefficacia del suo intervento, giungendo anche a dubitare della sua buona fede. L’arciprete di Gemona si trattenne a Roma fino al 1753; scrupoloso annotatore, egli lasciò una dettagliata ed ampia memoria della sua permanenza presso la Santa Sede in cui si chiarisce come la sua posizione sia stata quella di un tentativo di compromesso e composizione della questione piuttosto che di aperta opposizione alla decisione pontificia, che egli probabilmente maturò dopo aver constatato che il destino del patriarcato era già da tempo segnato. Una volta rientrato in Friuli, continuò nella sua attività di promozione della cultura e di raccolta di testimonianze documentarie: fu promotore della riapertura delle scuole pubbliche e per compensare all’isolamento che l’ostilità del Dolfin gli provocò, costituì un circolo accademico in casa propria. Con la salita al soglio vescovile udinese di Gian Girolamo Gradenigo, nel 1766, il B. fu nuovamente coinvolto in ricerche storiche e consulenze per il riordino del ricco patrimonio archivistico ecclesiastico. Morì a Gemona il 16 marzo 1773. Nel corso della sua lunga attività, G. B. raccolse una notevole mole di documenti: per quanto riguarda il materiale storico, la silloge più importante è quella che egli stesso denominò Documenta Historica, ordinata cronologicamente e organizzata in volumi; a questa si aggiungono i Documenta Varia e le raccolte monografiche dedicate alla storia della provincia ecclesiastica Aquileiese, alle genealogie nobiliari e al patriarcato. Le sue relazioni erudite con intellettuali, studiosi, archivisti e bibliotecari contemporanei sono testimoniate dalla monumentale raccolta delle Lettere erudite e dalla Giunta alle Lettere d’erudizione, ordinate alfabeticamente per corrispondente. Le uniche opere pubblicate a sua firma sono alcuni componimenti poetici, inseriti per lo più in sillogi celebrative di poeti diversi; numerose sono le opere storiche pubblicate da altri, traendo in tutto o in parte i dati dalla mole di documenti che egli individuò e riordinò nel corso della sua esistenza.

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Bibliografia

MARCHETTI, Friuli, 410-417; A. PETRUCCI, Bini, Giuseppe, in DBI, 10 (1968), 514-516; DBF, 92; BALDISSERA, Degli uomini, 35; E. DEGANI, La corrispondenza epistolare di Lodovico Antonio Muratori con mons. Giuseppe Bini, Venezia, Visentini, 1897; G. VALE, I pievani e gli arcipreti di Gemona, Udine, Tip. del Patronato, 1901, 69-81; ID., Contributi di un friulano alla Biblioteca Vaticana, Udine, Arti grafiche cooperative friulane, 1923; P. PASCHINI, Arcadia in Friuli e Friuli in Arcadia, «MSF», 30 (1934), 17-52; L. DORIGO VIANI, Note sui friulani in relazione epistolare con Lodovico Antonio Muratori, Udine, AGF, 1967, 37-38; L. DE BIASIO, Giuseppe Bini e la cultura del Settecento, «La Panarie», n.s., 6/4 (1973), 44-48.

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