BONI ROCCO

BONI ROCCO (? - 1574)

rettore di scuola, poeta

Di R. B. sono ignoti sia il luogo sia la data di nascita. Per certo come notaio rogò a Tolmezzo dal 1544 al 1557 e fu rettore della locale scuola. Quindi fino al 1574, anno della sua morte, ricoprì lo stesso incarico presso le scuole di Trieste. Nel 1579 suo figlio Bertrando «faber lignarius» abitava ancora a Paluzza, mentre i figli Flaminio e Ortensio lo seguirono nella nuova condotta e qui, alla morte del padre, uno dopo l’altro gli subentrarono nello stesso ufficio di rettore, il primo per il periodo 1574-83 il secondo dal 1599 al 1605. Il Liruti conobbe di R. B. una storia della famiglia della Torre; ma l’autore è conosciuto soprattutto per la sua produzione poetica in latino. Compose un poemetto in esametri dall’incipit «Ver caput extulerat nitidum florentibus arvis», pubblicato nella raccolta Helice di Cornelio Frangipane. La sua opera più interessante è però un altro poema di 1694 esametri, intitolato Austriados libri quattuor, pubblicato a Vienna nel 1559 con l’approvazione del collegio poetico dell’Università di quella città e del giureconsulto G. Eder, rettore della stessa. La dedica a Ferdinando I, imperatore dei Romani, e a Massimiliano, re di Boemia, è in primo luogo spiegabile con il suo trasferimento nel nuovo ambiente culturale nel quale il rettore si trovò ad operare dopo la partenza dal territorio della Repubblica Veneta. Nella sua biografia appare interessante il fatto che fu amico e frequentatore di personaggi in odore di eresia, quali Matteo Bruno, che nel 1570, denunciato al Santo Uffizio di Venezia e imprigionato, si salvò abiurando l’anno successivo, e Giacomo Frangipane che nel 1572 venne denunciato come ugonotto. ... leggi Bisogna inoltre considerare che quel Giorgio della Torre, cui il B. rende omaggio nel poema, aveva invitato a predicare a Gorizia nel 1563 Primož Trubar, alla morte del quale nella sua casa fu trovata una ricca biblioteca di libri riformati. La definizione data da alcuni di “carme eroico” al poema è fuorviante per la comprensione del genere e della struttura dell’opera, che invece è ben chiarito dalla definizione che dello stesso dà nella dedica l’autore: «oraculum», profezia, visione. In effetti il modello afferisce più alla Commedia di Dante che ai modelli classici: l’autore narratore e personaggio; la guida (Mercurio-Cillenio); il viaggio ultraterreno voluto dalla divinità; la missione del dotto; l’intento didascalico. Il tono encomiastico, pur talora iperbolico, è mitigato dal brio da cronista e da una certa qual freschezza narrativa, soprattutto negli scorci panoramici che aprono su paesaggi arcadici; la classicità è fortemente presente, però con la sua mitologia mescidata, com’è tipico degli autori del cosiddetto “umanesimo cristiano”, con la mitologia cristiana. Il poema si apre con la canonica invocazione alle Pieridi per celebrare l’imperatore Ferdinando. Dopo aver appreso dalla Fama i mali, le stragi e le distruzioni che devastano la cristianità, il narratore rivolge una preghiera a Dio. Lo prende quindi il sonno, nel quale vede Mercurio che lo investe della sua missione, dicendogli di aver avuto l’ordine di condurlo nei cieli «ad Superos». Il dio lo trasporta in volo sull’Olimpo nel palazzo di Giove, che il poeta descrive minutamente nel suo splendore. Quindi lo accompagna a visitare le anime beate nei Campi Elisi/Paradiso. Sfilano a questo punto re, imperatori della stirpe asburgica fino a Carlo V e nobili. Inizia poi il viaggio che dall’Olimpo li porterà ad Augusta, sorvolando Gorizia, dove Mercurio si ferma e permette al poeta di effondere un elogio dei suoi protettori e dell’ubertosa campagna. Tappa successiva è l’Austria, dove regnano «ubique fides, virtus, clementia mores / et pia religio», fino ad arrivare nella città imperiale, della quale descrive tutto lo splendore e dove chiama a raccolta, per celebrare la gloria degli Asburgo, gran parte dell’immaginario mitologico classico. Nella reggia (libri III e IV) si celebrano le virtù di Ferdinando e Massimiliano e di quest’ultimo si profetizza la futura opera di pacificazione e la vittoria sui Turchi. Il terzo libro si chiude con un ritratto altisonante ed encomiastico di Ferdinando. Il viaggio è terminato. Prima di scomparire, Mercurio gli ricorda ancora il motivo dell’eccezionale privilegio concesso dal cielo.

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Bibliografia

R. BONI, Ver caput extulerat nitidum florentibus arvis, in Helice, 64; ID., Austriados libri quattuor, Vienna, M. Zimmermann, 1559; L’Austriade di Rocco Bonii. Carmi di Rafaele Zovenzoni ristampati […], Trieste, Tipografia del Lloyd Triestino, 1862.

LIRUTI, Notizie delle vite, IV, 348; A. BATTISTELLA, Il S. Officio e la riforma religiosa in Friuli. Appunti storici documentati, Udine, Gambierasi, 1895; P. PASCHINI, Riforma e Controriforma al confine nord-orientale d’Italia, Roma, Tip. Poliglotta vaticana, 1922; S. CAVAZZA, Primož Trubar e le origini del luteranesimo nella contea di Gorizia (1563-1565), «Studi Goriziani», 61 (1985), 7-25; FERIGO, Morbida facta, 7-73; P. MASTRANDREA - M. PASTORE STOCCHI, Poeti d’Italia in lingua latina. Un archivio elettronico da Dante al primo trentennio del XVI secolo, in Il latino nell’età dell’umanesimo. Atti del convegno (Mantova, 26-27 ottobre 2001), a cura di G. BERNARDI PERINI, Firenze, Olschki, 2004 (Accademia nazionale virgiliana di scienze lettere e arti. Miscellanea, 12), 35-50.

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