BORGHELLO RINO

BORGHELLO RINO (1914 - ?)

insegnante, poeta

Immagine del soggetto

Il poeta Rino Borghello.

Nacque a Pontebba il 4 giugno 1914, ma ben presto si trasferì a Udine, per considerarsi poi «un udinese purosangue, del Centro del Centro, di quella dolce e mitica Udine anni Venti e anni Trenta descritta da Renzo Valente, un piccolo mondo che ruotava attorno a Piazza Vittorio e ai Giardini Ricasoli». Laureatosi a Firenze in letteratura italiana, rientrò a Udine, dove per molti anni insegnò all’Istituto tecnico Zanon. Direttore di «Sot la nape» dal 1949 al 1955, presidente dell’Accademia di scienze, lettere e arti, presidente dell’Università popolare, presidente del comitato friulano della Dante Alighieri, fu apprezzato conferenziere in Italia e all’estero, con un particolare interesse per la dizione. Morì il 6 febbraio 1992. Intellettuale dal profilo ricco, B. si può considerare titolare «unius libri»: Poesiis, edite nel 1947 con il patrocinio di Giovanni Lorenzoni e riproposte con ulteriori contributi nel 1975. Sue pagine sparse sono state riunite in volume nel 1993, con la discreta regia del figlio Giampaolo, che sigla una concisa nota introduttiva. Ricordi, brani di diario, ritratti di pittori, versi, a datazione per lo più alta (tra il 1948 e il 1952), sono riorganizzati in capitoli, a scandire una vicenda a suo modo narrativa, dove all’italiano si affiancano un episodio friulano e uno veneto, un repertorio di nitida pertinenza sociolinguistica. La città e la morte in prima battuta, dove protagonista è una fanciullezza maturata negli spazi aperti e nel perimetro del duomo, in un arco che dal primo fiorire della vita conduce al suo epilogo, alla morte: nell’insolito dialogo che il bambino instaura con i defunti frequentando gli obitori, nella continuità degli affetti che il cimitero ebraico di San Daniele suggerisce, fornendo al volume l’epigrafe «Usque dum vivam et ultra», una divisa e una consegna. ... leggi A seguire Incontri: con Trilussa e «lo stupore ariostesco dei suoi occhi», Papini e la sua «pensosa volontaria solitudine», Clelia Panzini e la trama di «certi pomeriggi, pieni di dolce pensosità, lì, nel giardino della ‘casa rossa’ di Bellaria, ove giunge l’eco del mare», per rifluire nel cerchio udinese con Olvino Mauro, compagno d’infanzia della favolosa via della Posta, poi via Vittorio Veneto. Promettono orizzonti larghi I viaggi, che evocano la dimensione del tempo memorabile: Verona (con la sua «armonia di linee e di colori»), Recanati (ed è Leopardi: «E tu passi, col respiro sospeso, di stanza in stanza. E ti senti povero in mezzo a tanta dovizia di stucchi dorati…»), San Mauro (ed è la casa di Pascoli: «E triste mi sento – senza un perché, per troppi perché, forse – mentre mi avvicino… non mi commuove questa casa. Piuttosto mi turba, mi gela come un incubo: l’incubo del Male, che ha distrutto una famiglia laboriosa, pacifica, stretta dai vincoli del più tenero affetto»), e in punta l’eccentrica Ungheria (con il suo Istituto italiano di cultura, dove B. assiste agli esami di fine anno, «stupefatto nel constatare con quanto interesse i giovani stranieri frequentano i nostri corsi di lingua»). Con Azzurri asfodeli, l’angolo della poesia, prende corpo una singolare vena sperimentale: da Madonna Povertade, che recupera un italiano arcaico, sulla traccia di Iacopone («Madonna Povertade, aggi de me pietade. / No farme de l’arjento – lo pondo disiare, / ka molto jovamento – al cor no me po dare…»), a El Dio Baco nel Veneto, un ditirambo veneto. Il titolo della sezione è fornito da uno dei testi, Le stelle regine dell’alpe: «Son gocce / cadute / dall’alto dei cieli / le stelle regine dell’alpe. / Costellan le rocce, / e sembrano azzurri asfodeli / del mondo di là…». In coda, a sigillo, la tappa riservata ai Colori (della pittura, s’intende), con medaglioni per artisti friulani: Bepi Liusso («Con lui ho imparato a conoscere la mia terra, il mio Friuli…»), Antonio Coceani (la sua «pennellata sommessa…», la sua «pennellata succosa, ma guardinga…») e il meno conosciuto Aldo Tavian (con il suo «mondo rurale, virgiliano» e il «senso di pensosa serenità, di pace, di francescana letizia», che ne discende). E proprio la sosta su Tavian consente di giungere, rilevando la coerenza interna, alla scrittura friulana di B., che cronologicamente precede: «mondo rurale» e «francescana letizia» costituiscono nessi chiave. Di tale scrittura Laudes creaturarum e cinque «fioretti», «versioni che conservano l’arcaicità del testo dugentesco» (D’Aronco), formano il segmento estremo. «Laude a Ti, miò Signôr, – pe nestre sûr, nestre muart corporâl: / che di jé nissun mai nol po’ s’ciampâ…» [Lode a Te, mio Signore, – per la nostra sorella, nostra morte corporale: / ché di lei nessuno mai può scappare…] aderisce alla lettera dell’originale. Alla lettera aderisce anche Cemût che San Francèsc al à dismesteât lis tortorelis [Come San Francesco ha addomesticato le tortorelle]: «Alore chel zovin, par grazie dal Signôr, al regale subit lis tortorelis a San Francesc; e lui, ciapadilis tal grin, al scomenze a ciacaraj plan planchin: ’O surutis mês, tortorelis simplizutis e inocentinis, parcè mai po vi lassàiso ciapâ? Eco, cumò io vuei salvâus e ’o vuei fâus il nît, par vie che vualtris ’vês di moltiplicâsi, come c’al dîs il vuestri Creatôr’…» [Allora quel giovane, per grazia del Signore, regala subito le tortorelle a San Francesco; e lui, presele in grembo, comincia a parlare loro pian pianino: “O sorelline mie, tortorelle semplicette e innocentine, perché mai vi lasciate prendere? Ecco, adesso io voglio salvarvi e voglio farvi il nido, perché voi dovete moltiplicarvi, come dice il vostro Creatore”…]. Dove si osserverà il regime fermo della fedeltà, che esclude l’ingresso di un vocabolario più ruvido e colorito. Nelle poesie la mano esperta di Lorenzoni ha isolato «una nota schiettamente paesana» (e dunque una rimozione della città e della sua cultura più affinata), «un discorrere piano e pacato» (e dunque una scelta di semplicità stilistica), «un alone di malinconia insoddisfatta» (e dunque un turbamento che non sa assestarsi nei parametri paesani e nella semplicità), «il mistero dell’aldilà» (e dunque una crisi che forse annuncia il suo sbocco). La metrica è nel segno della tradizione, con una preferenza per i distici di doppi quinari a rima baciata, per le quartine di ottonari a rima alterna. Nei versi trova udienza il tema dell’infanzia («La jarbe jé alte; / di mente ’e à odôr: / e saltin supètz / sul plan dal Cormôr…», L’erba è alta; / di menta ha odore: / saltano cavallette / sullo slargo del Cormor…), vi si accampa il motivo del dolore, della morte: la morte giovane, la morte a vita ormai consumata. Hanno ruolo nitido gli affetti familiari, con la piega della tenerezza: Il mio frut [Il mio bambino]. Raro per contro è il guizzo giocoso, come (e inaspettatamente) in Lis ciampanis dal mio borc [Le campane del mio borgo]: «Odeosis / […] // La lor vôs e’ jé vajote, cavilose, / tichignose…» [Odiose / […] // La loro voce è lamentosa, cavillosa, / sentenziosa…]. E non istituzionale è il riverbero di un pessimismo leopardiano in Cioche vajote [Sbornia piagnucolosa], pur sfumato dalla cornice e dallo schema metrico: «Tal nassi, tal cressi / e fin tal murî, / jé simpri che stòrie: / si scugne patî!» [Nel nascere, nel crescere / e perfino nel morire, / è sempre la stessa storia: / si è costretti a soffrire!]. Come non istituzionale è la «malandrete ipocondrie» [maledetta ipocondria], il motivo di una fede smarrita, oggetto di nostalgia, una fede forse ritrovata: «Di bessôi no si fâs nie / in chest mont tant sacodât; / senze Vô si piart il troi, / cheste ’e jé la veretât!» [Da soli non si fa niente / in questo mondo così sconquassato; / senza di Voi si perde il sentiero, / questa è la verità!]. Così il pensiero indirizzato Al Signôr.

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Bibliografia

Poesiis, Prefazione di G. Lorenzoni, Udine, AGF, 1947; Poesiis, a cura di A. BORTOLOTTO, con un giudizio di S. Benco, Introduzione di M. Quargnolo, disegni di G. Linda, Udine, Circolo di cultura “Luigi Einaudi”, 1975; Le stagioni del tempo. Pagine ritrovate, Tricesimo (Udine), Vattori, 1993, con testimonianze di M. Quargnolo, O. Burelli, P. Zanfagnini, D. Cerroni Cadoresi, A. Cosattini, G. Fornasir e B. Maier, e una nota biografica.

DBF, 104; A. DE BENVENUTI, Recensione a Poesiis, «Ce fastu?», 23/1-4 (1947), 47-48; Mezzo secolo di cultura, 38-39; A. CI[CERI], Recensione a Poesiis, «Sot la nape», 28/1 (1976), 101; D’ARONCO, Nuova antologia, III, 143.

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