BORTOTTO CESARE

BORTOTTO CESARE (1923 - 1996)

funzionario delle ferrovie, poeta

Casarsese (ma la madre era di Tarcento), nato nel 1923, fu protagonista della stagione pasoliniana degli «Stroligut» e dell’“Academiuta di lenga furlana”, legato a Pasolini da amicizia fin dal 1941, ma già compagno dal 1938, quando i due si conobbero durante i brevi soggiorni estivi del futuro poeta presso la casa materna. Compiuti gli studi liceali, B. era nel 1942 giovane maestro elementare a Zoppola. Percorse poi altra via e, come funzionario presso le ferrovie, lavorò a Venezia e Treviso, per stabilirsi infine a Udine, dove morì nel 1996. B. è stato uno dei “custodi” privilegiati dell’“Academiuta”, nonché del fervore politico e delle discussioni storico-linguistiche e letterarie di Pasolini. Fu B. ad avvicinare a Pasolini, studente universitario a Bologna, Riccardo Castellani e le prove friulane di entrambi sono collocate nel 1943 sulle pagine de «Il Setaccio». Sempre B. fu testimone dell’incontro tra l’autore delle Poesie a Casarsa (1942) ed Ercole Carletti e del maturare del dirompente pensiero poetico e delle idee autonomistiche pasoliniane. Seguirono, stringenti, gli esperimenti pedagogici (la scuola privata di San Giovanni di Casarsa, organizzata da Pasolini, Castellani e Bortotto, quella di Versuta, laboratorio di poesia), la nascita della rivista (i due «Stroligut di cà da l’aga» del 1944, i successivi «Il Stroligut», n. ... leggi 1 e n. 2, «Quaderno romanzo», n. 3) e dell’“Academiuta” (febbraio 1945). Sullo «Stroligut di cà da l’aga» di agosto compaiono tre poesie e una villotta di B., precedute dalla dedica «A Cesare Bortotto lontan dal so pais e dai so amics dos letarutis» [a Cesare Bortotto lontano dal suo paese e dai suoi amici due letterine] (una poesia di Castellani e una breve prosa di Pasolini); altri testi in prosa e in poesia occupano «Il Stroligut» n. 1 e n. 2, dove ritorna la villotta (nella sezione Cabulis, «Il Stroligut» n. 1) ma compaiono anche le traduzioni da Paul Verlaine e Valeri Larbaud. Il talento di B. interseca e assorbe, con maestria, le parole simbolo e la lezione pasoliniana nella trama di rinvii allusivi, negli accostamenti e rimandi fonici, in un discorso poetico sotteso riconoscibile che pone l’io al centro («Jo i soi chi besòul» [Io sono qui solo]; «Jo i scolti tasìnt / chel dolòur, / quant che la not / a vif ta li ranis» [Io ascolto tacendo / quel dolore / quando la notte / vive tra le rane]; «I vuardi tai to vui turqins, dulà q’a si riflet l’aga clara dal me pais. […]. Tu no ti sas nuja e ti ridis […]. Se eisa q’a nu divit, o frut?» [Guardo nei tuoi occhi turchini, dove si riflette l’acqua del mio paese […]. Tu non sai nulla e ridi. […]. Cos’è che ci divide, o fanciullo?]; «Jo i soi smarit lontan / ta n’altri vint, / su un flun sensa pì aga» [Io sono smarrito lontano / in un altro vento / su un fiume senza più acqua]. Il respiro di questa poesia, che guarda esplicitamente alla tradizione romanza ed europea moderna e che vede nella verginità del friulano occidentale la lingua poetica per eccellenza, si confronta di buon grado con la traduzione, essa si dà anzi come programma per l’“Academiuta” (cfr. Pasolini, Dalla lingua al dialetto, «Ce fastu?», 1947), su un piano di equivalenza tra lingue che scardini profondamente la maniera dialettale. Le prove di B. (Gáspar Hauser al çanta [Kaspar Hauser canta] da Verlaine, Il mar al mi çacara [Il mare mi parla] da Larbaud) ricreano i testi di partenza giocando sui valori fonici del friulano occidentale («Je suis venu, calme orphelin, / Riche de mes seuls yeux tranquilles, / Vers les hommes des grandes villes: / Ils ne m’ont pas trouvé malin» [Io sono venuto, calmo orfanello, / ricco solo del mio sguardo tranquillo, / verso gli uomini delle città: / non mi hanno trovato scaltro]: «I soi vignut, uàrfin tranquil, / paron dai me vui sarens, / viers i òms da li grandis sitàs: / qei, çatif a no mi àn çatat» [Sono venuto, orfano tranquillo, / padrone dei miei occhi sereni, / verso gli uomini delle grandi città: / quelli, cattivo non mi hanno trovato]. Chiusa la stagione pasoliniana, B. scrisse ancora sulle riviste della Società filologica friulana e su altri periodici, accostandosi anche a «Il Tesaur» di Gianfranco D’Aronco (il suo corpus non trova la forma del volume), ma, abbracciando il friulano centrale, le inquietudini metaforiche delle rime casarsesi si stemperano in una tonalità di ricordo e riflessione nostalgica. Alla poesia preferiva la scrittura tecnica, e i suoi contributi sui trasporti ferroviari in Friuli sono stati apprezzati su varie monografie e periodici.

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Bibliografia

Scritti di C. Bortotto: Completato lo scalo ferroviario di Villaco, «Rassegna tecnica del Friuli-Venezia Giulia», 42/2 (1991), 16-19; Ferrovie in Friuli: da Udine verso Venezia sulla ferrovia pedemontana, Udine, Dopolavoro ferroviario, 1991; Casarsa e le sue ferrovie sulla riva occidentale del Tagliamento, Tavagnacco, AGF, 1995; Con Pasolini nel tempo di Casarsa, in Ciasarsa, 331-338.

M. MICHELUTTI, Antologia di una scuola poetica, in Ciasarsa, 319-332; G. ELLERO, Cesare Bortotto testimone di Pier Paolo Pasolini, «Sot la nape», 50 (1998), 4.

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