BROILI TONI

BROILI TONI (1796 - 1876)

poeta

Nacque a Udine il 14 febbraio 1796 da Giuseppe e da Santa Barbetti e a Udine morì il 10 febbraio 1876. Una vita lunga e inquieta, aspra e ben poco festosa, che B. stesso provvide a fissare con arruffata dovizia di dettagli nella sua antifrastica Sagre de vite [Sagra della vita], un poemetto in terzine pervenuto in più di sette redazioni: «un documento umano di disarmante e straziante sincerità», «un’opera di notevole interesse non solo nell’ambito della poesia del Broili, ma anche di tutta la produzione poetica friulana dell’Ottocento» (Faggin). Nella chiave canonica dell’autocompianto, che orienta e vincola il registro, magari forzandone la monotonia cupa, il racconto si svolge dalla nascita prematura alla morte del padre, dai non buoni rapporti con la madre ai rapporti pessimi con la moglie, dalle cure familiari all’attività di antiquario. B., con un iter scolastico irregolare e ben presto abbandonato, fu orefice e linaiolo, frequentò il seminario, fu tessitore e fonditore di campane. Al matrimonio si decise tardi, già sessantenne, «senze gole di chiar ne d’interess» [senza bramosia di carne né di interesse]: Elisa Del Col, «una mediocre pittrice bellunese», «gli dette molto filo da torcere», premorendogli il 12 aprile 1865. «Né pare che poi con la serva, che facea da padrona, se la passasse meglio» (Chiurlo), pur se qui subentrano maglie di altra (e non asettica) maldicenza. «Mi han dat a duess cun tal disinvolture / Che se no vess glutit da indiferent, / L’ombre no saress plui de me figure» [Mi hanno dato addosso con tale disinvoltura / che se non avessi inghiottito senza reagire, / l’ombra non sarei più della mia figura]. Alla stampa B. giunse solo nel 1843, per esaurirne l’arco nel 1856: un percorso breve (ma la bibliografia nota andrà integrata con i versi ospitati nel 1866 dal «Martello», un foglio di opposizione al vetriolo). Una congiuntura cruciale per gli eventi politici, ma cruciale anche per l’ottica più modesta della scrittura friulana: dalla specola udinese, che aveva il suo apice in Zorutti, con il quale la collisione fu inevitabile. ... leggi Una ostilità sorda e acremente ricambiata, che nei versi di Zorutti deposita una sequenza cospicua di ammicchi: sull’«antiquari» (e sulla serva che in modi bruschi lo gestisce), sul «çhiampanar» (una manualità che degrada), sul «mus», sull’asino che, nel bestiario di Zorutti, assume valori plurimi, ma che dallo snodo di metà secolo si riverbera con vituperosa insistenza su B., dando esca ai complessi di persecuzione di questi, che nello stesso censore Iacopo Pirona vedeva un prevenuto patrono dell’avversario. Un confronto impossibile, una emulazione che condanna B. all’insuccesso, ma non all’abbandono della poesia, che si affida a una quantità impressionante di manoscritti («un versomane»: Chiurlo; una «grafomania poetica», «fecondissima, tumultuaria, caotica e non sempre castigata»: Pilosio), dai quali potrà emergere una più duttile e adeguata messa a punto della personalità. Un insuccesso che si specchia negli stenti delle fortune critiche: «di lui poche parole bastano, e forse sarebbe pietà non accennarlo affatto. Scrisse molto perché aveva molta fiducia in se stesso, e scrisse malissimo. Volle misurarsi con l’aquila, ma gli mancarono le penne; cantò come Zorutti la soave pioggia d’aprile, ma non sentiva la bellezza, faceva versi non poesia» (M. Ostermann). Su B. si sofferma Chiurlo in una nota del suo studio introduttivo alle Poesie friulane di Zorutti, con una concessione: «fra tanta roba sciocca, il Broili ha pure alcune vivezze poetiche…». Analoga concessione affiora nella Antologia della letteratura friulana: «fra tante cose risibili, ha pure di queste freschezze…». E in A proposito di «stupido» in friulano: «Al Broili non è stata resa quel po’ di giustizia che pur merita, causa la schiacciante superiorità artistica dello Zorutti… Ma questa testa pazza, in mezzo a un’erudizione abborracciata e indigesta che lo faceva spesso cadere in ridicoli errori, in mezzo alle sue tiritere quasi sempre senza capo né coda, alla sua sintassi e alla sua grammatica Diu-nus-judi… ha lampi di vivacissima rappresentazione, frasi argute, taglienti, definitive, e, mescolati a cose quasi senza senso, alcuni accenni realistici notevoli. È, in ogni modo, una fonte preziosa per la storia del costume e della lingua del tempo». Chiurlo coglie con acutezza il peso della lingua: «è uno degli autori friulani più interessanti dal lato linguistico. Accanto a italianismi sfacciati (ma non dannosi, perché subito riconoscibili: voglio dire non insidiosi al glottologo come quelli dello Zorutti troppo artisticamente fusi col resto), egli ha un tesoro di termini schiettamente contadineschi, alcuni dei quali non si trovano altrove. E pel dizionario friulano sarà assolutamente necessario farne lo spoglio». Ma il poeta resta prigioniero di non imbarazzate omissioni, di formule riduttive: «strano e strambo», «bizzarro facitor di rime» (Pilosio), ed è sintesi benevola di un più ruvido profilo. La stessa segnalazione del peso linguistico, così perentoria e irrefutabile, è rimossa dai curatori del Nuovo Pirona. Una sorta di «damnatio memoriae», che subisce una virata (peraltro senza ricadute palpabili) con Faggin: critico, editore di testi e, soprattutto, lessicografo. Il suo Vocabolario della lingua friulana conta ben duemila schede da B., «il rivale udinese dello Zorutti, che malgrado la farragine della sua produzione resta pur sempre il maggior poeta friulano del secolo scorso»: «un lessico straordinario», ma anche una gerarchia che si rovescia (ed è poi ribadita, pur se in forma meno categorica: B. «ci sembra artisticamente più valido: ma la sua poesia sovente farraginosa, le sue arditezze stilistiche e la sua lingua difficile non gli conciliarono le simpatie dei contemporanei», Belardi – Faggin). L’almanacco di B. si distende in filiera dal 1846 al 1851, variando leggermente la testata (Il lunari furlan cun diviars trucs…, ma I trucs furlans. Ombre di lunari par l’an 1851), affiancando un supplemento nel 1847 (I trucs furlans), con una ripresa a distanza (Lunari furlan par l’an bisest 1856). Il taglio complessivo non si scosta dalla impostazione che al genere aveva impresso Zorutti: un risarcimento dalle miserie della vita, un diversivo gaio o ridanciano, con qualche pausa di «serietà». È limpido in tal senso uno stralcio del 1850: «Torni al scritori dei pinsirs umans / Par podè quatri trucs burimi fur / Che us fasin sgangassà sere e domans / A dispiett d’ogni diaul di crepecur» [Torno allo scrittoio dei pensieri umani / per scovare fuori quattro curiosità / che vi facciano ridere a crepapelle sera e mattina / a dispetto di ogni diavolo di angustia]. Ma il paradigma collaudato con il pronostico (meteorologico e morale) a contatto con le fasi lunari, una apertura più larga in avvio di stagione, subisce ritocchi vistosi. Le fasi lunari sono fornite di uno stacco, con scorci naturalistici tanto ovvi quanto generici: «Dut il Cil in confusion: / Schizze il lamp, al scroche il ton, / Ma si torne a meti in sest / Cun t’un frigid Arc celest» [Tutto il cielo in confusione: / guizza il lampo, scoppia il tuono, / ma tutto si riassesta / con un freddo arcobaleno]; con un prevaricare peraltro dello scherzo: «Une Lune tant distrate / No hai viodut in vite me. / Zire ator come une mate / In strazzos disabiliè. / Co la Lune batt la Lune / Nanchie il diaul po fa furtune» [Una luna così distratta / non ho visto in vita mia. / Gira attorno come una matta / in logora vestaglia. / Quando la luna batte la luna / nemmeno il diavolo può fare fortuna]. Anche i segni zodiacali si assicurano l’evidenza di un distico: «Par podemi incandì fin l’umbrizon / Il Soreli l’è lat cumò in Leon» [Per potermi riardere fino all’ombelico / il Sole è andato adesso in Leone], con il Sole nella costellazione del Leone; «Isal trop ch’al fas Febo l’ormentar, / Ch’al strissine lis chiavris par il cuar?» [Da quanto tempo Febo fa il pastore, / che trascina le capre per il corno?], con il Sole nella costellazione del Capricorno, con il capriccio sornione della trovata. La metrica svaria dalle quartine di senari alla sesta rima di ottonari, dal sonetto alla dilatazione del poemetto (come l’Accademie des massaris in quatri chianz. Storie veridiche del dì di uè [Accademia delle serve in quattro canti. Storia veridica del giorno d’oggi], in quartine di ottonari, il cui quarto canto è rinviato all’annata successiva: il poemetto, che gareggia con la satira delle sartorelle di Zorutti, avrà poi una edizione autonoma), ignorando totalmente istanze di equilibrio. Basterebbero i brani riferiti a tradire il vezzo del lessico culto, non demotico: come «gorgheggio», «decoro virginal», come «L’è l’ajar iteric, / L’è il timp climateric…» [L’aria è itterica, / il tempo è climaterico…], con la mitologia che si propaggina (Caronte, Eolo, Marte, Mercurio). Ma altro spessore ha il comparto meno compromesso con l’italiano: «dandanant» [ciondoloni], «marclass» [goffo], «pan clepp» [pagnotta per soldati], «ruse» [astio], un colorito latinismo come «tibisoli» [antifona, rimbrotto], di cui la lingua viva si è appropriata, uno sperduto «tont di lune» [luna piena]. Fascino sottile ha anche il costume, con la moda femminile: «La biele in spolvarine…» [La bella in soprabito], nel fotogramma più lineare, «Bustinadis, ben slicadis / O che trotin in roclò…» [Strette nel busto, ben lisciate / o che trottano in mantello…], un lemma per il quale si rinvia al dizionario veneziano di Boerio; e maschile: «Se un fantat marchie in moschetis, / Pipe, sigar e barbin…» [Se un giovanotto incede con baffi, / pipa, sigaro e barbetta…]. Emerge però anche l’altra faccia, l’universo degli umili: «In bragons cui vencs pontaz…» [In braghe tenute su con i vimini…]. L’annata successiva modifica l’impianto, riducendo lo spazio del calendario e liberando in autonomia un blocco compatto (in realtà privo di ordine interno) di versi. Dove si esalta la figura del catalogo: «Che mi vegni la giandusse, / La tarantule, il madron…» [Mi venga la peste, / la tarantola, l’ostruzione intestinale…], nella tradizionale litania di malanni, «S’inee il folon, l’avar, il detrator, / L’egoiste, il superbo, il temerari…» [Si annega il gradasso, l’avaro, il detrattore, / l’egoista, il superbo, il temerario…], nel cataclisma del diluvio, «Protez la salatine, / I spargs, lis melanzanis, / I vas, i strops e altanis, / Tesaur del miò zardin…» [Proteggi l’insalatina, / gli asparagi, le melanzane, / i vasi, le aiuole e altane, / tesoro del mio giardino…], a gara con l’antagonista Zorutti. Con la polarità usuale (e comunque zoppa) tra livello aulico («clamide», «filantropie», «tetri oror», il notevolissimo superlativo di un nome: «Bibliotechissimis, / Litografiis, / Gran librariis / E monumenz…») e una panoramica rustica come «Cul selear va Elie / A repezzà il so tett…» [Con la paglia di segala va Elia / a riparare il so tetto…]. Una polarità che non viene meno nel fascicolo destinato al 1848, con i suoi sintagmi nobili, non nativi: «fuarce centripete e centrifughe», «globo aereostatic» (e «mecanismo aereostatich»), «iluminade a giorno», «strade ferade»; e le più ruvide grane del parlato: Il stupit [Lo stupido], un sonetto stipato di varianti dell’epiteto ingiurioso, e emergenze singole come «Stafarit a la fughere…» [Installato vicino al fuoco…] e un onomatopeico (e non altrimenti rilevato) «quant ch’hai fan farai tarapatà» [quando ho fame farò tarapatà]. Il calendario si contrae ulteriormente, condensando nel distico lo stacco delle fasi lunari: «Senze bez e plen di fan / Tai forment e o fas il pan» [Senza soldi e pieno di fame / mieto frumento e faccio il pane], «Uè il soreli tai recess / A nus bruse fin i uess» [Oggi il sole nei luoghi riparati / ci brucia anche le ossa], «Dutt glazat o voi sui stizz / E la sui cui pitiniz» [Tutto infreddolito vado sui tizzoni / e me la cavo con le rape lesse], dove è fresco il ricordo di Ermes di Colloredo. Si incrementa il repertorio linguistico: con il primo ingresso della prosa friulana e con il ricorso a miscele maccheroniche. Nella doppia articolazione: di un friulano che morde nell’italiano («Già scrocca, fugge, scrassola…» [Già cede, fugge, gracida…], «Sdrondeneran frissorie, / Sglinghineranno veri…» [Strepiteranno padelle, / tintineranno vetri…]) o si innesta nel latino («Et lantem per viam mungulabat tremantem…» [E andando per la strada mugolava tremando…], «Et risus factus est in ore multorum…» [E il riso si formò sulla bocca di molti…], a parafrasare la locuzione latina «Risus abundat in ore stultorum», incrociandola con il liturgico «Et homo factus est»). Anche la metrica esibisce novità sensibili, emancipandosi dagli schemi chiusi a vantaggio di moduli più sciolti, schiettamente zoruttiani nel procedere a biscia e nel ricorrere al dispositivo della rima baciata: in una più esplicita competizione. Anche nel campo dell’epigramma. Con esiti notevoli, come nel caso di Lis necessitas del Sior [Le necessità del signore]: «Al sior – no j ocor / Nome onors, / Squisitezzis, / Belezzis, / Zoventut, / Salut, / Sbelez – lichez / Chiass – spass, / Un po di comand / E adulazion di quant in quant. / Inquintri al puar om, a no j convente / Nome un pochie di pas cu la polente» [Al signore – non occorrono / solo onori, / squisitezze, / bellezze, / gioventù, / salute, / belletti – ghiottonerie / chiassi – spassi, / un po’ di comando / e adulazione di quando in quando. / Per contro al poveruomo non serve / che un po’ di pace con la polenta]. Dal 1849 il privilegio della posizione iniziale è attribuito al blocco dei testi (i «trucs», aneddoti, amenità, facezie), mentre il calendario slitta in coda (ed è ancor più spartano, riservando stacchi metrici alle sole fasi lunari, non senza spunti balzani e surreali: «Lis Plejadis contrastin cu la dentri / Arcipetegolissimevolmentri» [Le Pleiadi contrastano là dentro / arcipettegolissimevolmente], «J è la lune pitinine / Come l’uv d’une gialine» [È la luna piccolina / come l’uovo di una gallina]). L’eco del 1848 non si spegne (allusioni alla guerra, all’incubo delle spie), ma nella garanzia di un ordine ristabilito: «Fatti, mia Musa, a venerar persuasa / Nume in Ciel, Prete in chiesa, Prence in casa». Lo sperimentalismo si produce oltre: negli estri satirici («Cumò i cuarz e son di mode…» [Adesso le corna sono di moda…]), nel maccheronico (che mutua i terzetti monorimi del Dies irae), nel coacervo stralunato delle lingue (tedesco, francese, latino, veneto), che assecondano la frenesia etilica del Carnevale, nell’indugio assaporato su partiture onomatopeiche («Drendérum Drendérum Cincin», che non esige parafrasi, «J sisiche t’une orele / Bisu bisu, zu zu zun» [Gli bisbiglia in un orecchio…]). La lingua fornisce altre tessere di rilievo (con il solito piano doppio: «baruchele», marachella, ma «sinderesi») e offre indizi di più diretto interesse dialettologico: «Belsebu» [Belzebù], «Mansignell» [Manzinello], «rasirs» [raggiri], «sisiche» [bisbiglia] (e nel 1850: «clussivin» [covavano], «manasse» [minaccia], «meselane» [mezzalana]), documentano il passaggio della affricata dentale a fricativa, con perdita del tratto occlusivo. Una innovazione quantomeno incipiente. L’almanacco del 1850 propone altri scampoli di prosa friulana (sintatticamente anarchica), conferma la ricchezza del vocabolario nel ricorso plateale alla figura del catalogo, disegnando lo scompiglio prodotto dal vento in un ammasso di nuvole (in friulano maschile): «Ju distirin, ju ingredein, / Ju sgiavelin, ju dispein, / Ju separin, ju misturin, / Ju sacodin, ju buzurin…» [Li spianano, li arruffano, / li spettinano, li slegano, / li separano, li mescolano, / li scuotono, li irretiscono…]; o Giona che si affanna in mare: «Galeze, daspe, vòngole, / Sprofonde, e a ’l è inglutit…» [Galleggia, annaspa, ondeggia, / sprofonda, ed è inghiottito…]. Ed è un pezzo di bravura Il rosari di ciarz contadins [Il rosario di certi contadini]: il latino ne esce grottescamente deformato («Paternoster quitincelis / Tificetur nomentun»), intrecciandosi con la quotidianità più frusta («A si rive a lis letanis, / Tambarlant quant che a ’l covente, / Si messede la polente, / Po si struchie e si spartiss…» [Si giunge alle litanie, / alzando la voce quanto serve, / si mescola la polenta, / poi si rovescia e si divide…]), magari ipersegnata, ma vera, comunque in frizione con i vari «astio», «prole», «eterno corir» (per corriere). La personalità di B. si riassume nella vicenda del suo Lunari e in tutto minori vanno considerati i non numerosi opuscoli pervenuti: Il furlan in Parnas, del 1843, resoconto di un viaggio alle terme di Arta, componimenti per la fusione di campane (In ocasion d’imparegiabil conciart di tre chiampanis del pes di liris 5941 fondudis da Bastian Broili di Udin, del 1843, A Luigi Broili fonditore in Udine retto di cuore, sincero, prudente onesto nei prezzi franco nell’arte esatto nell’incombenze, del 1849); la già citata Academie des massaris, del 1850; le Poesiis furlanis e italianis sul ingress, fazz e muart di monsignor Zacarie Bricito, del 1851; gli scherzi su Vite, test e muart di Carneval [Vita, testamento e morte di Carnevale] e I giazz. Scene sui cops [I gatti. Scena sul tetto], del 1855 e 1856. Non minore per contro è La metamorfosi udinese da j 17 marz a j 24 avril 1848, uscita nel 1849, che Chiurlo bolla come «ingenerosa», pur riconoscendole «un senso realistico del ridicolo e una capacità di rappresentare gente in movimento, notevoli». Che Leone Pilosio condanna senza attenuanti: «Ma di questa satira, sconsigliatamente volgare, che irride gli entusiasmi, le improvvisazioni o le ingenuità quarantottesche, con numerosi e volgari spunti caricaturali, doveva suonare amaro insulto per tutti coloro che avevano combattuto e sperato nell’ora del fervore e che – mentre il poeta antiquario pubblicava la sua filastrocca poetica – si avviavano verso il duro esilio o trepidanti dovevano provvedere alla salvezza delle loro famiglie». Per Belardi e Faggin B., «che fu testimonio oculare del ’48 udinese, ne fece una feroce caricatura» (ma «il ’48 udinese non si prestava propriamente al tono epico»). Si tratta di un ditirambo scatenato, stravolto nella valanga delle rime baciate, che però, «sotto forma scherzosa», riproduce i fatti «con schietta verità» (D’Agostini). Non tutto è trasparente: per il registro adottato, per il caotico sovrapporsi delle voci, per il precipitare delle cose, per la confusione che fa ressa. In avvio l’antefatto, un carnevale ormai esaurito, dove è già nitido il registro nei senari doppi (che poi cedono al polimetro) e nelle stravaganti parentele dettate dalle rime, ma che la catena degli eventi sfugga al controllo razionale (sfugga anzi al controllo) è subito palese. Nella coralità rigorosamente anonima (i versi rimuovono l’anagrafe e quindi la responsabilità del singolo: «Dug comandave – Dug cocodave…» [Tutti comandavano – tutti schiamazzavano come galline…], «In che gnove babilonie / Senze sudit nè comand…» [In quella nuova babilonia / senza suddito né comando…]), ai più non risulta ovvio il valore della costituzione concessa dal sovrano, scatenando l’equivoco della paranomasia: «E fruzz e viei / Ogn’un domande / Ce ajal di sei? // Un chia di len / Rispuint a ton, / I afars van ben / Chiantin, minchion, // La Costruzion, – La Coruzion, / Un che a l’è lì – Po no cussì! / Com’hao di dì? / La Confusion… / Tas là bufon… – Co-stitu-zion? / Benon – Benon. // Ce uelial dì – Chell dì cussì? / Ma che il Sovran / L’ha fate grazie…» [E piccoli e grandi, / ognuno chiede: / Che sarà mai? / Una testa di legno / risponde a tono: / Gli affari vanno bene, / cantiamo, minchione! // La Costruzione, – la Corruzione… / Uno che è lì: – Ma non così! / Come devo dire? / La Confusione… / Taci, buffone… – Co-sti-tu-zione? / Benone – benone. // Che cosa significa – questo dire così? / Ma che il sovrano / ha concesso la grazia…]. Dove certo agisce l’insofferenza nei confronti del nuovo, il rifiuto del moto insurrezionale, l’acredine, ma l’incomprensione è palpabile. Nella babele, le varie fasi della rivolta sono punteggiate di inserti veneti (nella forma dell’imperativo convulso), echi di un parlato autentico, per quanto immerso nel mare della friulanità: «Di miezze gnott, – Co si ere sott, / Popul di cà, – Strepiz di là, / Sclamaz, ligrie, / E Fora i lumi! – / Ticc tacc po vie. – / Potenti numi! / Ce ul dì? ce l’è? / Ah puar mai me!» [A mezzanotte, – quando si era sotto le coperte, / popolo di qua, – strepiti di là, / schiamazzi, allegria, / e: Fora i lumi! – / Ticc tacc poi via. – / Potenti numi! / Che significa? Che è? / Ah povero mai me!], dove il sintagma veneto rima con un italiano da scena teatrale. In una tale cornice non sono ammessi risvolti epici: «Siors e sotans – Artisgh e missetis / Son faz sovrans, – Ce gerometis!…» [Signori e sottani, – artigiani e sensali / sono diventati sovrani. – Che giravolte!…], «E fratant Democrazie – A si bute in Anarchie…» [E intanto Democrazia – si butta in Anarchia…]. Collettiva è la responsabilità (o l’incoscienza) e plenaria l’assoluzione finale: un agnosticismo disilluso. E i fatti anche drammatici, come i bombardamenti, slittano nel nonsenso della onomatopea, corrispettivo formale del nonsenso delle cose. Una onomatopea non ludica, non liberatoria e non esaltante, come lo scroscio di questi versi: «Don… don… don… / Viss… suiss… suiss… tratatacc / Brr ton tun ton tun bss ton / Trututun bunf… flacc. / Tratatan… tra-ta-tan… tratatan. / Fuc guais muart valor e ingian» [Fuoco guai morte valore e inganno].

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Bibliografia

Mss BCU, Principale, 355-367; Joppi, 435 e 524.

Opere di T. Broili a stampa. Almanacchi: Il lunari furlan cun diviars trucs par l’an 1846, Udin, Stamparìe Trombetti-Murero, i numeri successivi per il 1847, 1848 (cul termimetro di procedure civil e mercantil pai interessaz - tabele del bol e merchiaz de provincie), 1849, 1850 e 1851 (I trucs furlans. Ombre di lunari), sempre Udin, Stamparìe Vendram, alla quale si devono anche I trucs furlans, 1847. La tipografia cambia per il Lunari furlan par l’an bisest 1856, Udin, Stamparie Turchett, [1855]. Opuscoli: Il furlan in Parnas, Udin, Stamparìe Vescovil, 1843; In ocasion d’imparegiabil conciart di tre chiampanis del pes di liris 5941 fondudis da Bastian Broili di Udin eretis cun plauso universal in Premarias il prin Zenar 1843, Seconde Edizion, Udin, Stamparie Vescovil, 1843; A Luigi Broili fonditore in Udine retto di cuore, sincero, prudente onesto nei prezzi franco nell’arte esatto nell’incombenze in segno di stima per tre campane fuse ed attivate in Sclaunicco in perfetto accordo tra esse il 24 dicembre 1849 il popolo esultante in seguito a rassegnato collaudo ad eterna memoria presenta, Udine, Stamparìe Vendram, [1849]; La metamorfosi udinese da j 17 marz a j 24 avril 1848. Pizzul presint par l’an gnuv. Seconde prove, Udin, Stamparìe Vendram, 1849 (Lis zornadis di Udin dal 17 di marz ai 24 di avril, in E. D’AGOSTINI, Ricordi militari del Friuli, II, Udine, Bardusco, 1925 [così il frontespizio, in copertina 1926], 321-350); Academie des massaris. Poemett in quatri chianz. Seconde Edizion cressude e corete, Udin, Stamparìe Vendram, [1850]; Poesiis furlanis e talianis di Toni Broili sul ingress fazz e muart di monsignor Zacarie Bricito amatissim nestri gnuv arcivescul, Udin, Stamparìe Vendram, 1851; Vite, test e muart di Carneval, Udin, Tipografia Turchetto, 1855; I giazz. ... leggi Scene sui cops, Udin, Stamparie Turchett, 1856. Edizioni   successive: Pastizz furlan, a cura di G. G[ORTANI], «Pagine friulane», 8/8 (13 ottobre 1895), 127; Disevot poesies, a cura di G. FAGGIN, Gurize-Pordenon-Udin, Clape culturâl Acuilee, 1974; G. FAGGIN, Il poemetto «Sagre de vite» di Toni Broili (1868), «Ce fastu?», 66 (1990), 127-146; G. CADORINI, Doi autografs di Toni Broli framieç dai manuscrits furlans di Berlin conservâts a Cracovie, ibid., 85 (2009), 221-235.

DBF, 119; M. OSTERMANN, La poesia dialettale in Friuli, Udine, Del Bianco, 1900, 155; B. CHIURLO, A proposito di «stupido» in friulano, «Rivista della Società filologica friulana», 5 (1924), 169-171; CHIURLO, Antologia, 352; L. PILOSIO, Figure e figuri nella Udine di ieri, Udine, SFF, 1935, 17-31; B. CHIURLO, Pietro Zorutti poeta del Friuli, Padova, «Le Tre Venezie», 1942, 132-133 (già nello studio introduttivo a P. ZORUTTI, Poesie friulane, Udine, Bosetti, 1911, XVII); L. PILOSIO, Antenati e genitori dell’«Avanti cul brun!», «Avanti cul brun! Lunari di Titute Lalele pal 1958», Udine, Avanti cul brun!… Editôr, 1957, 194-202; G. FAGGIN, Inediz di Toni Broili, «Int furlane», settembre-ottobre 1976, 3; ID., Letteratura ladina del Friuli, in EMFVG, 3/2, 1249-1250; ID., Vocabolario della lingua friulana, Udine, Del Bianco, 1985, X e XLIX; BELARDI - FAGGIN, Poesia, 39, 40; G. FAGGIN, «La plovisine» di Pieri Čorut e «La mê plojute» di Toni Broili, in Pietro Zorutti e il suo tempo. Atti del convegno di studi (Udine, 8-9 maggio 1992), a cura di R. PELLEGRINI - F. BOSCO - A. DEGANUTTI, San Giovanni al Natisone, Comitato celebrazioni Zoruttiane/Casa Editrice Le Marasche, 1993; PELLEGRINI, La cultura, 1033-1034; R. PELLEGRINI, Il veneto a Udine: spunti tra Sei e Ottocento, in La città e le sue lingue. Repertori linguistici urbani, a cura di N. DE BLASI - C. MARCATO, Napoli, Liguori, 2006, 113-114.

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