CANCIANI PAOLO

CANCIANI PAOLO (1725 - 1810)

servita, teologo, giurista

Immagine del soggetto

Ritratto ideale (forse copia di altro coevo al personaggio) di Paolo Canciani, olio su tela di Giuseppe Malignani (Udine, Civici musei).

Nacque nel 1725 a Udine, nella via chiamata “Strazza – mantello” che oggi porta il suo nome, da Leonardo e Vittoria Picco. Discendente di una famiglia ascritta da tempo al Maggior consiglio, fu di quattro anni maggiore di Gottardo, erudito ricordato più per il pensiero riformistico in campo agrario che per i suoi studi matematici. Non è facile ricostruire la prima parte della sua vita, la sua formazione, i suoi studi né dare conferma alle affermazioni di alcuni biografi che lo vogliono istruito a Udine e Venezia presso i servi di Maria, ordine del quale il C. entrò a far parte e la cui filosofia avrebbe informato sotto molti punti di vista la sua biografia intellettuale e umana: dalle posizioni giurisdizionalistiche di ascendenza sarpiana, di cui sarebbe stato continuatore nella sua attività di consulente presso il governo marciano, alle mansioni più semplici come quella di sacrestano della chiesa udinese della Beata Vergine delle Grazie, dove avrebbe trascorso gli ultimi anni. Nell’arco della sua vita rivestì diversi ruoli all’interno dell’ordine: indicato come teologo predicatore nella prima maturità, nel 1768 venne nominato “Studii regens” per l’ambito statale della Repubblica di Venezia e, ormai settantenne, nel 1795, venne scelto per la carica di superiore provinciale dell’ordine. Un altro incarico che da questo gli venne, quello di cappellano e confessore, si era aggiunto nel 1761 alla nomina che il C. aveva ricevuto dal Senato veneziano affinché prendesse parte, sembra in qualità di segretario, ad un’ambasceria straordinaria in Inghilterra. Nei tre anni della sua permanenza oltre Manica pare abbia avuto modo di redigere relazioni e osservazioni sulla politica e la società inglesi. ... leggi La principale attività che il C. svolse al servizio di Venezia fu quella di consulente. Sembra di poter escludere che abbia ricoperto l’ufficio di consultore in iure titolare; prestava tuttavia la sua attività come assistente e “coadiutore” negli anni in cui a ricoprire quel ruolo troviamo un altro servita udinese, Enrico Fanzio (1754-67). La conferma viene dalla documentazione contenuta nel registro 231 dell’archivio dei Consultori in iure presso l’Archivio di stato di Venezia, schedato come «Scritture fatte sotto il Fanzio dal suo allievo ed aiutante p. m.ro Paolo Canciani da esso Fanzio adottate e presentate al Serenissimo Prencipe sotto del suo nome». Le centodiciassette scritture che lo compongono e che toccano aspetti diversi del rapporto tra potere secolare ed ecclesiastico (alienazione di beni ecclesiastici, benefici, diritti di nomina, giuspatronati, pensioni ecc.) riportano tutte l’intitolazione di mano del C. La sua competenza in materia giuridica era ricercata anche dai deputati “ad pias causas” sul finire degli anni Sessanta, quando sempre più acceso si fece il dibattito circa le proprietà eccelesiastiche che avrebbe portato nel 1767 alla promulgazione della legge con la quale si imponeva l’assenso dello stato per l’acquisizione di beni immobili da parte di corpi ecclesiastici. Alcuni consulti di questi anni vedono in particolare il C. impegnato su temi di respiro teorico più o meno vasto, tutti vertenti sulla capacità del sovrano in materia ecclesiastica: in particolare la trattazione del patronato dei principi gli offre l’occasione per un’analisi diffusa del fondamento giuridico e delle varie fattispecie di patronato nell’età medievale, a cui fa seguire, in questo come negli altri casi, «qualche riflesso sull’uso corrente». Il C. partecipò dunque – anche se come figura minore rispetto a quelle degli altri consultori friulani, Enrico Fanzio, Antonio di Montegnacco o, precedentemente, Paolo Celotti – alla stagione nella quale l’ufficio dei consultori aveva dovuto coniugare la consolidata tradizione giurisdizionalistica di ascendenza sarpiana con le spinte riformistiche e particolarmente operò nei decenni nei quali questioni cruciali (come quella per la soppressione del patriarcato di Aquileia) spingevano con forza ad una ridefinizione dei rapporti Stato-Chiesa. Il 25 marzo 1769 il Senato veneziano decretò che «restano licenziati li padri maestri Paolo Canciani e Gio. Batta Vendramin, serviti, dall’Ufficio suddetto con ducati annui 100 vita loro durante». L’ufficio in questione era quello di “revisore dei brevi”, ultimo incarico del C. prima di consacrare la sua vita allo studio e nei decenni successivi ritirarsi a Udine, presso il convento della chiesa delle Grazie dove morì nel 1810. La sua notorietà è legata quasi esclusivamente alla sua opera maggiore: l’importante raccolta di leggi barbariche che va sotto il nome di Barbarorum leges antiquae. I cinque volumi che la compongono, pubblicati a Venezia nell’arco di poco più di un decennio da Sebastiano Coleti, uno dei più importanti librari e stampatori del tempo, raccolgono la materia giuridica secondo la seguente partizione: il primo volume (1781) contiene gli editti dei re ostrogoti, le leggi dei Longobardi, i capitolari dei principi beneventani e le costituzioni del Regno di Sicilia; il secondo volume (1783) la legge salica antica e riformata; il terzo volume (1785) le leggi dei Frisoni, degli Angli e dei Sassoni, i capitolari dei Franchi, le consuetudini di Romania; il quarto volume (1789) le leggi dei Burgundi e dei Visigoti, le «leges in Anglia conditae» e soprattutto il «codex legis romanae barbaris regnantibus observatae», detto “utinensis” perché basato su un esemplare conservato presso l’archivio della chiesa metropolita udinese, di cui C. offre anche uno “specimen” della scrittura, testimonianza questa particolarmente importante se consideriamo che la copia è passata successivamente alla Biblioteca universitaria di Lipsia. La “lex romana utinensis”, uno dei compendi di diritto romano in uso presso le popolazioni barbariche, è l’inedito più importante della raccolta ed è stato oggetto di analisi e discussioni scientifiche tra gli studiosi ottocenteschi che l’hanno comparata con analoghi testi rinvenuti succesivamente nell’area della Rezia svizzera, giungendo alla conclusione che si trattava di un corpus in vigore presso le popolazioni ladine. Il quinto e ultimo volume (1792) raccoglie testi normativi diversi tra cui i «Monumenta legalia leges Langobardicas et Italiae Regnum», il capitolare nautico veneziano promulgato nel 1255 dal doge Renier Zeno, le assise e consuetudini del Regno gerosolimitano e un testo di «Regolamenti fatti dagli arabi per la Sicilia» (unici testi, gli ultimi due citati, in italiano nell’opera). Ogni parte in cui i volumi sono divisi è introdotta da un “monitum collectoris” da cui è possibile desumere le fonti, oltre che i riferimenti eruditi e metodologici cui il C. ha guardato: dagli editti ostrogoti rinvenuti dai maurini alle leggi longobarde annotate da Muratori. Non sempre tuttavia la sua capacità critica rispetto alle fonti utilizzate seppe preservarlo dall’incorrere in errori grossolani, come quello di prendere per autentiche le costituzioni arabe inserite nel quinto volume e tratte da un falso codice dell’abate Vella. Importanti storici del diritto ottonovecenteschi, tra cui Schupfer, Pertile e Leicht, riconoscono tuttavia alla raccolta del C. il pregio di una maggiore completezza e di una più efficace sistemazione rispetto ad altre collezioni di antiche costituzioni barbariche che pur esistevano e che il servita conosce e utilizza, come quella del Lindenbrog da cui mutua il testo delle Costituzioni siciliane che tuttavia aumenta «quamplurimi tituli constitutionum Sicularum graece scriptarum», desumendoli dalla collazione con un codice manoscritto della Biblioteca Barberina. Nell’opera del C. la materia è presentata secondo un ordine più organico, corredata di un indice-repertorio che ne rende più accessibile la consultazione, arricchita di annotazioni e dissertazioni, frutto di quelle indagini storiche che l’autore allarga anche ai costumi e alle tradizioni dei popoli di cui andava studiando la produzione normativa; è inoltre aumentata rispetto alle raccolte precedenti grazie al ricco materiale edito e inedito che egli si procurava attraverso intensi e documentati legami con eruditi e librai. Ad Amedeo Svajer e Girolamo Asquini, due dei suoi abituali corrispondenti, deve la segnalazione di importanti testi ricompresi nella sua opera (le Consuetudini di Romania e le Costituzioni di Scozia al primo e una copia del Costumario di Normandia al secondo). Riconosciuto precursore della corrente storica degli studi giuridici che si sviluppò pienamente nel corso dell’Ottocento, il C. mostra, a ben guardare, una fisionomia intellettuale più complessa. Dalle relazioni epistolari che intesse particolarmente con Amedeo Svajer, Antonio Bartolini e il giovane Girolamo Asquini che in quegli anni cresce negli studi antiquari a Parma e poi a Udine sotto la guida di Angelo Maria Cortenovis, vediamo emergere la figura di uno studioso interessato sì a raccogliere informazioni e materiali per l’avanzamento della sua raccolta giuridica ma, altrettanto, un erudito impegnato in dotte discussioni, scambio di opinioni e richiesta di documenti su tutti quegli aspetti che dal diritto allargano l’interesse alla vita associata, alle tradizioni, ai culti religiosi di quelle popolazioni. Come molte figure grandi e piccole dello scambio culturale che caratterizza la Repubblica delle lettere, il servita udinese condivise non solo informazioni e acquisizioni erudite, ma alimentò anche la circolazione di oggetti del consumo culturale e collezionistico quali edizioni e manoscritti rari, monete, amuleti. Ignorata nelle Notizie delle vite ed opere […] del Liruti, l’opera del C. ricevette attenzione nei primi decenni dell’Ottocento. L’interesse del servita per lo studio del diritto medievale e per le istituzioni dei Regni barbarici cui la storiografia politica romantica riconduceva l’origine delle “moderne nazioni” e la fortuna della tradizione di pensiero giurisdizionalista veneziano, e massimamente della figura di Sarpi, sono forse i motivi con i quali spiegare una ripresa dell’interesse per la sua produzione e la ragione dell’edizione postuma di alcune sue opere di carattere storico minore. Il colle di Udine (1845) si presenta come uno dei molti scampoli di riflessione storica che egli ritaglia dal suo principale filone di ricerca giuridica. Facendo riferimento alla tradizione storiografica che dibatte sull’origine del castello di Udine – e dunque sulla fondazione della città e del suo ruolo territoriale – la ricerca del servita ne approfondisce la storia e la destinazione nell’età longobarda in relazione agli usi religiosi di quel popolo. Anche la dissertazione Sulla introduzione dell’arte di leggere e scrivere in Europa è opera postuma (1836), prefata da uno schizzo biografico del C. in forma di Elogio di Quirico Viviani, ripreso qualche anno più tardi nel profilo biografico dedicatogli da Bartolomeo Gamba. Trattazioni storiche su monete, iscrizioni epigrafiche, statue e monumenti (soprattutto funebri) tra cui bisogna ricordare almeno quella che porta all’interpretazione delle figure dell’altare cividalese di Ratchis, impegnarono incessantemente il C. negli ultimi decenni della sua vita. Si trovano manoscritte in varie biblioteche, anche se dal tempo in cui Vincenzo Joppi ne segnalava un nutrito numero alcune di esse sono andate perdute (come lo scritto che si conservava presso la Biblioteca Trivulziana di Milano: Discorso sulla poesia antica e l’uso di leggere). Vanno segnalati il manoscritto intitolato Sopra un piccolo simulacro di bronzo rappresentante Ercole e una trattazione sulle antiche tecniche di sepoltura allegata alle lettere indirizzate a Girolamo Asquini e conservate nel fondo della Biblioteca Bartoliniana di Udine. Un manoscritto di poesie Maccheroniche si conserva ancora alla Biblioteca comunale di Udine. Nel catalogo dei manoscritti della Biblioteca Marciana, il compilatore delle “aggiunte” Pietro Bettio, nella prima metà dell’Ottocento, segnalò due corposi manoscritti attribuendoli a P. C. Si tratta di un «Compendio dell’Istoria letteraria del Tiraboschi», Cod. It., X 168 (= 6254), e di un interessante rendiconto di viaggio per alcune città italiane compiuto tra il 1764 e il 1790 e intitolato «Diari d’itinerari per Italia», Cod. It., X 72 (= 6602). Non si tratta però di opere del servita bensì di un omonimo e coevo Amedeo Canciani (o Canziani), domenicano del convento delle Zattere a Venezia. Allo stesso è da attribuire anche un altro manoscritto presente alla Marciana e sinora ritenuto produzione del servita udinese: il «Catalogo dei codici zeniani», Cod. It., X 343 (= 7108), elenco delle prime duecentotre opere appartenute alla biblioteca di Apostolo Zeno – ereditata proprio dal convento dei domenicani delle Zattere – commissionato nella sua prima stesura dal padre Domenico Pellegrini al più giovane domenicano.

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Bibliografia

ASV, Consultori in iure, 231; mss BCU, Del Torso, 162/III, Genealogie popolari, Fam. Canciani; Ibid., Joppi, 336, Canciani Fra Paolo. Sopra un piccolo simulacro di bronzo rappresentante Ercole; Ibid., Joppi, 520, Maccheroniche del P. Paolo Canciani Udinese, Servita; Ibid., Principale, 485, Lettere di vari eruditi al co. Francesco Beretta, del sec. XVIII (lettera di P. C., 1768, carte 65-66); Lettere e note in BBU, 156, 161, 165.

P. CANCIANI, Scrittura del P. Canziani de’ Servi intorno le tasse delle cancellerie ecclesiastiche, e cancellieri. Presentata alla deputazione estraordinaria li 24. Febbraio 1767, in Collezione di scritture di Regia Giurisdizione, Firenze, Allegrini, Pisoni e C., XXV, 1774, 83-112; ID., Breve esposizione del patronato dei principi giusta l’antico costume, Ibid., LXXXXVII, 1775; ID., Scritture del padre maestro Paolo Canziani dei servi intorno alla definizione della congrua alle parrocchiali unite a persone e corpi ecclesiastici, Ibid., XXX, 1770-1779; ID., Barbarorum leges antiquae cum notis et glossariis: accedunt formularum fasciculi et selectae constitutiones medii aevi collegit, plura notis et animadversionibus illustravit, monumentis quoque ineditis exornavit f. Paulus Canciani ord. Serv. B. Mariae Virginis, I-V, Venezia, Coleti et Pitteri, 1781-1792; ID., Codex legis romanae barbaris regnantibus observatae facile in Italia: ex archivio metropolitanae ecclesiae Utinensis, s.n.t.; ID., Lettere inedite di illustri friulani del secolo XVIII o scritte da altri uomini celebri a personaggi friulani, Udine, Mattiuzzi, 1826, 291-294; ID., Sulla introduzione dell’arte di leggere e scrivere in Europa. ... leggi Dissertazione postuma del p. Paolo Canciani friulano preceduta dal suo elogio scritto da Quirico Viviani, Venezia, Alvisopoli, 1836; ID., Il colle di Udine, «Strenna friulana», 2 (1845), 55-72; Lettere inedite di Paolo Canciani ad Amedeo Svajer 1785, a cura di G. BOLDRIN, Venezia, Naratovich, 1879 (nozze Paccagnella-Pigazzi).

E. DE TIPALDO, Biografia degli italiani illustri, I, Venezia, Alvisopoli, 1834, 300-302; A. PERTILE, Storia del diritto italiano dalla caduta dell’impero romano alla codificazione, 1896 (= Bologna, Forni, 1965), I, 118 e ss.; [V. JOPPI], Biografia del p. Paolo Canciani, Udine, Tipografia del Patronato, 1909; D. TASSINI, I Friulani (ignoti) “Consultori in jure” della Repubblica di Venezia. Vol. III. Frate Enrico Fanzio, Udine, Del Bianco, 1910, 80-83; P.S. LEICHT, Spunti friulani nell’opera di Paolo Canciani, «Ce fastu?», 22/1-6 (1946), 25-27; MARCHETTI, Friuli, 548-552; R. FEOLA, Canciani, Paolo, in DBI, 17 (1992), 749-751.

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