COSTANTINI GIUSEPPE

COSTANTINI GIUSEPPE (1865 - 1944)

insegnante, filologo

Immagine del soggetto

Giuseppe Costantini, ritratto pubblicato nel volume che raccoglie i suoi Scritti, curato da Giovanni Comelli, Roma 1950 (Udine, Biblioteca civica).

Nato a Tricesimo (Udine) il 15 febbraio 1865, viene ricordato per le sue ricerche in ambito storico, filologico ed etnografico. Trascorse la giovinezza in paese, e per alcuni anni insegnò in provincia; nel 1894, dopo aver vinto un concorso per le scuole del comune di Firenze, si trasferì nel capoluogo toscano, dove rimase pressoché per tutta la vita, rientrando in Friuli soltanto per le vacanze estive. Le biblioteche di quella città gli consentirono di completare la propria preparazione, e inoltre, visitando con assiduità musei e gallerie, poté acquisire una notevole competenza nella critica d’arte. Ebbe modo di farsi apprezzare da stimati e qualificati studiosi di storia, molti dei quali furono da lui conosciuti grazie alla frequentazione della casa del geografo Giovanni Marinelli e del cenacolo di Giuliano Mauroner, ritrovo di letterati e artisti su cui ebbe modo di scrivere un paio di articoli su «La Panarie». A dispetto della distanza che lo separava, rimase profondamente legato alla terra d’origine, come attestano i numerosi articoli e recensioni inviati in particolare a «La Patria del Friuli», al «Giornale di Udine» e al «Cittadino Italiano»; l’ampio ventaglio dei temi affrontati, che comprende anche incursioni nella polemica scientifica e nell’antropologia, rivela la versatilità di C., uomo di studio e attento osservatore della cultura non soltanto friulana. Saggi e interventi di diverso respiro e dedicati a svariati argomenti friulani vennero pubblicati su periodici come «Pagine friulane», «Lares», «Ce fastu?», «Memorie Storiche Forogiuliesi», «La Panarie». Ricchi di informazioni storiche risultano alcuni articoli di quest’ultima rivista, sulla quale C. scrisse una memoria sui Friulani in Toscana (1929, n. ... leggi 32) e un altro saggio, intitolato I toscani e Dante in Friuli (1930, n. 42), importante per le indagini sull’immigrazione toscana nella Patria, sulle presunte visite di Dante alla corte patriarcale e sugli studi danteschi di autori locali. I lavori lasciano trasparire una propensione di C. all’appunto biografico, risolto a volte con rapidità, a volte con il gusto della minuzia, ma sempre con diligenza esemplare. Nell’ambito dello stesso filone, se appare poco più di un elenco il contributo sui personaggi degni di nota di Tricesimo e dintorni, incluso nel 1912 nella Guida delle Prealpi Giulie di Olinto Marinelli, medaglioni più corposi compongono il saggio Friulani poco noti o dimenticati (1904) e quello sui Dantisti friulani (1905): i sette ritratti del primo opuscolo riguardano soprattutto artisti – fanno eccezione il letterato Eustachio Celebrino e l’architetto militare Giovanni Scala –, mentre il secondo, estratto dal settimo fascicolo del dizionario dei Dantisti e dantofili dei secoli XVIII e XIX diretto dal conte Giuseppe Lando Passerini, si concentra su otto cultori di Dante risalendo fino al Cinquecento. Anche le note sugli Uomini ragguardevoli di Tricesimo e Cassaco [sic] (esclusi i viventi), scritte per «Ce fastu?» nel 1939, presentano una ventina di profili di letterati, uomini di scienza, artisti, nobili e benefattori vissuti tra XVI e XIX secolo. Scritti autonomi, sospesi tra la ricerca e il ricordo personale, ritraggono, oltre al già ricordato Giuliano Mauroner, anche il patriota don Niccolò Costantini, il pittore e restauratore Giuseppe Uberto de Valentinis, l’amico poeta Pietro Michelini, l’etnografo Valentino Ostermann. Dello studioso gemonese C. ammirava la passione per il folclore, al cui studio dedicò alcuni contributi originali: quello su Versi e voci di alcuni uccelli, più volte edito, riferisce di come «Il popolano delle campagne e più particolarmente i fanciulli e le donnucce, facendo attenzione ai suoni articolati che emettono certi uccelli, dànno ad essi il senso che corrisponde a quello della fonetica della propria favella»; in Pietanze e cibarie popolari in certe ricorrenze annuali elenca, disponendole in relazione alle feste dal primo gennaio al 31 dicembre, trentatré prescrizioni riguardo all’arte culinaria e alle coltivazioni simili a questa: «Nel capo d’anno si deve mettere in pentola minestre che tornino, cioè che cuocendosi aumentino di volume: il che va sotto l’espressione ‘par prin da l’an, cressi in citte’». Allo stesso settore di ricerca si riferisce anche la pubblicazione di alcuni racconti rilevati dalla voce del popolo. Sullo scorcio del secolo C. si decise a soddisfare il desiderio, a lungo accarezzato, di curare una nuova edizione delle poesie del sacerdote tricesimano Giovanni Battista Gallerio, verso il quale aveva sempre nutrito grande stima (la precedente edizione, ancora incompleta, risaliva al 1885). La prefazione del volume, comparso nel 1900, dichiara la volontà di riunire e ordinare «tutte indistintamente le poesie in friulano del nostro», aggiungendo «due sole di quelle in lingua, come saggio e come ‘segni del tempo’»; la nota critica avverte che le altre poesie in lingua non sono parse «meritevoli della pubblicazione», essendo risultate «quasi tutte di poco valore, sebbene in certune vi si trovi qualche concetto discreto». Tuttavia, quasi a difendere un’opera singolare e apprezzabile per la sua specificità, a dispetto della mediocrità di alcune composizioni, riconosce: «che alcuni lavori sieno scadenti è perdonabile a chi ha ne’ suoi canti, abbracciato tanta e molteplice varietà d’argomenti». L’edizione curata da C., dalla quale rimangono esclusi gli scherzi poetici e alcuni altri titoli, è stata forse il principale veicolo di diffusione popolare della conoscenza di Gallerio. Di C. si ricorda infine lo studio della Toponomastica del comune di Tricesimo, pubblicato tra il 1908 e il 1921 in tre edizioni via via aggiornate; l’ultima, a cura della Società filologica friulana, si presenta come «saggio di raccolte toponomastiche da eseguire comune per comune nella regione friulana»; nonostante alcune delle spiegazioni ed etimologie – anche a causa di competenze non specifiche – appaiano superate, il saggio ha conservato nel tempo le ragioni di interesse. Per questa e per analoghe pubblicazioni (come gli articoli su Gli aggettivi geografici del Friuli) C. venne nominato segretario della Commissione nazionale per la raccolta del materiale toponomastico e socio di vari istituti accademici, come l’Accademia di Udine e la Società Colombaria di Firenze. La propensione per la filologia ebbe invece modo di manifestarsi soprattutto nel saggio Della poesia barbara italiana nel Friuli e del suo primo germogliare (1912), ma anche nella monografia Sul Dizionario inedito friulano-italiano di G. A. Pirona (1899) nonché in un articolo intitolato Il glossario a quattro poeti friulani e la lingua nazionale nei dizionari dialettali, comparso sul «Bollettino della Libreria Carducci» (novembre 1923). Gli studiosi che si sono occupati di C. non hanno mancato di osservare come l’interesse per le questioni lessicografiche relative al friulano fosse cresciuto in lui proprio grazie alla permanenza a Firenze, capitale linguistica dell’Italia di allora, e lo avesse condotto per un verso a curare con scrupolosità la conoscenza e la pratica della lingua italiana, per un altro a coglierne e precisarne le differenze con il friulano, affinando la propria sensibilità e competenza nell’idioma materno. Per decenni continuò ad annotare su un esemplare del vocabolario di Iacopo Pirona innumerevoli voci e modi di dire friulani che non vi erano registrati, e di quella copia fece dono, quando era ormai anziano, alla Biblioteca civica di Udine. A C. vanno infine assegnate alcune prove di scrittura letteraria, tra le quali si segnalano Premio e gastigo, «scrittarello dichiarato meritevole del primo premio dalla commissione giudicatrice del II concorso indetto da “La Scuola” di Milano» (Firenze 1908), e il Ciant di un morôs bandonât, “romantica” pubblicata in «Ce fastu?» sotto lo pseudonimo di “Sef di Tresesin” (1927, n. 9-10). Ricoverato in una clinica di Venezia, C. morì il 23 dicembre 1944. Anche i suoi numerosissimi libri, raccolti con indole di bibliofilo in lunghi anni di ricerche, furono da lui donati alla Biblioteca civica Joppi di Udine. Giovanni Comelli così ne ricorda la personalità: «Pur non avendo spaziato “nelle alte sfere” con singoli lavori di vasta mole o comunque appariscenti, il Costantini merita un particolare rilievo per la sua opera complessiva di educatore intelligente e di scrittore forbito, per il suo appassionato amore agli studi locali, per il continuo, efficace interessamento dimostrato alla valorizzazione culturale della nostra regione».

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Bibliografia

Principali opere di G. Costantini: Friulani poco noti o dimenticati, Udine, Del Bianco, 1904; Dantisti friulani, Firenze-Prato, F.lli Passerini, 1905; Della poesia barbara italiana nel Friuli e del suo primo germogliare, Udine, Tip. G. Vatri, 1912; Toponomastica del comune di Tricesimo presentata dalla Commissione a ciò addetta come saggio di raccolte toponomastiche da eseguire comune per comune nella regione friulana, Udine, SFF, 1921; Friulani in Toscana, «La Panarie», 6/32 (1929), 65-75; I toscani e Dante in Friuli, «La Panarie», 7/42 (1930), 336-342; Uomini ragguardevoli di Tricesimo e Cassaco (esclusi i viventi), «Ce fastu?», 15/4 (1939), 214-217; Scritti, a cura di G. COMELLI, per iniziativa della Società Etnografica Italiana, Roma, De Luca, 1950. Le recensioni e gli articoli dispersi, ritagliati soprattutto da «La Patria del Friuli» e dal «Giornale di Udine», sono stati raccolti in un album conservato in BCU (Friuli 085 COS, inv. 136085).

DBF, 235-236; G. COMELLI, Tricesimani illustri. G. Costantini, in Tresésin, 314-316; M.L. ASTALDI, Ricordino del Babbo, in Tresésin, 316-317.

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