DEL ZOTTO GIANFRANCESCO (DA TOLMEZZO)

DEL ZOTTO GIANFRANCESCO (DA TOLMEZZO) (1440 - ?)

pittore

Immagine del soggetto

Autoritratto di Gianfrancesco Del Zotto nella chiesa di S. Leonardo a Provesano.

Immagine del soggetto

Particolare degli affreschi di Gianfrancesco Del Zotto nella chiesa di S. Leonardo a Provesano sopra il volto di San Sebastiano, la firma e la data (1496).

Immagine del soggetto

Crocifissione, affresco di Gianfrancesco Del Zotto nella chiesa di S. Leonardo a Provesano.

La data di nascita di G., noto anche come Gianfrancesco da Tolmezzo, figlio di Odorico di Daniele originario di Socchieve, non è certa: convenzionalmente essa si colloca intorno al 1450, ma è probabile che debba essere posticipata di qualche anno. Le prime opere delle quali si ha notizia si datano subito dopo il 1480 ed è logico pensare che un artista dotato come G. avesse dato prova di sé già prima dei trent’anni. Mancano dati certi sulla sua formazione: il padre, che è ricordato in alcuni documenti come pittore, può averlo iniziato all’arte, ma le sue opere rivelano ben chiaro il rapporto con la pittura rinascimentale fiorita tra Padova e Venezia, dopo il soggiorno padovano di Donatello, con l’attività del Mantegna e degli artisti attivi nel vitale centro veneto. L’ipotesi, sostenuta principalmente da Remigio Marini, che indicava nella Carnia e in Tolmezzo la sede di una “scuola” con caratteristiche peculiari alla quale sarebbe appartenuto anche G. insieme agli intagliatori della famiglia Mioni, è stata confutata dagli studi recenti che, correggendo anche quanti hanno sottolineato in modo eccessivo la componente nordica nell’arte del Tolmezzino, hanno sottolineato il ruolo svolto nella formazione dell’artista dalla pittura veneta. Anche tale aspetto dell’arte di G. va inserito entro l’orizzonte del Rinascimento padovano e trova nella circolazione di idee e di artisti che fa capo a Venezia la sua più logica spiegazione. Sono certi i contatti del pittore con Venezia e l’entroterra veneto e le sue opere, fino alla produzione tarda, rivelano la conoscenza diretta dell’arte dei maestri della pittura veneta, in particolare di Andrea da Murano e Bartolomeo Vivarini. ... leggi Non va poi dimenticata l’influenza esercitata sull’artista dal milieu locale che negli anni formativi di G. annoverava Andrea Bellunello, Domenico da Tolmezzo e gli scultori di origine lombarda, ma di formazione veneziana, come Antonio Pilacorte, presenti nella regione. La caratteristica peculiare dello stile di G. è un segno incisivo e nitido che lo avvicina, con le debite differenze qualitative, ad artisti coevi, come Bartolomeo Vivarini e Carlo Crivelli: il talento di disegnatore è messo a frutto nei suoi affreschi più che nelle rare e mal conservate opere su supporto mobile. Non si conoscono sinora suoi disegni: il suo metodo di lavoro era basato essenzialmente sull’uso di modelli grafici, spesso ricavati da opere illustri oltre che da incisioni. Queste ultime erano facilmente rintracciabili a Venezia, divenuta uno dei principali centri europei della produzione del libro stampato negli ultimi decenni del Quattrocento. Le sue prime opere a noi pervenute si datano al 1482: come attesta il di Maniago. Tale data si leggeva sugli affreschi della facciata della chiesa di S. Maria a Vivaro, distrutti nel secolo XIX, tranne tre frammenti staccati e conservati all’interno della nuova chiesa, raffiguranti la Pietà e due teste di Santi. Allo stesso anno si datano gli affreschi dell’abside della chiesa di San Nicolò di Comelico. Il ciclo venne riscoperto e studiato da Valcanover nel 1955 che ne riconobbe correttamente l’autore: il programma iconografico realizzato risponde ad uno schema che sarà presente a lungo nell’attività matura dell’artista, con gli apostoli e episodi della Vita di Cristo sulle pareti dell’abside, l’Annunciazione sull’arco santo, Evangelisti, Padri della Chiesa e Profeti sulla volta. Nel 1484 sono documentati la stima e il pagamento di un gonfalone (perduto) per la chiesa di S. Floriano a Imponzo, mentre da un documento del 1489 apprendiamo che G. cedette in quell’anno ai nobili di Spilimbergo un credito di 40 ducati che gli spettavano per la decorazione ad affresco della chiesa di S. Antonio di Barbeano. Fortunatamente questo ciclo si è in gran parte conservato e il documento citato ci consente di ritenerlo concluso entro il 1489. Sulla volta sono dipinti i Padri della Chiesa seduti su fastosi troni ispirati ad architetture gotiche; agli angoli delle vele si dispongono gli Evangelisti e Profeti, secondo uno schema più volte replicato dall’autore nelle sue imprese ad affresco successive. Sulla parete di fondo la Nascita di Cristo e l’Adorazione dei Magi e sulle due pareti laterali il Giudizio Universale e l’Ascensione. Sulla parete sud dell’aula, sono tracciate a carboncino sull’intonaco grezzo le figure dei quattro Evangelisti con un segno nitido e sicuro: forse sono prove per le figure poi realizzate sulle volte dell’abside. Nel periodo in cui G. lavorava a Barbeano, potrebbe esser stata eseguita la tavola (firmata) con la Madonna col Bambino e angeli ora alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Nel corso degli anni Novanta del Quattrocento il pittore conquistò una posizione di centralità in regione: scomparve infatti (tra il 1492 e il 1494) Andrea Bellunello, l’artista cui si era rivolta sino ad allora l’élite aristocratica friulana, e si infittirono le commissioni al Tolmezzino. Nel 1492 eseguì gli affreschi della chiesa di S. Lorenzo a Forni di Sotto (firmati e datati). Il ciclo affascina per la gamma cromatica luminosa e la grazia “toscaneggiante” delle mezze figure di Sante nel sottarco e dell’Annunciazione nell’arco santo; merita menzione la scena col martirio del santo titolare per la resa dello spazio, tra le più audaci nel corpus del maestro. L’anno successivo firmò gli affreschi della chiesa di S. Martino a Socchieve, paese d’origine della famiglia del padre: questi riprendono gli schemi iconografici tipici dell’artista, lasciando ampio spazio alla raffigurazione degli apostoli sulle pareti. Nelle vicinanze del piccolo centro carnico va riferita a G. anche la decorazione di un piccolo sacello votivo affrescato con l’immagine della Madonna col Bambino e diverse figure di santi. Il ciclo di maggior rilevanza realizzato in quel decennio è la decorazione dell’abside della chiesa di S. Leonardo a Provesano, presso Spilimbergo, firmata e datata 1496. G. raffigurò le Storie della Passione di Cristo prendendo a modello incisioni di Martin Schongauer e di altri incisori di area germanica e neerlandese. Il ciclo si sviluppa su tre registri sulle pareti laterali (con le figure degli Apostoli in basso e le Storie della Passione nella fascia centrale e nelle lunette), lasciando l’intero spazio della parete di fondo alla Crocifissione; ai piedi della croce l’artista lasciò la propria effige. Tradizionalmente si datano in prossimità degli affreschi di Provesano quelli sulle pareti dell’aula della chiesa di S. Gregorio a Castello di Aviano. I temi sono infatti in gran parte gli stessi raffigurati a Provesano e le fonti grafiche cui si attinge sono le medesime. Nel 1499 G. si impegnò ad eseguire, assieme a Pietro da Vicenza, gli affreschi nelle due cappelle laterali della chiesa di S. Maria a Cordenons. Con ogni probabilità il lavoro non venne eseguito a causa delle pericolose scorrerie turche. È possibile che in quello scorcio di secolo, tra il 1499 e il 1500, G. abbia lavorato per la famiglia Ragogna nel castello di Torre di Pordenone. Sussiste in un locale dell’edificio adibito a cappella una Annunciazione serrata ai lati da due stemmi purtroppo mal leggibili. Sia l’Angelo sia la Vergine presentano assonanze con la pittura di ambito verrocchiesco ed è probabile che sia servita di modello all’artista qualche incisione di scuola fiorentina. La data 1499, stando a testimonianze certe, si leggeva anche sulla parete di ingresso alla piccola cappella, non molto distante dalla chiesa dei SS. Simone e Giuda a Prata, nella quale si conserva una dolcissima Madonna col Bambino, che dovrebbe porsi a non molta distanza da questa data, forse ai primi anni del Cinquecento. Entro l’aprile dell’anno 1500 il pittore lavorava agli affreschi della chiesa di S. Floriano a Forni di Sopra, nei quali si riscontra una certa discontinuità: ciò ha indotto in passato a ipotizzare la presenza di collaboratori accanto al maestro. Non si può escludere che la mancanza di omogeneità possa riferirsi ad una esecuzione protrattasi anche negli anni successivi. Col ciclo di Forni di Sopra entriamo nell’ultimo decennio dell’attività di G. L’attività degli ultimi tempi presenta parecchie incertezze a causa della perdita delle numerose opere eseguite e a noi note solo da dati documentari. In quel decennio l’artista si trovò a lavorare in una situazione che fatalmente lo consegnava ad un ruolo provinciale e secondario per i rapidi progressi che la pittura, sotto l’influenza delle ricerche dei protagonisti della scuola veneziana, andava compiendo anche in Friuli. Già nel 1494 si assiste, con la pala di Osoppo, all’esordio di Pellegrino da San Daniele e nel 1504 Giovanni Antonio Pordenone è chiamato “maestro” nei documenti che lo riguardano. Ridotti allo stato di reliquie e mal giudicabili per i danni subiti, sono gli affreschi di S. Maria di Pignano presso Ragogna eseguiti entro il novembre del 1502. Del ciclo sussiste, grazie alle scoperte dovute a un recente restauro, parte degli affreschi della parete di fondo. Perduti totalmente sono gli affreschi di S. Pantaleone a Invillino, riferibili al 1503, per i quali l’artista si era impegnato nel 1501. Altre opere perdute, ma documentate, sono lavori di minor impegno eseguiti nel 1503 per la chiesa parrocchiale di Arba, gli affreschi eseguiti tra il 1504 e il 1505 in S. Giacomo di Pesariis e quelli di S. Giacomo a Sezze nel 1506. Di notevole importanza un documento del 1507, reso noto di recente dal Goi, che riferisce alla mano del maestro la pala dell’altare della chiesa di S. Giuliana in cimitero di Castello di Aviano, con la Madonna col Bambino e Santi. Dal documento apprendiamo che il padre di G. era morto (mentre risulta ancora in vita nel 1505). Benché in condizioni assai critiche, la pala rivela il rapporto dell’artista con gli amati modelli del Quattrocento veneziano, con evidenti riprese dalla pala di san Cassiano di Antonello da Messina, risalente a quasi trentanni prima (1474). È verosimile che a quella data (1507) vadano anche riferiti i frammenti di affresco ancora esistenti sull’arco santo della chiesa (episodio della vita di Santa Giuliana) e in parte estratti (Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista e Leonardo) e conservati nel Museo diocesano di Pordenone. Altra data sicura è quella dell’ultima opera del maestro tolmezzino, il trittico per l’altare della chiesa di S. Martino a Socchieve che il pittore aveva decorato con affreschi nel 1493. Dal documento apprendiamo che l’artista aveva ricevuto la commissione nel 1510 ma che, per la morte avvenuta nel 1511, aveva lasciato incompiuta («imperfecta») la pala, completata dal figlio. Il dipinto, che raffigura la Madonna col Bambino tra san Michele Arcangelo e san Lorenzo e San Martino tra i santi Rocco e Sebastiano, rivela ancora una volta la stretta dipendenza dell’artista da modelli che, a quella data, erano ormai arcaici e sorpassati anche se non mancano aspetti di novità nella resa più fusa del colore e nell’inserto paesaggistico nello sfondo della tavola centrale. Vengono riferiti alla fase tarda dell’attività di G. affreschi sicuramente attribuibili alla sua mano ma non documentati, quali l’ampio frammento con Santa Lucia trascinata al lupanare ritrovato recentemente nella chiesetta di S. Lucia di Budoia, il frammento con Santa Barbara riemerso qualche decennio fa durante i lavori di restauro nella chiesa di S. Maria degli Angeli (detta del Cristo) di Pordenone, i notevoli frammenti conservati nel duomo di Pordenone, ossia la figura di Evangelista (S. Luca?) emersa nel 1938 su uno dei pilastri del lato nord della navata, la Pentecoste estratta nel 1970-71 da una delle cappelle absidali e gli importanti frammenti ritrovati nel 2003-04 sulla facciata di un palazzo appartenuto alla famiglia Sbrojavacca nel centro storico della città friulana. Sempre della fase tarda della sua attività, con l’apporto di collaboratori, sono i frammentari affreschi dell’abside del duomo vecchio (Sant’Andrea) di Cordovado e i frammenti ritrovati in una casa, forse appartenuta ai Mantica, nel centro storico di Pordenone, oggi nelle collezioni della Camera di commercio della città. Anche l’affresco raffigurante San Floriano sull’arco santo della chiesa di S. Pietro a Sclavons di Cordenons, dovrebbe appartenere agli anni estremi dell’attività del Tolmezzino. Il pittore in conclusione operò quasi sempre nell’area friulana, con un numero di interventi maggiore nella Destra Tagliamento rispetto alle altre zone della regione. Oltre al giovanile ciclo di San Nicolò di Comelico, sono infatti rare sue opere fuori del Friuli: si possono citare gli affreschi della chiesa di S. Giovanni Battista a Settimo di Cinto Caomaggiore recentemente attribuitigli con l’apporto dei collaboratori e la Madonna col Bambino e Santi di Ca’ Cassiani ad Annone Veneto. Va segnalata la proposta del Tempestini di riferirgli le due tavole con Angelo Nunziante e Vergine Annunziata del Museo di Budapest.

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Bibliografia

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