DOLFIN DIONISIO

DOLFIN DIONISIO (1663 - 1734)

patriarca di Aquileia

Immagine del soggetto

Ritratto ideale del cardinale Dionisio Dolfin, olio su tela del XVIII secolo attribuito a Nicolò Bambini (Udine, Museo diocesano e gallerie del Tiepolo).

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Interno della Biblioteca patriarcale a Udine, ora inclusa nel Museo diocesano e gallerie del Tiepolo.

Nacque a Venezia nel 1663. Le notizie che riguardano la sua formazione sono scarse e piuttosto imprecise; è noto in ogni modo che studiò presso i gesuiti di Venezia e che successivamente soggiornò a lungo a Parigi per il perfezionamento della sua preparazione giuridica e letteraria. Componente di una nobile famiglia solidamente rappresentata in alte cariche civili ed ecclesiastiche, nel 1698 il D. fu nominato coadiutore, con diritto di successione, dello zio Giovanni Dolfin, patriarca di Aquileia dal 1657; per rendere più autorevole la sua posizione fu nominato vescovo di Lorea nel marzo del 1699. Morto il patriarca nel luglio dello stesso anno, due mesi più tardi il D. prese ufficialmente possesso del patriarcato. I suoi primi provvedimenti rivelarono grande attenzione all’attività pastorale, e si concretarono in un’accurata visita alle chiese soggette alla sua giurisdizione e nell’indizione di un importante sinodo, che si tenne a Udine presso la chiesa di S. Antonio nel maggio del 1703. Tra i provvedimenti di maggior rilievo, oltre all’istituzione di alcune festività religiose per assecondare le esigenze della pietà popolare, figurano l’istituzione della dottrina cristiana nelle scuole e l’emissione di dettagliate costituzioni per il clero; l’obiettivo fu quello di dare inizio a una sostanziale moralizzazione dei costumi, che erano degenerati a causa dello scarso controllo sulle parrocchie del territorio, troppo esteso e frammentato. Nel realizzare queste iniziative, il patriarca si rese conto che le terre della Patria del Friuli erano state penalizzate dalla loro posizione periferica e mortificate da un impoverimento culturale provocato, tra le altre cose, dalla carenza di istituzioni di riferimento. La prima scelta che il D. applicò con convinzione per porre rimedio a questa situazione, contrariamente a quanto avevano fatto i suoi predecessori, fu quella di stabilire la propria residenza a Udine. Egli aveva infatti intuito le potenzialità di qualificazione e sviluppo che la città offriva, in virtù di una posizione geografica che poteva farne punto d’incontro tra Venezia e Vienna. ... leggi Per rendere tangibile la sua presenza e rivendicare la sua autorità, il D. dispose di ingrandire il palazzo patriarcale, che era stato costruito a metà del secolo XVI per volontà di Marino Grimani e sostanzialmente rimaneggiato all’inizio del secolo successivo da Francesco Barbaro. Gli interventi comportarono un ampliamento longitudinale dell’edificio, con l’aggiunta di due ali laterali e l’edificazione di un piano nobile; i lavori, affidati alla direzione dell’architetto Domenico Rossi con la collaborazione del capomastro Luca Andrioli, si protrassero dal 1708 al 1725; l’abbellimento di alcune sale di rappresentanza (il soffitto dello scalone d’onore, quello della sala del tribunale e le pareti della galleria degli ospiti) fu commissionato a Giambattista Tiepolo, che vi lavorò tra il 1726 e il 1729. Uno dei tratti che certamente distinsero l’opera del patriarca D. fu quello della costante azione di promozione culturale, atteggiamento che era in parte da ricondurre alla solida tradizione di famiglia, e in parte proveniva dalle sue personali inclinazioni: durante le fasi di progettazione delle modifiche alla sua residenza, egli ordinò l’allestimento di un vasto ambiente da adibire a biblioteca patriarcale, i cui lavori iniziarono proprio nel 1708. Poiché fino a quel momento Udine era stata sprovvista di una biblioteca aperta al pubblico, il patriarca stabilì fin da principio che quella struttura non sarebbe stata soltanto destinata ad un uso privato, bensì di utilità comune. A tale scopo fu realizzato un accesso diretto alla biblioteca dall’esterno attraverso una piccola scala a bovolo, la cui volta fu affrescata da Ludovico Dorigny. Nel triennio compreso fra il 1709 e il 1711 il D. si occupò degli arredi e dell’abbellimento della biblioteca, per la quale fece realizzare scaffalature lignee, sormontate da un ballatoio, disposte perimetralmente: i modelli ispiratori furono l’Escorial di Madrid e l’Ambrosiana di Milano; al pittore veneziano Nicolò Bambini fu affidato l’incarico di dipingere un grande telero, raffigurante il Trionfo della sapienza, da collocare sul soffitto della sala. Nella disposizione dei locali fu prevista anche la costruzione di una piccola stanza per il bibliotecario ed un’altra, affacciata sul ballatoio, che tradizionalmente è nota come saletta dei libri proibiti, anche se in realtà fu destinata a questa funzione in misura molto limitata; una finta porta nascondeva, infine, un ampio armadio destinato alla preziosa raccolta numismatica, costituita in gran parte da monete del patriarcato di Aquileia. La finezza culturale e la fede religiosa del D. sono felicemente sintetizzate nel progetto iconografico realizzato negli elementi ornamentali della biblioteca, in cui i pericoli dell’ignoranza e delle sue possibili degenerazioni e il graduale riscatto sono simboleggiati in un percorso ascensionale che parte dalle mensole lignee, ornate di figure diaboliche e mostruose, prosegue con la rappresentazione delle Arti dipinte sulle sovrapporte e con una moltitudine di angeli e dei quattro dottori della Chiesa, scolpiti sul ballatoio, e si conclude idealmente nel Trionfo della sapienza dipinto sul soffitto. La dotazione libraria originaria, riguardo alla quale non sono pervenute, purtroppo, fonti documentarie, derivò in modo consistente, oltre che dalla libreria privata del patriarca, dall’acquisizione della collezione dello zio Giovanni, coltissimo letterato e bibliofilo, che gli pervenne per lascito testamentario insieme ai libri del fratello Marco, membro della nunziatura apostolica, dopo che questi morì prematuramente nel 1704; successivamente il D. destinò molto denaro all’acquisto di libri e alla gestione della biblioteca, cui teneva molto, portandola a raggiungere una consistenza di circa settemila edizioni. Per procurarsi le edizioni desiderate egli fece ricorso a una fitta rete di emissari e corrispondenti che incaricò di curare gli acquisti; la scelta del patrimonio librario non fu effettuata soltanto sulla base delle conoscenze delle persone coinvolte e dell’analisi dei cataloghi di vendita delle librerie, ma anche prendendo a modello le più prestigiose biblioteche italiane e straniere acquisendo i cataloghi dei loro patrimoni librari, che ancora oggi costituiscono una importante sezione della biblioteca. La presentazione dell’istituzione alla cittadinanza udinese, che avvenne nell’estate del 1711, riscosse molto favore e ammirazione, come attestano, tra l’altro, un’orazione scritta per l’occasione da Nicolò Madrisio e data alle stampe nello stesso anno, ed alcuni componimenti in versi realizzati da letterati e poeti friulani, editi soltanto in parte. L’elemento che caratterizza la “libraria patriarcale” e ne rivela le funzioni di utilità pubblica consiste nell’ampia varietà delle discipline rappresentate, che spaziano dall’ambito ecclesiastico a quello laico con uguale completezza e cura. Convinto di aver reso un importante servizio alla comunità cittadina, in virtù anche di una gran profusione di denaro, proveniente per lo più dai suoi capitali personali, il D. menzionò più volte l’edificazione e allestimento della biblioteca nella sua corrispondenza indirizzata al papa, ritenendo che costituisse un elemento adeguato a sostenere la sua candidatura per la nomina a cardinale, titolo a cui aspirò fortemente, ma che non ottenne mai. La politica di promozione culturale del D. a favore della città non si esaurì però nella costruzione della biblioteca, anzi spaziò in molte direzioni: nel 1722 si dedicò all’ampliamento e ristrutturazione del seminario, avvalendosi ancora una volta della collaborazione dell’Andrioli: qui pure fece costruire una nuova biblioteca chiamando, nel 1725, un giovane Tiepolo ad abbellirla con alcune tele, purtroppo oggi perdute. Oltre agli interventi di tipo edilizio e architettonico, va ricordata soprattutto la radicale revisione delle materie d’insegnamento, che comportò una maggiore qualificazione della didattica ed attirò numerosi nuovi studenti presso l’istituzione, fino a quel momento in una lunga e difficile crisi. Nel 1731 fondò l’Accademia di Scienze, cenacolo destinato a riunire eruditi e studiosi della Patria del Friuli ed aperto ad ecclesiastici e laici; le riunioni si svolgevano presso il salone di lettura della biblioteca, e tra le sue finalità vi era quella di promuovere gli studi storici locali. Nello stesso anno fece realizzare da Giorgio Massari la nuova facciata della chiesa di S. Antonio Abate, ubicata accanto al palazzo patriarcale, nella quale il ricorrere dello stemma dei Dolfin ne celebrava i fasti. In quello stesso periodo egli finanziò i padri filippini per la costruzione della chiesa di S. Maria Maddalena e fece fondare il convento delle suore salesiane a San Vito al Tagliamento. La crisi che aveva cominciato a segnare gli ultimi anni di patriarcato di suo zio Giovanni, con le pressioni dei goriziani che non si sentivano rappresentati da un’istituzione filoveneziana e per questo chiedevano la costituzione della diocesi di Gorizia, diede qualche segno anche durante la sua attività, con un conflitto con la corte di Vienna nel 1705 per la giurisdizione sull’abbazia di Rosazzo – che fu momentaneamente vacante alla morte di Marco Dolfin – e successivamente in misura più drastica con l’editto di Graz del 1719, in cui era polemicamente espresso il mancato riconoscimento dell’autorità patriarcale sul territorio austriaco. La soppressione del patriarcato di Aquileia stava divenendo argomento di dibattito, ma non in misura tale da coinvolgere direttamente il D., che morì a San Vito al Tagliamento il 3 agosto 1734.

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Bibliografia

ACAU, 910, 911, 912, 913.

UGHELLI, Italia sacra, V, 142; G. MARCUZZU, Sinodi aquileiesi, Udine, Patronato, 1910, 289-292; MARCHETTI, Friuli, 752; PASCHINI, Storia, 847-850; DBF, 274; N. MADRISIO, Orazione all’illustrissimo e reverendissimo mons. Dionigi Delfino patriarca di Aquileia in rendimento di grazie per la sontuosa libreria da lui aperta in Udine a publico e perpetuo comodo della sua Diocesi, Venezia, Hertz, 1718; F. FLORIO, Dissertazioni accademiche ed altri opuscoli inediti di monsignor conte Francesco Florio patrizio udinese […] con la vita del medesimo scritta in latino da mons. Angelo Fabroni trasportata in italiano ed arricchita di note dal p. d. Carlo Maria Narducci barnabita, Roma, Bourlié, 1816, 107-138; L. DOLFIN, I Dolfin attraverso i secoli 452-1797, Genova, Tip. della Gioventù, 1904, 44-45; B.G. DOLFIN, I Dolfin (Delfino) patrizi veneziani nella storia di Venezia dall’anno 452 al 1910, Belluno, Tipografia commerciale, 1912, 154-157; F. PEDROCCO, Appunti per una storia del mecenatismo artistico della famiglia Dolfin, in Splendori di una dinastia. L’eredità europea dei Manin e dei Dolfin. Catalogo della mostra (Villa Manin di Passariano, 28 settembre 1996-6 gennaio 1997), a cura di G. GANZER, Milano, Electa, 1996.

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