FLOREANI FRANCESCO

FLOREANI FRANCESCO (1505 - 1595)

pittore, intagliatore

Immagine del soggetto

Particolare dell'"Omaggio del luogotenente e dei deputati al Redentore", grande tela di Francesco Floreani del 1586 (Udine, Civici musei).

F. il più celebre esponente di una delle più importanti famiglie di pittori-intagliatori friulani, attiva a Udine dalla metà del Quattrocento, nacque probabilmente a Udine, intorno al 1515, da Giovanni e da Francesca di ser Ugolino. I Floreani (o Floriani) presero il soprannome “delle Cantinelle” perché Floriano (ricordato dal 1492, morto a Udine nel 1511), figlio del capostipite Alberto da Tolmezzo (attivo a Udine dal 1462 al 1498), era pittore e “cantinellario” (falegname che apprestava da sé con le cantinelle (assicelle) i soffitti e le divisioni interne che poi avrebbe dipinto). Giovanni, padre di Francesco, pittore, intagliatore e “cantinellario”, è noto per una pala (1525) eseguita per la chiesa di Pantianicco, peraltro perduta. F., sulla cui formazione artistica, come sui lavori giovanili, non si hanno notizie, fu pittore, intagliatore, ingegnere e architetto; condusse la bottega paterna in Mercatovecchio dal 1533 al 1560 assieme al fratello Pietro, poi da solo. Capodagli e Lanzi gli hanno attribuito erroneamente un periodo viennese che riguarda invece il fratello Antonio. Principalmente pittore, fu dapprima seguace alla lontana di Pellegrino da San Daniele; risentì dei modi di Raffaello tramite il Pordenone e Giovanni da Udine, ma anche degli esempi del Veronese e del Tintoretto. ... leggi Piuttosto povero di fantasia, fu apprezzato per la semplicità delle sue composizioni, dove la grazia degli atteggiamenti e i bei panneggi si sposano all’espressività dei volti, a volte purtroppo poco veritieri per l’eccessivo uso di lacche negli incarnati. Di un polittico (1565) per la parrocchiale di Reana rimane la parte centrale, Madonna in trono con Bambino (Vienna, Kunsthistorisches Museum); descritta in una visita pastorale (1601), subì varie traversie. Allo stesso anno risalgono il ritratto di Tommaso Antonio de Brandis, quello del giureconsulto Nicola di Bernardino de Brandis (collezioni private), dall’incarnato più veritiero rispetto a quelli dei volti delle opere storiche, e quello del Nobile Ascanio Belgrado, già posseduto dal pittore G. B. de Rubeis. I successivi pannelli per la cantoria dell’organo del duomo di Udine, Adorazione dei Magi, Gesù risana lo storpio, Disputa di Gesù con i Dottori, Miracolo del centurione (1566), che rivelano l’apertura ai modi veneti (Bassano, Schiavone) con qualche reminiscenza romana, dimostrano padronanza tecnica e coloristica, pur nell’affollamento dei personaggi e nel plasticismo di maniera. A questo periodo appartiene anche la Giuditta col capo tagliato di Oloferne, già posseduta dall’imperatore Massimiliano II e identificata con quella del Rijksmuseum di Amsterdam. Nella Sacra Famiglia, Sant’Anna e San Giovannino (1570), dalla sacrestia della chiesa udinese di S. Pietro Martire approdata, dopo le soppressioni napoleoniche e vari spostamenti, alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, ora in deposito alla Corte d’Appello della città, rivela i modi di Giulio Romano filtrati dalle esperienze romane di friulani come Giovanni da Udine e Sebastiano Secante, cui si ispira. La Sacra Famiglia (1573) dei Civici musei di Udine (acquistata nel 1988) riprende i motivi della precedente. La Madonna col Bambino, S. Giustina e S. Francesco d’Assisi (1578), per l’altar maggiore dei Cappuccini di Udine (chiesa soppressa e smantellata), tavola definita dal di Maniago «una delle più scelte», non risulta nel catalogo delle opere confluite nel nuovo convento dei cappuccini. La pala Tobia e l’Angelo tra i Santi Ermacora e Fortunato (1581), firmata, collocata nel duomo di Aviano, caratterizzata da padronanza compositiva e formale, nonostante la leziosità dei volti di reminiscenza raffaellesca, è stata identificata con quella già presente nella chiesa udinese di S. Lucia (ora sconsacrata). Il richiamo al gigantismo romano di maniera è presente nell’azione concitata della Trasfigurazione (1584) della chiesa di S. Lorenzo a Varmo. L’ultima opera firmata conosciuta è l’Omaggio del luogotenente e dei deputati al Redentore (1586) dei Civici musei di Udine (attualmente nella sala del consiglio del palazzo comunale), impostata secondo uno schema ricorrente negli artisti locali come ad esempio Palma il Giovane e Secante Secanti. Alla sua attività di intagliatore si ascrive un altarolo in legno dorato e dipinto (1538 circa) eseguito assieme al fratello Pietro per la chiesa di S. Donato in Valle a Moimacco, di cui si conservano le statue raffiguranti i Santi Matteo, Donato e Marco (Cividale, Museo archeologico nazionale), «grevi e ridondanti nel panneggio». Per analogia con quest’opera «scolasticamente rinascimentale» Marchetti e Nicoletti hanno assegnato alla bottega dei Floreani, e principalmente a Francesco, opere definite piuttosto modeste e non tutte concordemente riconducibili: una statua di S. Giorgio (1541) della chiesa di Colza, Enemonzo; l’altarolo con S. Gregorio Magno tra i Santi Sebastiano e Rocco, della chiesa di Prato Carnico; l’altare con i Santi Vito, Modesto e Crescenzia, di Liariis, Ovaro, di fattura più sciolta ed equilibrata; le statue degli apostoli per Camino di Buttrio (ora al Museo diocesano di Udine); le statue dei Santi Giovanni Battista, Rocco e Sebastiano, della parrocchiale di Cintello (Teglio Veneto). La discontinuità rende problematica l’attribuzione di opere non documentate. Nell’aggiornato studio del 1992 Bergamini gli ha assegnato due tavolette: Apostoli e S. Ermacora e Fortunato (1576), realizzate per un’ancona lignea della chiesa di Ronchiettis (ora in collezione privata), e la Pentecoste per la chiesa di S. Maria a Faedis (ora nella parrocchiale), eseguita forse in collaborazione con il nipote Giuseppe (per la quale chiese il pagamento nel 1589). Ma lo studioso ritiene di negargli altre opere tradizionalmente attribuite al F.: San Sebastiano e Santi (circa 1577) di Madrisio di Varmo, S. Giorgio e il drago (circa 1580) di Sammardenchia, SS. Antonio Abate, Francesco e Caterina (circa 1581) di Carpeneto, S. Martino di Morsano al Ta – gliamento. L’ancona lignea della chiesa di S. Antonio a Mione, eseguita con padronanza tecnica e nei modi di Antonio Tironi, in realtà è opera di Simone di Paolo Scalettario. Due dipinti su tela con episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, fino al 1820 portelle dell’organo della chiesa di S. Maria delle Grazie di Gemona, poi passate al duomo della stessa città, sono pure tradizionalmente attribuiti al F. per il richiamo con gli analoghi pannelli della cattedrale di Udine; mentre al suo ambito viene assegnata la Madonna con Bambino e Santi, affresco staccato conservato presso i Civici musei udinesi. Sarebbero perduti invece i Santi della chiesa udinese del Carmine. Per quanto riguarda ancora la pittura, si dedicò a una copiosa produzione di gonfaloni e vessilli per chiese di tutto il Friuli, iniziata in collaborazione con il fratello Pietro e continuata fino alla vecchiaia. Si dedicò anche a opere di architettura e di ingegneria idraulica. Per Udine organizzò i lavori del salone del parlamento in castello (1566), dove eseguì anche gli affreschi con Trionfo dei cristiani dopo la vittoria contro i Turchi a Lepanto (1575-80); progettò la scala di accesso dai portici di S. Giovanni, di cui resta un disegno acquarellato. Sono suoi il primo progetto (1566-67), solo in parte attuato, per il Monte di pietà e quello per l’oratorio della confraternita del Santissimo Crocefisso (1597). Disegnò un sontuoso fonte battesimale per la chiesa udinese di S. Giacomo, poi scolpito più semplicemente (1597), e collaborò con Bernardino Blaceo al disegno della città di Udine per un progetto di fortificazione (1567). Nel 1570 si occupò del livellamento di borgo Aquileia e della riforma della conduzione d’acqua alle fontane pubbliche, come aveva già fatto nel 1552. Dedicò all’imperatore Massimiliano II un libro di disegni di architetture (invenzioni di fabbriche, teatri, archi, portici, ponti, palazzi, ecc.), apprezzato dal Vasari, oggi introvabile. Gianfrancesco Palladio degli Olivi lo dice anche primo inventore del disegno «de’ molini, sieghe, e battiferri a quattro ruote, con un solo cavallo, senz’acqua e vento». La ricostruzione della documentazione d’archivio relativa a tutta la sua opera, soprattutto quella perduta, è dovuta a G. Bergamini. Ormai anziano, nel 1591, il pittore fu eletto consigliere del comune di Udine per il quale aveva tanto lavorato. Morì nel 1595 poco dopo il suo quarto testamento del 18 agosto, in cui chiedeva di essere seppellito in monumento nella chiesa udinese di S. Pietro Martire.

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Bibliografia

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