LAZZARINI GIUSEPPE EDGARDO

LAZZARINI GIUSEPPE EDGARDO (1832 - 1883)

avvocato, commediografo

Immagine del soggetto

Giuseppe Edgardo Lazzarini.

Figlio di Angelo e Chiara Cancianini, nacque a Udine il 5 luglio 1832. Dopo gli studi nella città natale, frequentò a Padova la Facoltà di giurisprudenza e si laureò nel 1856. Esercitò in seguito la professione forense (dal 1864, per dieci anni, a Tolmezzo), dando prova della propria perizia in alcune cause e processi rilevanti; si segnala in particolare la difesa della patriota Maria Agosti Pascottini, incarcerata dall’Austria nel 1865 per favoreggiamento dei cospiratori udinesi. In campo giuridico pubblicò anche due saggi: il primo, intitolato Della necessità del divorzio come legge civile, sollevò notevole scalpore anche perché legato alla dolorosa esperienza di L., costretto dopo un solo anno di matrimonio a separarsi dalla moglie Giovanna Bellina; la vicenda si concluse tragicamente con il suicidio di quest’ultima. Nel 1870 L. si unì nuovamente in matrimonio con Maria Bianchi, sorella del poeta Andrea; uno dei loro tre figli, Alfredo, noto per gli studi nel campo della lingua e della letteratura friulana, è autore di una biografia del padre rimasta purtroppo inedita. Amico di Ippolito Nievo, accanto al quale collaborò con «L’annotatore friulano» e «L’alchimista friulano», L. viene ricordato soprattutto per la sua copiosissima attività di letterato, in particolare di produttore di lavori teatrali, un’attività proseguita con passione fino alla morte, avvenuta il 21 gennaio 1883. Incominciò ancora giovanissimo, componendo poemetti (Padova liberata dalla tirannide degli Ezzelini), drammi lirici (La fidanzata di Rodi), poesie e versi sciolti (In morte di Carlo Alberto, L’oriente…), novelle (Il cacciatore di contrabbando, Claudina, La provvidenza) e il racconto Scene della vita in Russia (Trieste, 1864), un breve romanzo d’appendice comparso nel giornale «Il tempo» e non alieno da intenti educativi, come precisa l’introduzione (che accoglie, tra l’altro, suggestioni da Turgenev): «Chi a’ dì nostri scrive anche tenuissima cosa, non può farlo senza mirare ad un fine. ... leggi Se le lettere non avessero di mira il beneficio dell’umanità ed il suo immegliamento, sarebbero un oggetto di lusso». L. iniziò ben presto a impegnarsi soprattutto nei testi teatrali; oltre trenta le opere in italiano, fra le quali compaiono titoli già in sé eloquenti: Fede e scetticismo, Amor vero e falso, L’ipocrita e l’egoista. Anche le vicende biografiche lasciano nella scrittura le loro tracce; L. attraversava lunghi periodi oscuri a causa delle difficoltà di affermazione dei propri lavori nell’ambiente corrotto e affaristico dello spettacolo (da qui alcuni drammi come Gli indifferenti, I giudizi del mondo, Le disuguaglianze, Per causa di un pregiudizio…), ma non furono estranee neppure le vicende familiari. Dopo il primo matrimonio scrisse il romanzo Memorie d’un’anima, mentre echi delle sue esperienze personali ritornano nelle commedie Un nodo indissolubile e Le battaglie del cuore; quest’ultima, messa in scena a Firenze dalla Società filodrammatica, è forse il lavoro in lingua più apprezzato, e nel 1868 è stata pubblicata dall’editore C. Barbini di Milano nella collana “Biblioteca ebdomadaria teatrale”, insieme con I romantici, un’altra commedia di ambientazione aristocratica. Le opere in italiano sono state recitate da filodrammatici udinesi, goriziani, triestini e del Veneto, e diffuse in Italia da numerose compagnie artistiche: Calloud, Salvini, Borisi, Bellotti Bon, Monti, Boldrini, Bertini. Fortuna purtroppo effimera, tanto che nel 1933, a cinquant’anni dalla morte, Antonio Faleschini lamentava l’oblio in cui erano già caduti romanzi, poesie, novelle, drammi, commedie e tragedie in italiano. Con quattro lavori in veneziano, tre dei quali vennero tradotti in friulano, L. sperimentò il teatro dialettale: El curato d’Altornia ossia Un prete galantuomo! (scritta per la Compagnia Moro-Lin, Udine, 1872), Maldicenza (poi Malis lenghis [Male lingue]), Il luni (poi Il lunis [Il lunedì]), Tuti burlai e nessun burlà (poi Dug’ e nissun! [Tutti e nessuno!]). L. è peraltro conosciuto soprattutto per la sua produzione in lingua friulana, al cui teatro egli ha dato, insieme con Francesco Leitenburg, il maggior contributo nell’Ottocento. Anche se prove così tardive fanno pensare a una scelta di ripiego e di compensazione per ambizioni elevate rimaste deluse, la sua capacità di osservazione dei tipi (l’invidioso, la pettegola, il geloso) e delle tradizioni popolari gli garantisce risultati apprezzabili. Le commedie si assestano sul filone sentimentale, attraversando momenti di tensione drammatica, complicazioni ed equivoci, per giungere a un lieto fine sovente coronato da nozze felici. La produzione friulana si dispone su gradi diversi di impegno e profondità. L. partì innanzitutto, intorno al 1874, con una forma di teatro spontaneo, privo di preoccupazioni morali; è il caso di Malis lenghis (in tre atti, Udine, 1876), commedia che incontrò grandissimo favore di pubblico e di critica, tanto da venir premiata al concorso drammatico friulano del 1875; la vivace pittura della vita e dei pettegolezzi del borgo non nuoce alla profondità psicologica ricercata dall’autore. Da La sdrondenade [Lo “charivari”] (commedia in tre atti, Udine, 1876) trapelano scopi educativi e morali (e anche patriottici) più corposi, nonostante si tratti di un’opera dal carattere ben più mordace e brillante; le ripetute rappresentazioni da parte dell’Istituto filodrammatico udinese e del Circolo filodrammatico garantirono all’autore ampia notorietà. L’intento pedagogico è ancor più esplicito nella commedia in tre atti intitolata Il vêncul [L’incubo] (Udine, 1876), rapida e ricca di colpi di scena imprevedibili ed energici, in piena sintonia con il gusto dell’epoca. Dopo Dug’ e nissun! (commedia in un atto, Udine, 1882), singolare esperienza è quella allestita con La s’ciarnete [La fiorita], «scene campestri friulane in due parti» ambientate «in un villaggio dell’alto Friuli nel sec. XVIII» (la sola parte cantabile uscì postuma a Udine nel 1885; altre edizioni nel 1910, 1913, 1926); purtroppo la musica composta da Luigi Cuoghi è andata smarrita durante la grande guerra, ed è stata ricostruita da Angelo Bertoli; con l’esecuzione pubblica udinese del 1885, curata dal Circolo artistico e dal Club filodrammatico, il friulano accede dunque al melodramma, al quale L. contribuisce ancora con Sin tornâs tal Medio-Evo [Siamo tornati nel Medio-Evo] (due atti, inedito e non musicato) e con Lis gnozzis disfatis [Le nozze sciolte] (due atti, musica di G. B. Cremese, messo in scena a Trieste nel 1892). In Germànie! [In Germania!] (commedia in tre atti, Udine, 1890), definito dalla critica «dramma sociale e dramma di costume» (M. Ostermann), è opera degna, interessante per lo sguardo sulla storia e sulla psicologia dell’emigrante, e naturalmente per la ricostruzione dell’ambiente friulano. Oltre ai tre atti della commedia Il lunis (Udine, 1891), L. scrisse anche Il cuc [Il cuculo (si intende l’uomo che si accasa presso la famiglia della moglie)] (commedia in quattro atti), Paròn e servitòr [Padrone e servitore] (frammento di dialogo, incompiuto), La strade dal lôf [La strada del lupo] (farsa), Tal cis’cèl [Nel castello] (dramma incompiuto). È andata smarrita la traduzione e riduzione dall’originale piemontese della farsa Feliz, il cerimoniôs [Feliz, il cerimonioso], di Bartolomeo Ardy. Oltre a queste commedie di costume, a L. si devono infine alcune poesie friulane e uno studio sul poeta friulano Luigi Picco. Sembra plausibile ascrivere la fortuna della produzione teatrale in friulano di L. alla relativa semplicità degli intrecci, alla fluidità dell’azione, alla presenza di buoni sentimenti, alla possibilità, offerta agli spettatori, di ritrovare se stessi nei tipi riconoscibili fra i personaggi: il malinconico, la fanciulla buona e fedele, l’onesto, il geloso e vendicativo, l’anima affettuosa. Non mancano i difetti tecnici, ravvisabili soprattutto nello schematismo tematico, nelle lacune e negli squilibri, nel manierismo goldoniano. Salvo rari casi, mancano le trovate risolutive o una vera e propria azione, ma la vita è rappresentata nella sua semplicità in modo franco e sincero, talora perfino spregiudicato, mentre i dialoghi scorrono piani grazie a una lingua nitida e precisa. Un’aura di bontà avvolge tutti i personaggi, persino quelli deputati a comportarsi da malvagi. Che il bene e la moralità debbano trionfare è un dato fuori discussione.

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Bibliografia

DBF, 443; P. BONINI, Del teatro friulano. Memoria, Udine, Tip. G. Seitz, s.d. [1875], 12-13; M. VACCARO OSTERMANN, Il teatro dialettale friulano. Notizie, Udine, Del Bianco, 1907, 81-107; A. LAZZARINI, Bibliografia del teatro friulano. Secolo XVII - 1921, «Rivista della Società filologica friulana G. I. Ascoli», 4 (1923), 105-116, 158-165; G. BRAIDA, Un precursore del teatro friulano: Giuseppe Edgardo Lazzarini, «La Panarie», 4 (1927), 26-29; A. FALESCHINI, Un commediografo friulano. Giuseppe Edgardo Lazzarini, «Ce fastu?», 9 (1933), 51-52; G. COMELLI, Il teatro friulano, «Avanti cul brun! Lunari di Titute Lalele pal 1949», 15 (1948), 83-84; R. BIASUTTI, Bibliografia del teatro friulano, Udine, Clape culturâl Acuilee, 1982.

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