NIMIS LOI FRANCESCA

NIMIS LOI FRANCESCA (1874 - 1959)

poetessa

Immagine del soggetto

La poetessa Francesca Nimis Loi.

Nacque a Palmanova nel 1874 e, come lei stessa ricorda in una breve autobiografia in rima, dopo una prima istruzione trasmessale dal padre («mi lejève di dut, / no lassànd fûr Zorùt» [mi leggeva di tutto, / non tralasciando Zorutti]), studiò al collegio Uccellis, a Udine, dove poi proseguì la vita di sposa e madre, dividendosi tra la città e le colline di Pagnacco. Morì sempre a Udine nel 1959. È ancora la sua testimonianza a datare la nascita dell’impulso poetico alla separazione precoce dalla famiglia, ma è durante la prima guerra mondiale che i versi in friulano prendono corpo, dando la misura di una personalità che, per stile e valori, rappresenta modi tradizionali – Dino Menichini la accosta ad Anna Fabris. Pubblicò sullo «Strolic furlan», «L’amico del contadino» e altri periodici, raccogliendo il corpus in successive sillogi: Pizzule vôs furlane [Piccola voce friulana], del 1920, con nuova edizione ampliata e introdotta da Emilio Girardini nel 1928, Une vene di poesie ognidun al à tal cûr (Una vena di poesia ognuno ha nel cuore), del 1936; Poesiis de me vite [Poesie della mia vita], del 1955. I titoli (e i testi) suggeriscono una poesia spontanea, umile espressione di una vita semplice, in armonia con la natura e paga degli affetti domestici. Le si riconosce una dolcezza malinconica (Chiurlo), discreta e mite, «un tenero, femminile amore […] verso la propria terra» (Menichini), il «desiderio di tradurre in poesia i sentimenti più comuni» (D’Aronco). I versi sono brevi e, nella linea dei post-zoruttiani, quasi ossessivamente musicali: prevale l’ottonario, l’andamento della villotta, e non a caso alcuni componimenti ottengono successo con l’accompagnamento musicale. ... leggi Assai nota al canto corale Cjampanis de sabide sere [Campane di sabato sera], musicata da Luigi Garzoni. Nel 1951 pubblicò a Parigi Le Frioul chante et enchante, raccolta di poesie con versione in francese di Paul Vertès-Lebourg. Molti i versi, spesso brevi e cantilenanti, dedicati alla natura («felicissima Ploe di rosis […] per la fresca e improvvisa immagine finale, che richiama i perfetti tanka giapponesi»: D’Aronco), il cui mondo non concede sussulti o misteri («sintíso il gri? / Jé la so fieste. / Dut ben lustrât, / la gnot e il dì / al si parece / par li sos gnozzis: / gri gri gri gri…» [sentite il grillo? / È la sua festa. / Tutto a puntino, / la notte e il giorno / si prepara / per le sue nozze: / gri gri gri gri…]), investito al più della malinconia («Cui dirès che il to ciant pùar e meschìn, / […] al podès cun tant dûl vaì la fin / dal timp passât, de passade stagion!» [Chi direbbe che il tuo canto povero e meschino, / […] potesse con tanto dolore piangere la fine / del tempo passato, della passata stagione!]). In confronto alla natura, personalizzata e al contempo divina, gli uomini possono realizzare la morale sacra del lavoro («Il lavôr de nestre tiere / al fâs l’om plui bon, plui fuârt: / il lavôr al è prejere, / ’l è ricezze, ’l è confuârt» [Il lavoro della nostra terra / fa l’uomo più buono, più forte: / il lavoro è preghiera, / è ricchezza, è conforto], dove in «nestre tiere» è chiaramente la terra friulana, con i suoi stereotipi). Nella contemplazione s’insinua («cul voli miò pensôs» [con il mio occhio pensoso]) la tristezza («Primevere, un salustri / ti domande ogni cûr; / la vite jé tant curte / e il ben tant pôc sigûr» [Primavera, una schiarita / ti domanda ogni cuore; / la vita è tanto corta / e il bene così poco sicuro]) e la disillusione («Oh, autun! Oh, nestre vite declinade!» [Oh, autunno! Oh, nostra vita declinata!], «Plui no si crôt a’ flabis, / pôc a lis veretâs: / lis ilusions son ladis» [Più non si crede alle fiabe, / poco alle verità: / le illusioni sono andate]), mentre la memoria dei cari richiama speranza e fede (Il dì dei muarz [Il giorno dei morti]). I termini del discorso poetico, lontani dalle inquietudini del Novecento, in gran parte descrittivi, piegano tutt’al più a interrogarsi sulla distanza tra umanità e creato. La parola retorica è latente, specie nei testi a tema patriottico (si veda Feminis, guciàit! [Donne, lavorate a maglia!]), ma anche in questi torna, a contrasto con la vicenda umana, il mistero di un’armonia immanente (E in tiare… uere! [E in terra… guerra!]).

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Bibliografia

Pizzule vôs furlane, Udine, Stabilimento tipografico friulano, 1920; con Prefazione di E. Girardini, Udine, Edizioni de La Panarie, 19282; Une vène di poesìe ognidùn al à tal cûr, Udine, Istituto delle Edizioni Accademiche, 1936; Le Frioul chante et enchante, Version française de P. Vertès Lebourg, Introduzione di O. Valerio, Paris, Edition Cahiers Poétiques de Matines, 1951; Poesiis de me vite, Udine, Doretti, 1955.

DBF, 468-569; CHIURLO, Antologia, 446; G[INORIO] [= E. CARLETTI], Recensione a Une vene di poesie ognidùn al à tal cûr, «Ce fastu?», 12/5-6 (1936), 124; D. MENICHINI, In memoria di due scrittrici, «Ce fastu?», 33-35 (1957-1959), 218-222; M. GASTALDI - C. SCANO, Dizionario delle scrittrici italiane contemporanee: arte, lettere, scienze, Milano, Gastaldi, 1961; Mezzo secolo di cultura, 192; D’ARONCO, Nuova antologia, III, 220.

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