OLIVO SILVIO

OLIVO SILVIO (1909 - 1999)

scultore

Immagine del soggetto

Lo scultore Silvio Olivo.

Nacque a Villaorba di Basiliano (Udine) nel 1909. Trasferitosi sedicenne a Roma, frequentò gli studi del conterraneo Aurelio Mistruzzi e del triestino Attilio Selva, dai quali apprese la solidità di modellato, la capacità di analisi della figura, disciplinata da solide esigenze costruttive e il sottofondo eclettico, rimasti a supporto della produzione successiva, sorretta sempre da una forte sostanza etica e umana. Conseguì la maturità artistica a Napoli, nel 1938. Nella capitale strinse rapporti con alcuni dei maggiori artisti italiani. Frequentava gli scultori Marino Mazzacurati, Pericle Fazzini, Manzù, nonché Afro e Mirko Basaldella. Queste esperienze lasciarono il segno, insieme a influssi, sia pur sotterranei, del monumentale Libero Andreotti e della stravolta visionarietà dei protagonisti della Scuola romana, da Antonietta Raphael a Leoncillo e a Roberto Melli. L’espressionistica sintassi di questi ultimi, insieme con le nervose invenzioni formali di personalità di spicco di “Corrente”, accompagnarono l’evoluzione di O., segnata da un’esigenza di approfondimento interiore e da una progressiva spiritualizzazione poetica. L’onda lunga arriverà a lambire addirittura le opere degli anni Novanta. Sulla “colata” di fantasia fertile e impetuosa sembrano dunque galleggiare lacerti di svariate memorie culturali, che l’artista, nelle sculture di piccole e medie dimensioni, risolveva con linguaggio duttile, mosso da palpiti di fresca immediatezza, da foga chiaroscurale, da “orfica sensualità”. I primissimi lavori risentivano ancora del classicismo neorinascimentale e del simbolismo emotivo di Mistruzzi e Selva, differenziandosi comunque per una ricerca di sintesi. ... leggi Nel 1935 l’artista partecipò alla Quadriennale con Donna che cammina, conservata alla Galleria d’arte moderna di Udine. Il nudo rappresenta l’impegno verso un ampio racconto sondato nelle possibilità di movimento largo ed elastico, con un modellato scabro, ruvido, vibrante, espanso in uno spazio rarefatto, come di un tempo “magico”. Nei Ritratti, fra i quali il Busto del generale Maurizio Gonzaga (1935), il realismo scava nell’intima verità del personaggio. Al Generale Gonzaga si riallacciano tematicamente le gigantesche statue dell’Alpino, del Fante, del Marinaio e dell’Aviere (1938-1940), con le quali O. ottenne il primo premio al concorso per la facciata del Tempio Ossario di Udine. Sfidando l’impostazione retorica, i modelli in gesso, nell’altezza naturale di oltre dieci metri, tendevano a un’energica sintesi delle superfici, pronunciate con espressionistiche spigolosità, quasi che in esse qualche accenno alla “parlata” romana innervasse la rude energia e lo sbozzato vigore di un “eloquente” dialetto friulano. Purtroppo i modelli sono andati perduti e la loro resa in pietra, affidata nel 1950 a maestranze estranee, non ne rispettò del tutto l’impostazione originaria. Eppure, anche entro non discutibili limiti, le statue riescono a trasmettere un senso di nobile epicità, sembrano trattenere i segni di un’epoca ormai archiviata, testimoniano il coraggio dell’autore nell’affrontare vasti e impegnativi spazi. Del 1936 era l’Atleta in bronzo, che si articolava con impetuosa libertà dinamica all’ingresso del collegio udinese dell’Opera Nazionale Balilla progettato da Midena. La scultura fu abbattuta alla caduta del regime, il 25 luglio 1943: rimane un ampio frammento mutilo del modello in gesso patinato, incrinato da segni arcani come impronte misteriose tracciate dai secoli. Il Rematore (1941) in marmo, per la Scuola nazionale antincendi di Roma, partecipa del novecentismo “platonico” degli Atleti che fanno corona allo Stadio dei marmi e dell’eleganza apollinea di alcuni Nudi maschili di Mazzacurati. Durante la seconda guerra mondiale l’opera di O. si carica di drammaticità. Le masse volumetriche ribollono di foga chiaroscurale, riallacciandosi alla materia plastica torpida e insieme appassionatamente animata di Iacopo della Quercia o ai temi del romano Leoncillo, rimeditando anche gli esempi di Medardo Rosso. La giovanetta (1945) ripropone i modelli delle figure allungate del Greco attraverso le poetiche trascrizioni di Afro. Dal 1947 al 1950 l’artista visse in Argentina e a Buenos Aires gli fu commissionato il Monumento equestre al generale José San Martin, realizzato al ritorno a Roma nel verde di villa Giulia. L’opera concluse il novecentismo aulico di O., citando il Gattamelata di Donatello. La curiosità e lo spirito giovanile di ricerca indussero lo scultore ad avventurarsi sui terreni dell’astrazione, in opere di totemico respiro sensibili alle suggestioni di Henry Moore, dell’America precolombiana e dei fiabeschi “camini” di Cappadocia (dalla Struttura alternata del 1969 per la Biblioteca nazionale di Roma alla gigantesca Stele dell’Istituto tecnico Malignani di Udine). Rientrato definitivamente a Udine nel 1986, O. continuò a produrre piccole sculture alimentate dalla radice del Novecento poetico e da un macerato arcaismo ellenico. Morì nel capoluogo friulano nel 1999.

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Bibliografia

DAMIANI, Arte del Novecento II, 160-166; G. BRUSSICH, Il Novecento, in La scultura nel Friuli Venezia Giulia, II. Dal Quattrocento al Novecento, a cura di P. GOI, Pordenone, GEAP, 1988, 394-396; L. DAMIANI, Olivo. Le sculture, Udine, Il Campo, 1997; Silvio Olivo scultore, scritti di G. Bergamini - L. Damiani - L. Perissinotto - M. Buora - A. Valgimigli, Udine, Provincia di Udine/Civici musei, 1998; Ado Furlan 1905-1971. Scultura in Friuli Venezia Giulia. Figure del Novecento. Catalogo della mostra (Pordenone, 10 dicembre 2005-26 febbraio 2006), a cura di A. DEL PUPPO, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana, 2005, 110-111 e passim.

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