PAOLINI FABIO

PAOLINI FABIO (1550 - 1604)

ecclesiastico, filosofo, medico, docente di retorica, umanista

Immagine del soggetto

Prima pagina del "Liber Quintus delle Hebdomades" di Fabio Paolini, Venezia 1589.

Era figlio di Alessandro, e fratello di Giambattista, Francesco e Lodovico, tutti letterati. Benché sempre definitosi «Utinensis», nacque probabilmente a Tricesimo, nel 1550 (e non intorno al 1535, come si legge in Liruti e in tutti i repertori). Studiò verosimilmente dapprima con il padre, pubblico professore di umanità, poi a Venezia, presso Bernardino Partenio, che lo iniziò al greco. Continuò forse gli studi umanistici frequentando l’Università di Padova, presso la quale afferma di aver ascoltato Antonio Riccoboni, docente di retorica dal 1572 al 1599. Conseguì però la laurea in filosofia, presso lo Studio veneziano, e solo nel maggio del 1588 (e in effetti si qualifica per la prima volta «philosophus» nell’orazione De doctore humanitatis pubblicata nel 1588). Forse aveva dapprima interrotto gli studi, puntando a una carriera ecclesiastica; sappiamo infatti che, divenuto chierico della diocesi aquileiese (dalla quale continuò poi a percepire una pensione annua), nel 1578 aveva concorso per il pievanato di Tricesimo, ma senza successo, anzi finendo addirittura in carcere, a seguito di un incauto ricorso. Tornato alle lettere, già a partire dal 1583 teneva a Venezia il posto di “humanista” o “lettore” del sestiere di Santa Croce (uno dei «publici… Doctores… in Tribubus» istituiti dal senato nel 1551 e dal P. ricordati nelle Hebdomades; a pagina 247, dove dice di aver ottenuto il posto che era stato, quasi trent’anni prima, del Muretus, il quale però, secondo Dejob, insegnava a S. Francesco della Vigna, nel sestiere di Castello). Poi, a partire dal 1588, alla morte del Partenio, tenne anche la cattedra di greco presso la Biblioteca di S. Marco e quella di latino del collegio dei notai. ... leggi L’anno prima era stato coinvolto in una polemica erudita da Giuseppe Giusto Scaligero, alla cui mordace epistola, pubblicata a Parigi con lo pseudonimo di Yvo Villiomarus Aremoricus, rispose usando il nome “accademico” grecizzato Chianeus (l. ‘Chyameus’) Oligenius (da κύμος = lat. ‘faba’, e λίγος = lat. ‘paulus’), con cui avrebbe firmato anche due epigrammi, in latino e in greco, liminari all’Elettra tradotta da Erasmo di Valvasone (1588). Nel 1587 il P. fu infatti tra i fondatori della seconda Accademia veneziana, quella degli Uranici, attiva fino al 1593, cui appartenne, insieme a numerosi dotti e patrizi veneziani, anche il ricordato Valvasone. Negli anni seguenti, ottenuta nel settembre 1593 anche la laurea in medicina, a Bologna («philosophus ac medicus» infatti dapprima nell’orazione in morte del patriarca Grimani, dell’ottobre 1593), il P. si dedicò in prevalenza a studi medici, e nel 1598-99 fu priore del collegio medico veneziano. Morì nel settembre del 1604 (non nel 1605), all’età di cinquantaquattro anni. Una ventina le opere a stampa. Legate all’impegno pedagogico la prolusione De Graecis literis cum Latinis coniungendis (1586), sull’opportunità di insegnare contemporaneamente le due lingue (come il P. faceva a Santa Croce), e il libriccino illustrato del 1587, contenente ‘cento favole tratte dagli antichi scrittori’, sintetizzate dal P. ciascuna in quattro trimetri (più uno di “epimythion”, la ‘morale’), sia in greco sia in latino, alle quali si aggiungono, anch’esse corredate di traduzione latina, le favole pure in tetrastici attribuite (fin dall’Aldina del 1505) a “Gabrias” (i.e. Babrio), e che invece per primo il P. indicò essere opera del bizantino Ignazio Diacono (secolo IX), citando la testimonianza di uno specifico codice greco, non ancora identificato (a pagina 113: «… pervetustus quidam liber ex Bibliotheca Episcopi Corcyrensis, quem mihi ostendit omni laude dignus Ioannes Constantinius, in quo cum multa essent graeca opuscula, in extremis pagellis has quoque fabellas inveni sine ullo Epimythio sub hoc titulo. Ignativou Diakovnou tetravstoica dii?amba eı toı muvqouı Aswpikoı metafrastik»); completano il volume altre traduzioni giovanili in versi latini, fra cui quella di Museo (Ero e Leandro), e quelle di Galeomiomachia e Batracomiomachia. All’insegnamento della retorica si possono ricondurre la prolusione De doctore humanitatis (pubblicata nel 1588, ma recitata già nel 1586 «in studiorum primordiis») sulla formazione del perfetto umanista, e le riedizioni con supplementi e integrazioni dei commenti di Marcantonio Maioragio, rispettivamente al primo libro del De oratore di Cicerone (1587) e alla Retorica aristotelica (1591). Sulla stessa linea, ma a un livello molto più ambizioso si pone l’opera più nota del P., le Hebdomades sive Septem de Septenario libri (1589), lette fra la Biblioteca di S. Marco e l’Accademia degli Uranici nel 1587, formalmente un ponderoso commento ad un singolo verso dell’Eneide riferito al mitico cantore Orfeo (VI 646 «Obloquitur numeris septem discrimina vocum»), che delinea però una sorta di enciclopedia dell’oratoria e delle scienze contemplative, fondendo neoplatonismo ficiniano, ermetismo cabalistico pichiano (ossessione del numero sette, che affiora anche in altre opere del P.), astrologia, dottrina musicale dello Zarlino e mnemotecnica camilliana. Un suo commento al De ideis di Ermogene, testo di cui si erano occupati, fra gli altri, anche il Partenio e appunto Giulio Camillo Delminio, sarebbe andato fortuitamente perduto (comm. in Cic. De or., p. 18v). Negli ultimi anni, anche la produzione del P. riflette il concentrarsi dei suoi interessi sulla medicina: fa stampare una praelectio sugli Aforismi di Ippocrate (1593), le Praelectiones Marciae (1603), contenenti un commento medico (di seicento pagine) alla descrizione tucididea della peste di Atene, due revisioni di precedenti commenti a Galeno (1592) e ad Avicenna (1595; ma ciò non implica la conoscenza dell’arabo attribuitagli dal Liruti), corredati dal P. di accurate sinossi (‘oeconomiae’, ‘tabulae isagogicae’); cura la settima Giuntina latina di Galeno (1596-97), correggendo almeno occasionalmente la traduzione sulla base del testo greco e aggiungendo tra gli ‘spuria’ un testo prima assente (De clysteribus). Tre sue tabelle di Antiquorum anatome furono accluse all’edizione veneziana (apud Ioan. Anton. et Iacobum de Franciscis) del 1604 dell’Anatomia del Vesalius. Non manca infine la letteratura d’occasione: orazioni e soprattutto poesia, in latino e in greco (a partire dal poemetto latino d’esordio, Proteus, dedicato al doge Da Ponte nel 1578, insieme a un’ode greca); al materiale edito, a sé, in raccolte collettive o in limine a libri di amici, va aggiunto almeno qualche altro pezzo inedito.

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Bibliografia

Non sono noti sicuri autografi del P. Componimenti poetici inediti, anche del padre e dei fratelli si trovano nei mss BCU, Principale, 287 (sec. XVI); BAU, Bartolini, 21 (sec. XVIII; probabilmente da mettere in qualche relazione col ms «LVIII» del Liruti, da lui più volte citato); BCTv, 1438; BNMV, Lat., XII 150 (coll. 4395).
Repertori (dati biografici da aggiornare alla luce di PALMER, v. sotto): CAPODAGLI, Udine illustrata, 204; G. GHILINI, Teatro d’huomini letterati, ms BNMV, It., X 133, f. 95rv (cfr. Ibid., Lat., XIV 28, f. 427); LIRUTI, Notizie delle vite, III 352-372; VALENTINELLI, Bibliografia, 48, 133, 177, 324, 351, 445; DI MANZANO, Cenni, 148-149; G. COSTANTINI, Uomini ragguardevoli di Tricesimo e Cassaco (esclusi i viventi), «Ce fastu?», 15 (1939), 214-217: 216; MARCHETTI, Friuli, 998; SOMEDA DE MARCO P., Medici, 69-71; DBF, 592.
A. SCHOTT, Adagia sive proverbia Graecorum, Antverpiae, Plantin-Moretus, 1612, 544; I.A. FABRICIUS - G.C. HARLES, Bibliotheca Graeca, I, Hamburgi, Bohn-Lipsiae, Breitkopf-Haertel, 1790, 635 (entrambi sulla questione del “Gabrias”); G.F.F. FERRARI, Lezioni tucididee alla Marciana di 350 anni fa, «Almanacco dei bibliotecari italiani», 2 (1953), 69-72; D.P. WALKER, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella, London, Warburg Institute-University of London, 1958, 126-144 [traduz. ... leggi it: Magia spirituale e magia demoniaca da Ficino a Campanella, Torino, Aragno, 2002, 172-196]; Notitia doctorum, sive Catalogus doctorum qui in collegiis philosophiae et medicinae Bononiae laureati fuerunt ab anno 1480 usque ad annum 1800, a cura di G. BRONZINO, Milano, Giuffrè, 1962 (Universitatis Bononiensis monumenta), 101; F. YATES, The Art of Memory, London, Routledge-Kegan Paul, 1966, 167-169 [trad. it. L’arte della memoria, Torino, Einaudi, 1972, 154-156]; R. AVESANI, La professione dell’«Umanista» nel Cinquecento, «Italia medioevale e umanistica», 13 (1970), 205-232: 212-221; C. VASOLI, Le Accademie fra Cinquecento e Seicento e il loro ruolo nella storia della tradizione enciclopedica, in Università, Accademie e Società scientifiche in Italia e in Germania dal Cinquecento al Settecento, a cura di L. BOEHM - E. RAIMONDI, Bologna, il Mulino, 1981 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico - Quaderni, 9), 81-117: 106-107; R. PALMER, The Studio of Venice and its Graduates in the Sixteenth Century, Trieste-Padova, Lint, 1983 (Contributi alla storia dell’Università di Padova, 12), 42, 49, 181 (con nuovi elementi fondamentali per la biografia – date di nascita e morte, lauree, insegnamento – ricavati da carte d’archivio); C. VASOLI, Il tema architettonico e musicale della «Harmonia mundi» da Francesco Giorgio Veneto all’Accademia degli Uranici e a Gioseffo Zarlino, «Musica e storia», 6 (1998), 193-210: 204-207; S. RADAELLI, L’Accademia degli Uranici: la musica nelle Accademie veneziane, «Musica e storia», 6 (1998), 327-348 (con ricca bibliografia); U. ROZZO, Per una biografia di Bernardino Partenio, in Bernardino Partenio e l’Accademia di Spilimbergo 1538-1543. Gli statuti, il palazzo, a cura di C. FURLAN, Venezia, Comune di Spilimbergo/Marsilio, 2001, I, 31 e ni 2-4; I. MACLEAN, Logic, Signs and Nature in the Renaissance. The Case of Learned Medicine, Cambridge, Cambridge University Press, 2002, 63 n. 115, 252 (sulle ‘tabulae’ mediche del P.); M. TURELLO, Il brevet: furlans de Rinassince tal avignî dal ciberspazi, Udine, Ribis, 2002, 24-33 (www.friul.net/e_libris/Brevet.pdf).
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