PELLEGRINO DA SAN DANIELE

PELLEGRINO DA SAN DANIELE (1467 - 1545)

pittore

Immagine del soggetto

Decorazione ad affresco di Pellegrino da San Daniele nella chiesa di S. Antonio Abate a San Daniele, 1497 ca.

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Annunciazione, olio su tela di Pellegrino da San Daniele, 1519 (Udine, Civici musei).

Immagine del soggetto

Scomparto centrale del Polittico dei Battuti di Pellegrino da San Daniele, 1527-28 (Cividale, Museo archeologico nazionale).

È uno dei maggiori artisti friulani del primo Rinascimento: figlio di Battista Schiavone da Zagabria, M., meglio conosciuto come Pellegrino da San Daniele, nacque a Udine nel 1467. La data di nascita si ricava dalla deposizione fatta da Domenico da Tolmezzo in un processo intentato a Udine dal luogotenente della Patria del Friuli Alvise Bragadi a carico del pittore Pietro Antonio del Lucianis per il comportamento scandaloso di alcune monache del convento di S. Chiara e di un altro convento e di alcuni preti ed uomini di cultura. Interrogato il 26 maggio 1489 Domenico racconta tra l’altro di aver ospitato nella sua casa nell’inverno precedente un certo M., di ventun anni circa, che una volta stava nella casa del pittore Antonio da Firenze, e che quella casa era «una speluncha de sodomia». Rimasto orfano nel 1484, il giovane frequentò dunque prima la bottega di Antonio da Firenze, poi quella di Domenico da Tolmezzo, senza tuttavia aver tratto, a quanto pare, insegnamenti utili per lo sviluppo della sua arte, che sembra maggiormente vicina al fare degli artisti veneti che allora andavano per la maggiore, Bartolomeo e Alvise Vivarini, Giovanni Bellini, Cima da Conegliano. Non va a questo proposito sottovalutata, anche se non è detto debba avere una interpretazione letterale, l’affermazione di Giorgio Vasari secondo la quale P. sarebbe stato allievo, al pari di Giovanni Martini e di tanti altri, di Giovanni Bellini a Venezia. Recenti studi, pur in modo prudente, danno un rilievo maggiore rispetto al passato al ruolo esercitato nella formazione del giovane P. da Giovanni de Cramariis (suo cognato avendone sposato la sorella Anna e che in tale veste il 26 maggio 1489 presenziò alla sua deposizione come teste al ricordato processo), miniatore e pittore culturalmente aggiornato, collaboratore di Girolamo da Cremona a Siena tra il 1470 ed il 1473 ed autore di interessanti miniature negli Antifonari del duomo di Spilimbergo nelle quali si rinvengono motivi desunti dalle più prestigiose scuole pittoriche dell’Italia centro settentrionale. ... leggi Gli inizi della sua attività datano al 1489, allorché venne incaricato di «depenzer lo muro del choro» del duomo di Spilimbergo, primo lavoro cui seguì nel 1491 la dipintura a fresco, insieme con l’orefice sandanielese Giovanni Antonio fu Rainoldo de’ Viviani, del coro della chiesa di S. Maria di Villanova con scene della vita di Maria nelle pareti, profeti nell’intradosso e i quattro dottori della chiesa nelle volte: schema non inconsueto nella pittura friulana dell’epoca, e che però non sappiamo se risolto nella più tradizionale forma utilizzata da Gianfrancesco da Tolmezzo (Dottori in cattedra) e dai suoi seguaci, o nei modi che P. avrebbe adottato di lì a pochi anni nella chiesa di S. Antonio Abate a San Daniele e che sarebbero serviti da modello sia a Giampietro da Spilimbergo nella pieve di Dignano (1504), sia a Giovanni Antonio Pordenone nella chiesa di Vacile (1508). Nel 1493 fu chiamato a dipingere gli Evangelisti nel coro del duomo di Gemona, a «renovar l’ancona del Crucifixo» e a dipingere una pala per la cappella di S. Tommaso (opere perdute): per la prima volta è nominato come «M.o Pelegrin depentor de Udene», ma è indifferentemente ricordato anche come «m.o Martin depentor». Ciò provocherà non poche incertezze e qualche problema di lettura ed interpretazione soprattutto per la confusione con Martino da Tolmezzo intagliatore e più ancora con il figlio di questi, Giovanni Martini, coetaneo, amico e collega, ma anche “rivale” di P. Anche nel documento relativo alla commissione della pala di Osoppo (25 aprile 1494), nel quale è presente come mallevadore Giovanni de Cramariis, «pictor de Utino sororius [cognato] ipsius Martini» c’è la dizione «Martinus noncupatus Pelegrinus», Martino chiamato Pellegrino, o semplicemente «Martino Pelegrino» che ritornerà più volte nei documenti, a partire dal testamento della moglie Elena: «Martinus Peregrinus pictor de Utino quondam magistri Baptistae Sclavonici». Vasari attribuisce la paternità dell’appellativo a Giovanni Bellini e dà al termine il significato di “raro”; Tempestini preferisce intendere il termine come «indicativo dell’origine allogena del pittore, figlio di uno schiavone». Se però si ritiene che il giovane dipinto alla destra di san Giuseppe nella pala del duomo di Udine (del 1501) sia, come pare, l’ironico autoritratto del pittore in veste di un povero questuante più che di un pellegrino vero e proprio, allora forse abbiamo una interpretazione più vicina alla realtà. La questione tuttavia ha scarso peso nella valutazione di un pittore che con la pala della parrocchiale di Osoppo (Madonna con Bambino e santi, 1494) si afferma prepotentemente, nonostante un certo “horror vacui” tutto provinciale, quale il pittore più aggiornato e alla moda in terra friulana, come mostrano i non casuali richiami ad opere di Antonello da Messina e di Giovanni Bellini. A questa prima importante opera, che non dovette più che tanto sollevare le sorti economiche del pittore, il quale infatti nel 1495 rivolse domanda intesa ad ottenere il posto di custode delle porte della città di Udine onde avere un alloggio gratuito ed uno stipendio modesto ma sicuro, promettendo in cambio di dipingere gli stemmi, i leoni di S. Marco e i tavolati per i palii, fa seguito una lunga serie di commissioni di lavoro. In particolare, dipinse la pala del Corpus Domini per il duomo della città e, nel 1495, la pala dell’altar maggiore della chiesa di S. Giovanni in piazza: entrambe le opere (perdute) diedero luogo ad una lunga serie di lamentele per pagamenti mancati o rinviati. Nel 1497 sposò Elena figlia di Domenico Portunerio di San Daniele ed erede del prete Giusto Teutonico. Da lei ebbe quattro figli, Antonio nel 1506, Laura nel 1509, Tranquilla e Aurelia, che si fidanzò con il pittore Sebastiano Florigerio ma morì prima delle nozze. Nel 1497 P. iniziò la decorazione della chiesa di S. Antonio Abate a San Daniele del Friuli, affrescando Cristo, gli Evangelisti e due profeti e angeli nelle volte del coro e i busti di dieci sante nel sottarco. Agli anni 1498-99 si possono datare due interessanti dipinti (Madonna con Bambino in trono tra S. Giuseppe e S. Elisabetta, Gemona, già S. Maria delle Grazie, ora Civico museo; Sacra Famiglia, Musée des Beaux-Arts di Strasburgo) che la critica tende a riconoscergli, nonostante non manchino dubbi ed attribuzioni ad altri artisti. Nel 1500-01 dipinse per il duomo di Udine la pala di S. Giuseppe, con i personaggi inseriti entro architetture in prospettiva, arricchita nelle sottostanti predelle dalla raffigurazione dell’Adorazione dei Magi e della Fuga in Egitto, composizioni fresche e calibrate che risentono dell’influsso cimesco: tanto entusiasmo suscitò l’opera per l’ariosità dell’insieme e per la piacevolezza dei particolari che al pittore venne riconosciuta una somma superiore a quella pattuita. Nel 1501 dipinse anche un trittico per la chiesa del monastero di S. Maria in Valle a Cividale del Friuli (ora nel museo cittadino), con S. Giovanni Battista al centro e S. Benedetto e S. Giovanni evangelista ai lati. Coeva sembra essere un’Annunciazione conservata nel Museo di Budapest, mentre la più significativa delle sue opere giovanili è il fastoso polittico della basilica di Aquileia, con elegante e importante struttura lignea dovuta all’intagliatore udinese Giovan Pietro, dorata da Antonio Tironi. La fama di questo lavoro (e dei precedenti), sta probabilmente alla base del trasferimento di P. a Ferrara dove, chiamato nel 1503 da don Alfonso d’Este, futuro duca di Ferrara, rimase per dieci anni regolarmente stipendiato come pittore di corte. Nessuna delle opere ferraresi, pur ricordate dai documenti, è giunta fino a noi, ma è noto che fece cose egregie e ricavò gran fama soprattutto perché applicò per la prima volta il termine “prospettiva” alla scenografia proponendo nel 1508 una scena prospettica dipinta per la Cassaria di Ludovico Ariosto, recitata nella “sala grande” del Palazzo ducale. L’entusiastica descrizione della scena per la nuova commedia ariostea è contenuta in una lettera di Bernardino Prosperi a Isabella d’Este: «Quello che è stato il meglio in tutte queste feste et rapresentationi è stato tute le scene dove si sono ripresentate, quale ha facto uno maestro Peregrino dipintore che sta con il S. e che è una contracta et prospettiva di una terra cum case, chiesie, campanili et cardini, che la persona non si può satiare a guardarle per le diverse cose che ge sono, tute de inzegno bene intese, quale non credo se guasti. Ma che la salvarano per usarla de altre fiate». P. però non seppe convenientemente sfruttare la fama che lo circondava: ritornò in Friuli, in una terra desolata, colpita dal terremoto del 1511 che aveva distrutto la città di Udine, poi dalla peste, che aveva mietuto molte vite, e infine dalla feroce lotta tra Strumieri e Zamberlani. Nelle opere che seguono, dominate da figure corpose collocate talora in ambienti importanti ma grevi ed incombenti, è avvertibile un considerevole mutamento di stile rispetto ai primi dipinti – carichi di colore, di poesia e spesso anche di ariosi paesaggi – ciò che può essere giustificato come normale evoluzione di un pittore dalle molte esperienze (friulane, veneziane, lombarde e ferraresi) e dalla non decisa personalità. E tuttavia molti studiosi sono stati indotti ad ipotizzare interventi di altri artisti nelle opere a P. commissionate: da Luca Monverde e Sebastiano Florigerio – che sappiamo aver frequentato la sua bottega – a Gaspare Negro e Marcello Fogolino. Il problema rimane ancora irrisolto. Nel 1514 dipinse per la chiesa di S. Rocco fuori porta Poscolle una Madonna con Bambino tra i SS. Rocco e Sebastiano, modesta composizione contenuta però entro una elegante cornice lignea. Lo si trova nello stesso periodo presente a vari atti, relativi alla sua professione di pittore e stimatore, ma anche alla sua vita privata, specie per compravendita di abitazioni. Nel 1519 su commissione della confraternita dei Calzolai di Udine dipinse una splendida Annunciazione (ora nel Museo civico) che reca al centro, oltre alla scritta con il nome dei committenti, la data di esecuzione e la firma PELEGRINUS FACIEBAT, una doppia “P” intrecciata che può venire intesa sia come sigla dell’artista (“Pelegrinus pictor”), sia come segno di devozione (“pro pietate”): allo stesso modo P. firmò una iscrizione graffita sul muro esterno di destra della Porziuncola di Assisi, dove si era recato per voto, 1534 / HIC FUIT PELEGR(INO) PITORE E LA SUA DONA/ DE UDINE D(EL) FRIULLE PP. Una sigla di tale fatta compare anche in alcune incisioni cinquecentesche che parte della critica ha ritenuto di assegnare al P., anche se la diversità di stile tra le incisioni e i dipinti sicuri del pittore porta ad escludere tale ipotesi. Tra il 1519 ed il 1521 egli dipinse le grandi portelle dell’organo in cornu epistolae del duomo di Udine con la Consegna del pastorale a S. Ermacora all’esterno e i quattro Dottori della Chiesa all’interno: composizioni (oggi in Museo) condizionate dall’ufficialità della rappresentazione, e quindi magniloquenti, prive di spontaneità, con ambientazione architettonica solenne e ridondante. È comunque alla decorazione della chiesa di S. Antonio Abate di San Daniele del Friuli che P. deve la sua fama: iniziata, come si è detto, nel 1497, ripresa nel 1513 per essere portata a termine nel 1522, costituisce il più bel ciclo di affreschi rinascimentali del Friuli. Oltre a profeti ed evangelisti nella volta del coro, si possono ammirare una Crocifissione nella parete di fondo, mezzi busti di profeti nel sottarco, storie di sant’Antonio Abate e di Cristo nelle pareti del coro e nell’arco trionfale (dove sono dipinte anche figure di santi) e nella navata sinistra. È un’antologia di alto valore del maestro friulano dalla quale traspare con evidenza lo sviluppo della sua poetica, ancora legata a schemi “tolmezzini” nei profeti della volta del coro, imbevuta di stilemi ferraresi poi, gravitante nell’orbita del Pordenone giorgionesco nelle più tarde storie (ad esempio nei santi Sebastiano, Rocco e Cristoforo). Tutti gli affreschi sono di buona qualità stilistica, pur presentando alcune diversità formali dovute probabilmente alla mano di aiuti, che la critica non è riuscita ancora ad individuare con certezza. L’ultimo importante lavoro del pittore è il grande polittico realizzato nel 1527-28 per la chiesa di S. Maria dei Battuti di Cividale ed ora nel Museo archeologico nazionale di quella città, con la raffigurazione della Madonna con Bambino e le SS. aquileiesi Tecla, Eufemia, Dorotea ed Erasma e i SS. Giovanni Battista e Donato al centro e i santi Sebastiano e Michele arcangelo nei pannelli laterali. L’originale, importante cornice lignea dovuta a Giovanni Martini è andata perduta nello smembramento del polittico seguito alle soppressioni napoleoniche dei conventi. Anche se decisamente problematica sul piano critico (da più parti è stato ipotizzato l’intervento di Sebastiano Florigerio nelle parti laterali), costituisce una delle più alte realizzazioni della pittura friulana nella prima metà del Cinquecento: di grande interesse, il modelletto di Cividale del Friuli sorretto in mano da san Donato, protettore della città. Dopo il 1530 l’attività del pittore, proseguì intensa, ma senza realizzazioni emozionanti sul piano artistico. Dipinse cose di poco conto, pale d’altare, affreschi, gonfaloni, stemmi di cui non è rimasta traccia. Si spense a Udine il 17 dicembre 1545.

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Bibliografia

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