RAGOGNA (DI) GIUSEPPE

RAGOGNA (DI) GIUSEPPE (1902 - 1971)

archeologo

Immagine del soggetto

L'archeologo Giuseppe di Ragogna, bronzo di Alberto Fiorin (collezione privata).

Nacque il 24 settembre 1902 a Torre di Pordenone dal conte Antonio e dalla nobile Virginia Sartori. Nel 1917, con l’occupazione austro-tedesca del Friuli, seguita alla rotta di Caporetto, interruppe gli studi ginnasiali, che non avrebbe più ripreso. Negli anni successivi il giovane conte si dedicò da autodidatta alla propria formazione, dimostrando un forte interesse per la letteratura e soprattutto per il teatro: coltivò per molto tempo il desiderio di entrare in una compagnia o di fondarne una propria. Nel 1934 R. pubblicò la sua prima opera, Faro in pieno sole, che gli valse i riconoscimenti della critica e, in particolar modo, di Emilio Girardini e Giuseppe Prezzolini. Nello stesso periodo, rinvenuti nell’orto del suo castello i resti di un’antica sepoltura, dopo avere già dimostrato attenzione alla storia del castello di Torre e della propria famiglia, cominciò a interessarsi di archeologia, avvicinandosi a tale scienza – anche in questo caso – da autodidatta, ma con la convinzione che la riscoperta del passato fosse un bene da condividere. Continuò comunque a coltivare interessi letterari, tanto che si classificò secondo al premio Trieste con l’opera teatrale La casa da trasportare, rappresentata al teatro Verdi del capoluogo giuliano e, in seguito, radiodiffusa. Il premio fu utilizzato per riscattare il castello avito, impegnato nel 1937 all’avvocato Giulio Locatelli, in quanto il patrimonio familiare era stato fortemente compromesso a causa del dissesto finanziario provocato dalla cattiva gestione del defunto padre Antonio. Nel castello di Torre vennero depositati i numerosi reperti di epoca romana che R. aveva rinvenuto in tutto il territorio della destra Tagliamento, organizzando la propria collezione privata secondo criteri museali. ... leggi R., che nel 1939 già aveva suscitato l’interesse del sovraintendente alle antichità e agli scavi delle Venezie Giovanni Brusin, nel periodo immediatamente precedente la prima guerra mondiale compì nel Pordenonese alcune rilevazioni, che rafforzarono le sue idee sull’origine della villa di Torre, che egli andava identificando con l’antica Celina, citata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Nel 1940 compì delle indagini all’esterno della chiesa parrocchiale di Torre, rinvenendo resti di mura di epoca romana, incorporati nell’antica chiesa matrice, che testimoniavano ancora una volta la presenza romana nel Pordenonese. Dopo la guerra, nel 1950 fu tra i fondatori dell’associazione culturale “Il Noncello”, insieme con Andrea Benedetti, Daniele Antonini, Vittorio Quirini e Augusto Cassini, alla cui famiglia era legato da sincera amicizia: proprio grazie ad essa entrò in contatto con diversi artisti operanti nella destra Tagliamento, tra cui Tullio Silvestri, Pio Rossi, Luigi Zuccheri, Ugo Grignaschi, Duilio Corompai. In questo periodo si occupò in modo sistematico degli scavi nel territorio e nel castello di Torre, attivando cantieri-scuola per disoccupati e giovani volontari, individuando un sito archeologico in cui in un primo momento credette di avere trovato delle terme, in realtà una villa rustica dotata di bagni. Secondo le intenzioni di R., gli scavi si sarebbero dovuti trasformare in una «passeggiata archeologica» (parco archeologico), con lo scopo di farne una realtà condivisa «perché appartengono a tutti, cioè all’intero Friuli, alla nostra storia». In quest’ottica si legge anche la sua disponibilità a far visitare agli interessati la casa museo. Mentre le sue scoperte suscitavano l’interesse di diverse riviste internazionali (gli svizzeri «L’Echo Illustré», «Le pays», gli inglesi «Times», «Glasgow Evening», ecc.), che inviarono i loro reporter a Torre per visitare e fotografare gli scavi, negli anni Sessanta R. riprese con intensità le rilevazioni sul territorio pordenonese, concentrando la sua attenzione sulla pedemontana (Castel d’Aviano, Giais, Montereale, Maniago, Costa Beorchia, Meduno, Polcenigo, Spilimbergo, Mizza), che esplorò insieme all’amico Mario Giovan Battista Altan. Nel 1966 partecipò a Udine alle prime riunioni tese a far nascere un Consorzio per la salvaguardia dei castelli storici del Friuli Venezia Giulia, con lo scopo non celato di trovare dei finanziamenti per salvare il castello di Torre, pericolante in molte sue parti, e gli scavi romani. Nell’ottobre dello stesso anno si pose mano agli interventi più urgenti di conservazione del maniero, che minacciava di crollare sopra i reperti raccolti in più di trent’anni di ricerca. Il 17 gennaio del 1970 R., stanco e malato, compilò il suo testamento olografo, con il quale lasciava il castello e la sua collezione privata alla regione, chiedendo che questi beni non fossero mai assegnati ai Pordenonesi, che non avevano fatto quasi nulla in favore della sua opera di ricerca. Morì all’ospedale di Aviano, dove era ricoverato, il 7 febbraio 1971. Nello stesso anno la sorella Giuseppina, vedendo il disinteresse della regione per il lascito, dispose che i beni del fratello passassero al comune di Pordenone. Nello stesso periodo la Sovrintendenza alle antichità di Padova avviò una parziale inventariazione dei reperti conservati a Torre. Nel 1974 il Centro regionale di catalogazione dei beni culturali del Friuli Venezia Giulia pubblicò la schedatura di quanto rimasto all’interno del castello, dopo i numerosi furti seguiti alla morte del conte. Cinque anni più tardi furono depositati presso l’Archivio di Stato di Pordenone il carteggio e la documentazione fotografica di R., mentre i reperti venivano custoditi presso i musei cittadini. Nel 2006, dopo un’attenta opera di restauro, venne aperto al pubblico presso il castello di Torre il Museo archeologico del Friuli Occidentale dove, in venti sale, sono raccolti i reperti più interessanti delle numerose campagne di scavi del conte, che permettono di ricostruire la storia della destra Tagliamento dall’età della pietra fino al rinascimento.

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Bibliografia

ASCPn, Ragogna, D. Dardi, Ritratto d’autore. Giuseppe di Ragogna, dattiloscritto, 1962; ibid., Inventario, R. De Cicco, Giuseppe di Ragogna: vita di un uomo incompreso, 1996, XI-XVII.
M.G.B. ALTAN, Giuseppe di Ragogna, in Pordenon. 47Congrès de Societât Filologiche Furlane, Udine, AGF, 1970, 421-430; Torre di Pordenone, a cura di M.T. BERLASSO - P. MARCHESI - M. MORENO, Passariano (Udine), Centro regionale di catalogazione dei beni culturali, 1976 (Quaderni del Centro regionale di catalogazione dei beni culturali, 3); L. GANDI, Torre di Pordenone, il conte Giuseppe di Ragogna, il castello e il museo archeologico del Friuli Occidentale, in Le giornate del castello. Incontro di studio (Pordenone 6 e 26 ottobre, 29 novembre 1996), Udine, Forum, 1997 (Quaderni del Museo archeologico del Friuli Occidentale, 1), 9-13; M. TONON, Torre da Castello a Museo nel nome di Giuseppe di Ragogna, ibid., 67-71; La ricerca di Giuseppe di Ragogna attraverso la memoria della stampa (1926-1972), a cura di F. SERAFINI, Pordenone, Lithostampa, 2000 (Quaderni del Museo archeologico del Friuli Occidentale, 3); Ricordo del Conte Giuseppe di Ragogna a trent’anni dalla scomparsa (7 febbraio 1970-7 febbraio 2000), Pordenone, Comune di Pordenone, 2000; A. CASSINI, Giuseppe di Ragogna, «Atti dell’Accademia di San Marco», 2/3 (2000-2001), 431-440; A. CASSINI, Il conte archeologo. Giuseppe di Ragogna, ritratto confidenziale, «Le Tre Venezie», 5 (2003), 52-53; M. ROSSI, Punto di partenza, in Pordenone, Torre e il suo castello. Storie e Restauro, a cura di F. AMENDOLAGINE, Venezia, Marsilio, 2003, 21-27; F. AMENDOLAGINE - M. ROSSI, Anticipazioni sull’origine preromana di Torre, ibid., 29-31.

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