RANDECK (DI) MARQUARDO

RANDECK (DI) MARQUARDO (? - 1381)

patriarca di Aquileia

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Sigillo del patriarca Marquardo di Randeck (Udine, Archivio capitolare).

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Impugnatura della spada detta '€œdi Marquardo' che simboleggia il potere temporale dei patriarchi (Cividale, Museo cristiano del duomo).

M. nacque intorno al 1300 da Enrico di Randeck e da sua moglie Spet di Tumnau. I signori di Randeck avevano un’origine nobile, ma tuttavia prestavano servizio presso gli arciduchi di Teck in Svevia. M. svolse i suoi primi studi presso la scuola cattedrale di Augusta, dove vivevano persone a lui legate da saldi vincoli di parentela; nel 1317 si iscrisse all’Università di Bologna con l’intenzione di studiare diritto canonico. Nel 1322 M. fu eletto procuratore della nazione tedesca (“natio Germanica”) al fine di curare gli interessi degli studenti tedeschi di fronte agli organi direttivi dell’università. Una volta conclusa la carriera universitaria con il conseguimento della licenza e forse anche del dottorato in diritto canonico, M. fece ritorno nel 1324 ad Augusta dove, nella veste di canonico, insegnò nella scuola cattedrale. Nominato parroco di Möhringen dal 1328 e a Langweid (Baden) ricevette il suddiaconato verso l’anno 1331. La sua carriera politico-ecclesiastica ebbe inizio nell’anno 1335, quando cioè, come membro di una legazione diplomatica, fu inviato ad Avignone dall’imperatore Ludovico il Bavaro. Compito dei delegati era trattare la soluzione dell’imperatore dalla scomunica e la riconciliazione tra il Papato e l’Impero; a partire da quell’anno M. sarebbe stato inviato ben sette volte in missione diplomatica con l’incarico di cercare una risoluzione alla crisi delle relazioni tra l’imperatore e il papa. Si conservano ancora tre suoi discorsi che, per l’acuta argomentazione in campo teologico e giuridico, come anche per l’eleganza linguistica, occupano un posto di grande rilievo tra i testi di canonistica del XIV secolo. Nel 1344 M. rivestì per l’ultima volta la carica di procuratore imperiale e abbandonò poi del tutto il suo servizio presso l’imperatore, forse a causa di divergenze d’opinione. ... leggi Non sorprende che, poche settimane dopo la morte di Ludovico, M. effettuasse missioni diplomatiche presso la curia di Avignone, da parte del nuovo re dei Romani Carlo IV, con l’intento di concordare le condizioni per l’assoluzione dalla scomunica inflitta a persone o a istituzioni. Nel frattempo M. fu nominato dal papa preposito del duomo di Bamberga; il capitolo del duomo lo scelse come suo vescovo, ma il papa decise di nominare al suo posto Friedrich von Hohenlohe. Il 30 maggio del 1348 M. fu nominato vescovo di Augusta. Nonostante l’opposizione del vescovo deposto Heinrich von Schönegg, della nobiltà locale e limitrofa, nonché della borghesia di Augusta, egli riuscì a consolidare la situazione economica della città e a recuperare il possesso di territori persi in passato. Nel 1354 accompagnò Carlo IV nel suo viaggio a Roma. M. si fermò a Pisa nel ruolo di comandante generale per la Tuscia mentre Carlo veniva incoronato imperatore. Domata una rivolta anti-imperiale ricoprì per un anno il ruolo di vicario generale di tutta Italia («per totam Ytaliam») alternando la sua residenza tra Pisa e Lucca. In tale veste fu incaricato di dare esecuzione al proclama imperiale contro i fratelli Bernabò e Galeazzo Visconti di Milano. Nel corso delle trattative diplomatiche preliminari si assiste ad uno scambio di invettive tra M. e Francesco Petrarca, che rimase tuttavia nell’anonimato. Durante un combattimento nei pressi di Casorate sul Ticino M. venne fatto prigioniero insieme a 600 cavalieri; dopo sei mesi di reclusione rientrò al servizio dell’imperatore e della propria diocesi. Nel 1365, per desiderio di Carlo IV, M. sarebbe dovuto divenire arcivescovo di Salisburgo, ma papa Urbano V preferì per questo incarico il candidato asburgico Pellegrino von Pucheim nominando invece M. il 23 agosto 1365 patriarca di Aquileia. Sbrigate alcune questioni rimaste in sospeso ad Augusta (la successione alla carica di vescovo di suo nipote Walter von Hochschlitz, alcune donazioni ecc.) e dopo aver reso visita all’imperatore Carlo IV, M. si mise in viaggio alla volta di Udine dove, nella notte di Natale del 1365, venne accolto in tutta solennità. La messa di ingresso nella basilica di Aquileia fu ritardata, dato che l’edificio riportava ancora grossi danni a seguito del terremoto del 1348. Il 12 febbraio del 1366 egli convocò il “parlamentum Foroiulii” a San Vito adempiendo in questo modo ai suoi doveri temporali di sovrano del patriarcato. Il problema più stringente era costituito dalle perdite territoriali a seguito della politica espansionistica di Rodolfo IV di Asburgo. Grazie all’appoggio del parlamento e alla copertura fornitagli sia dall’Impero che dal Papato, M. riuscì a riportare dalla propria parte alcuni casati nobiliari costretti a passare in precedenza dalla parte degli Asburgo (Strassoldo, Spilimbergo, Duino, Ragogna, Partistagno ecc.) e a recuperare una parte dei territori persi (Tolmino, Venzone ecc.). Di determinante aiuto gli fu in tale frangente Francesco di Savorgnan già collaboratore dei suoi predecessori, che forte della sua esperienza, assunse in qualità di “vicarius in temporalibus et vicedominus” la guida dell’esercito patriarcale. Le operazioni militari non riuscirono tuttavia a riconquistare al Friuli la città di Pordenone, presa dagli Asburgo: in seguito all’armistizio del 30 maggio 1366 essa infatti passò anche sulla carta sotto il dominio della casata austriaca. Con grande determinazione M. si impegnò per la ricostruzione della basilica di Aquileia: nell’arco di 15 anni riuscì a disporre di 9.000 fiorini, che vennero utilizzati per realizzare archi e pilastri in stile gotico, per sostituire i pilastri della parte centrale del transetto e per erigere una nuova copertura. A questo scopo egli poté far conto su molteplici fonti di entrata (soprattutto sulla muda di Chiusa, particolarmente redditizia, ma rivendicata dagli Asburgo) e indisse, per l’occasione, la vendita di indulgenze speciali. Il suo stretto legame con questa basilica, che continuava ad essere solamente “de iure” il centro del patriarcato, lo portò a commissionare la costruzione del suo monumento funebre e a farlo posizionare davanti all’altare centrale. Fu l’ultimo patriarca ad essere sepolto nella basilica di Aquileia. In campo giuridico il nome di M. viene spesso collegato alle Constitutiones Patriae Foriiulii, dette anche Constitutiones Marquardi. Tentativi nella direzione di una codificazione giuridica si erano registrati in Friuli già dal tempo di Nicolò di Lussemburgo, ma i disordini legati alle guerre contro gli Asburgo avevano consentito di muovere solo i primi passi. In seno al parlamento friulano si costituì per volontà di M. una commissione incaricata di portare a conclusione i lavori avviati in passato. Già l’8 novembre del 1366 la parte principale dell’opera poté essere presentata al parlamento riunito a Sacile ed essere pubblicata per iniziativa del patriarca. Non si deve tuttavia per forza pensare che dietro la realizzazione di tale corpo giuridico si nasconda l’opera personale del dotto giurista M., che aveva studiato diritto canonico a Bologna: si tratta piuttosto di una raccolta delle consuetudini realizzata dai rappresentanti della nobiltà e delle città. In alcune occasioni M. ebbe modo di esprimere il suo distacco riguardo a particolari disposizioni, come per esempio riguardo al trattamento riservato alle donne in questioni di eredità, che ricordava consuetudini di epoca longobarda: nel caso infatti in cui un uomo fosse morto senza lasciare testamento, la moglie e le figlie erano automaticamente escluse dall’eredità. Nel 1371 M. abrogò tale disposizione contenuta nelle Constitutiones, da lui ritenuta contraria al diritto civile, al diritto naturale, al diritto canonico e perfino a quello divino. Andò però incontro alla decisa opposizione del parlamento. Solamente nel 1373 M. riuscì a superare le resistenze dei rappresentanti del patriarcato e a modificare le Constitutiones, il Codex Marquardi, nel senso da lui voluto. D’altra parte M. riuscì a preservare gli ordinamenti giuridici del Friuli dai tentativi di influenza da parte papale. Nell’anno 1367 Urbano V si oppose alla pubblicazione delle Constitutiones Patriae Foriiulii emanando una bolla in cui si escludeva la possibilità per gli astanti di influenzare la decisione dei giudici al momento di emettere una sentenza: era infatti contrario alle disposizioni del diritto canonico, e quindi da evitare, che il giudice prestasse ascolto all’opinione di persone incolte e prive di specifica formazione in campo giuridico. M. non volle, o forse non poté, attenersi all’ingiunzione del papa e non mostrò alcun segno di reazione ad essa. Nel periodo in cui rivestì la carica di patriarca M. si recò con una certa frequenza in Germania presso la corte imperiale. Nel 1368 diede a sua volta ospitalità a Carlo IV che sostò a Udine durante il suo secondo viaggio verso Roma. Successivamente fu di nuovo al seguito dell’imperatore nelle sue manovre in Italia centrale e ricoprì in Tuscia il ruolo, che ancora conservava, di “capitanus generalis”: in questa veste riuscì a conquistare numerose città e postazioni fiorentine. Fino al 1369 M. si fermò a Pisa, dove aveva sotto il suo comando le truppe imperiali, pisane e lucchesi al completo, nonché le bande di mercenari assoldate per l’occasione. La valutazione decisamente positiva di cui egli gode all’interno della storiografia friulana è dovuta sicuramente alla politica di consolidamento del potere centrale che M. attuò non senza problemi, ma alla fine con successo. Egli riuscì da una parte ad espandere il proprio campo di azione a scapito del parlamento, vale a dire a scapito della nobiltà e delle città, dall’altra a frenare, quanto meno temporaneamente, e per alcuni aspetti a eliminare le tendenze autonomistiche delle varie componenti del patriarcato. La precaria situazione finanziaria del patriarcato andava inoltre peggiorando a causa della forte pressione esercitata dall’Austria e da Venezia. La costruzione di fortificazioni necessarie per la difesa del territorio impegnò ingenti somme di denaro: solo il consolidamento delle strutture difensive di Tolmino, Portogruaro, Sacile e Torre (presso Duino) costò a M. più di 34.000 fiorini. Nonostante l’applicazione di misure di controllo amministrativo (M. avviò per esempio la redazione del Thesaurus Ecclesiae Aquilegenis, un inventario dei beni realizzato per facilitare il calcolo dei relativi introiti) e nonostante una ferma ed efficace politica di riscossione dei tributi, egli si vide costretto, per disporre di maggiori mezzi, ad ipotecare i gastaldati di Tolmino, Manzano, Carnia, Tricesimo e Fagagna. Rimasto neutrale in occasione della guerra di Treviso (1372/73) tra Venezia e Francesco da Carrara, signore di Padova, M. si schierò invece con l’alleanza antiveneziana nella cosiddetta guerra di Chioggia. Stando dalla parte di Genova, di Padova e dell’Ungheria egli poté veder realizzate le sue aspirazioni di dominio sulle città istriane e incorporare di nuovo anche Trieste, accanto a Capodistria, Umago, Rovigno e ad alcune altre città, nella lega del patriarcato. L’onere del mantenimento del proprio esercito nonché del sostentamento, contrattualmente sancito, della flotta genovese di stanza nell’Adriatico portò ad un clima di tensione con il parlamento, soprattutto con le città di Udine e Cividale. L’inaspettata vittoria di Venezia contro la superiore forza alleata di Genova-Ungheria-Padova-Aquileia annientò molti degli sforzi del patriarcato. Le città istriane andarono di nuovo perse e nella pace di Torino del 24 agosto 1381 venne riconosciuta alla Chiesa di Aquileia solo l’annessione di Trieste. Alla stipula di tale trattato M., morto il 3 gennaio 1381, non poté però prender parte. Le sue doti in campo giuridico, economico e diplomatico lo avevano già portato a ricoprire la carica di metropolita; la curia papale pensò anche di innalzarlo al rango cardinalizio. Nel 1377 Gregorio XI scrisse infatti a Carlo V di Francia che era suo proposito promuovere M., ormai maturo sia per età che per esperienza, a tale ruolo, ma che a causa della difficile situazione ecclesiastica (lo scisma con Roma a partire dal 1377) non sussisteva la possibilità di creare nuovi cardinali. M. non poté comunque ricoprire questa ultima carica: morì infatti il 3 gennaio 1381 a Soffumbergo e da lì fu trasportato nella basilica di Aquileia, dove fu sepolto.

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Bibliografia

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