RATCHIS

RATCHIS

duca del Friuli, re dei Longobardi

Immagine del soggetto

Altare di Ratchis (Cividale, Museo cristiano del duomo).

Duca del Friuli e re dei Longobardi, figlio del duca Pemmone e fratello di Astolfo, R., verso il 738, sostituendo il padre, divenne duca del Friuli. Pemmone infatti, in seguito al dissidio insorto con il patriarca Callisto, era stato destituito da re Liutprando. R., allevato alla corte longobarda, definì Liutprando suo “nutritor”, e nel 742 con suo fratello Astolfo seguì il sovrano in una campagna militare contro i duchi ribelli Trasamondo II di Spoleto e Godescalco di Benevento. I due si distinsero per il loro eroismo in occasione di un’imboscata tesa da truppe bizantine e da “exercitales” spoletini tra Fano e Fossombrone alla retroguardia dell’esercito di Liutprando. A Cividale R. proseguì l’opera del padre e commissionò l’altare che porta il suo nome, considerato uno dei più importanti monumenti dell’arte longobarda. L’iscrizione dell’altare fa tra l’altro riferimento proprio all’impegno profuso da Pemmone nel riattare gli edifici religiosi della città ducale. L’epoca di Pemmone, R. e Astolfo coincise, infatti, con il periodo di maggior splendore di Cividale che si arricchì con opere quali il ciborio di Callisto e il pluteo di Sigualdo, nonché, probabilmente, il celebre tempietto. Nonostante i successi ottenuti sugli Slavi all’epoca di R., i Carantani della valle della Gail, tributari dei duchi cividalesi fin dai tempi di Tasone e Cacone, si sottrassero, probabilmente con l’aiuto dei Bavari, agli obblighi loro imposti dai longobardi friulani e allo stesso tempo riuscirono a tenere a bada la pressione degli Avari. ... leggi Morto nel 744 Liutprando, gli succedette il nipote Ildebrando che, già associato al trono, dopo soli otto mesi fu rovesciato e sostituito da R. I duchi, temendo che Ildebrando perseguisse la politica accentratrice del padre, preferirono affidare la corona a R., più accondiscendente, come molti duchi che lo avevano preceduto a Cividale, nei confronti di una concezione meno rigida del potere monarchico. Il modo in cui R. aveva ottenuto il trono rendeva tuttavia il suo potere meno solido e incrinava la stessa legittimità del nuovo sovrano. Per evitare eventuali rischi, il re emanò alcune leggi che, integrando l’editto di Rotari, perseguivano drasticamente ogni tentativo di rivolta o tradimento, eventuali spie introdottesi a corte, relazioni intrattenute con i popoli vicini all’insaputa del monarca. R., proseguendo l’opera di Liutprando, inasprì le pene per gli abusi perpetrati nei confronti degli strati sociali più deboli. Il re riuscì ad ottenere il sostegno del pontefice con il quale stipulò una pace ventennale, probabilmente spinto da sua moglie, la nobile romana Tassia. Il matrimonio era stato celebrato ignorando gli antichi usi longobardi, fatto che aveva inasprito i già tesi rapporti con i settori più tradizionalisti e contrari ad ogni apertura nei confronti della maggioranza romanica. L’opposizione della fazione, che non approvava il progressivo avvicinamento del popolo longobardo alla massa dei Romani sottomessi ed era contraria a qualunque compromesso con Bisanzio ed il papato, costrinse il sovrano ad intraprendere una campagna di conquista contro la Pentapoli e Perugia. Il pontefice, dopo lunghi negoziati, riuscì a far desistere R., ma gli oppositori approfittarono per deporre il sovrano la cui autorità appariva ormai definitivamente incrinata e, nel 749, a Milano, elessero suo fratello Astolfo re dei Longobardi. Nonostante le donazioni effettuate da R. nel tentativo di ampliare la base del suo potere, il suo destino era irrimediabilmente segnato. R. scelse la vita monastica e si ritirò a Montecassino, mentre la moglie Tassia e la figlia Rattruda entrarono nel monastero di S. Maria di Plumbariola. Secondo gli autori di parte pontificia, la decisione di R. sarebbe da ricondurre ad una volontaria e spontanea scelta del re, esortato dalle parole del pontefice sotto le mura di Perugia. Pur senza escludere la profonda devozione di R., il giudizio delle fonti romane sul sovrano longobardo è generalmente tutt’altro che positivo, non discostandosi poi molto da quanto le stesse riferiranno a proposito di suo fratello Astolfo ben più bellicoso. Questa incongruenza e il costume di eliminare pacificamente gli avversari politici obbligandoli a vestire l’abito monastico, assai diffuso durante l’alto medioevo, non pare confermare questa ricostruzione degli eventi; deve essere privilegiata invece una spiegazione esclusivamente politica e legata ai fragili equilibri interni del regno. Resta incerto se a R. debba essere attribuita la fondazione dell’abbazia di S. Salvatore al Monte Amiata; si è infatti ipotizzato che i due diplomi, il primo emanato dallo stesso R. ed il secondo da Astolfo suo fratello e successore siano stati prodotti dai monaci nell’XI secolo, pur ricorrendo fondamentalmente a documenti genuini. Considerato che il ricordo delle “malefatte” di Astolfo doveva essere ancora ben vivo e presente, i monaci ritennero più conveniente attribuire la fondazione del cenobio amiatino a R. che, nonostante tutto, aveva concluso la sua vita in monastero, piuttosto che al suo bellicoso fratello, per evitare così il rischio di un giudizio negativo della Santa Sede sulle origini della comunità monastica. Nel 756, dopo la morte di Astolfo, parve dischiudersi la possibilità per R. di riconquistare il trono, ma dopo pochi mesi, fu sostituito da Desiderio. La defenestrazione di R. fu conseguenza dell’affermarsi della fazione più favorevole alla ripresa della guerra e del fatto che a R., in quanto monaco, era ormai preclusa ogni speranza di regnare sul suo popolo.

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Bibliografia

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