SCOCCIMARRO MAURO

SCOCCIMARRO MAURO (1895 - 1972)

politico

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Il senatore Mauro Scoccimarro.

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Comizio di Mauro Scoccimarro, leader comunista friulano nei primi anni del dopoguerra.

Nacque a Udine il 30 ottobre 1895 da famiglia piccolo-borghese (il padre era impiegato delle ferrovie) di origine pugliese. Ed è in Puglia, in quegli anni percorsa da durissime lotte bracciantili, che egli trascorse gli anni della sua adolescenza. Ritornato a Udine, frequentò le scuole superiori e, dopo essersi diplomato ragioniere all’Istituto tecnico Zanon, nell’ottobre del 1913 iniziò gli studi all’Istituto di scienze economiche e giuridiche di Ca’ Foscari a Venezia, da cui uscì nel dopoguerra dottore in scienze economiche e dove ebbe come insegnanti i professori Gino Luzzato, col quale si sarebbe laureato, ed Ernesto Cesare Longobardi, che ebbero una decisa influenza sulla sua formazione politica. Scoppiato il conflitto mondiale 1915-1918 ed entrata l’Italia in guerra, le sue idee allora interventiste lo portarono a presentarsi come volontario nel corpo degli Alpini. Sottotenente, venne ferito ad una gamba, decorato di medaglia d’argento al valor militare ed infine, nel 1919, congedato con il grado di capitano. La guerra con tutti i suoi orrori, insieme alla conoscenza delle condizioni di vita dei braccianti della terra d’origine delle sua famiglia, fece maturare in lui una salda coscienza socialista e già nel 1917, con una lettera inviata dal fronte al segretario della sezione udinese, aderì al Partito socialista italiano. Dopo il congedo, continuò il suo impegno politico iniziato a Venezia e divenne ben presto prima segretario della sezione socialista di Udine, poi segretario provinciale e direttore del giornale socialista «Il Lavoratore friulano». Delegato al congresso di Livorno come rappresentante della corrente unitaria, insieme a Giovanni Cosattini e ad Angelo Braidotti, si convinse della necessità di fondare un nuovo partito, unito a sinistra. ... leggi Rientrato a Udine, aderì subito al Partito comunista d’Italia, impegnandosi per la costituzione della Federazione provinciale, in stretta collaborazione con Alighieri Costantini, che ne fu il primo segretario politico. Dopo la partecipazione al secondo congresso del partito (Roma, 20-24 marzo 1922), S., su richiesta di Gramsci, si trasferì a Torino per lavorare alla redazione dell’«Ordine nuovo». Partecipò, quindi, al IV congresso dell’Internazionale comunista e divenne membro della commissione per la fusione del Partito comunista d’Italia (PCd’I) con il Partito socialista italiano. Al suo rientro da Mosca, sfuggito casualmente all’arresto ordinato da Mussolini nei confronti di tutti i partecipanti italiani al congresso dell’Internazionale e di oltre un centinaio di dirigenti comunisti, nel marzo del 1923 fu costretto alla clandestinità. Proseguendo nell’attività politica e acquisendo posizioni di dirigente di primo piano, venne cooptato nel Comitato centrale e, insieme con Togliatti, nell’esecutivo del partito. Entrò a far parte dell’ufficio di segreteria come segretario organizzativo. Da allora rappresentò il PCd’I in numerosi congressi internazionali, ma soprattutto diede un importante contributo alla formazione del nuovo gruppo dirigente del partito, di cui fece parte insieme con Gramsci e con Togliatti, ed alla preparazione del congresso di Lione (gennaio 1926), che vide l’emarginazione dell’ala che faceva capo a Bordiga. S., che nella clandestinità aveva assunto il nome di copertura di “Marco Morelli”, venne arrestato a Milano dalla polizia fascista il 5 novembre 1926. Confinato in un primo momento nell’isola di Favignana, venne trasferito nel carcere di S. Vittore a Milano, poi a Regina Coeli a Roma, dove comparve davanti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato come uno dei principali imputati, insieme con Gramsci, con Terracini e con altri, nel processo contro i maggiori dirigenti comunisti (28 maggio-4 giugno 1928). S. ebbe una condanna durissima: venti anni, quattro mesi e cinque giorni, di cui quattro anni e mezzo di segregazione. Passò questo periodo di isolamento nei penitenziari di Santo Stefano e di Lucca. Solo nel 1932, passato al carcere di Padova e poi a quello di Civitavecchia, riuscì a riprendere contatti e a ricomporre collegamenti più costanti con il centro del PCI, ed iniziò in carcere l’opera di formazione culturale e politica di nuovi quadri comunisti in quella che fu definita dall’antifascismo militante “l’università della galera”. Nel 1937, usufruendo di un decreto di amnistia, S. fu scarcerato, ma non liberato, e inviato, quale elemento pericoloso, al confino nell’isola di Ponza, dove rimase due anni, per poi essere trasferito insieme con altri dirigenti comunisti (Secchia, Terracini, Ravera ecc.) a Ventotene. Dopo la caduta del fascismo e durante l’occupazione tedesca fece parte della direzione che avrebbe guidato il partito nella Resistenza. Rappresentò il PCI nella seduta del 9 settembre 1943 costitutiva del Comitato di liberazione nazionale centrale di Roma, manifestando una posizione decisamente avversa al governo Badoglio. Con il rientro di Togliatti e con la “svolta di Salerno”, la sua posizione intransigente e classista divenne più debole all’interno del gruppo dirigente romano. Nominato prima vicecommissario per l’epurazione nella pubblica amministrazione, nel dicembre 1944 entrò nel secondo governo Bonomi come ministro per l’Italia occupata, operando in particolare per dare un concreto aiuto alle formazioni partigiane del Nord. Nominato membro della Consulta nazionale, eletto poi alla Costituente, divenne senatore di diritto nella prima legislatura, quindi fu rieletto al Senato, della cui assemblea fu vicepresidente dal 1958, nelle successive quattro legislature. S. fu nominato ministro delle Finanze nel governo Parri (8 agosto 1945) e riconfermato in quel dicastero nel primo e secondo governo De Gasperi; in quella veste predispose alcuni provvedimenti di grande rilievo, che però non videro la luce, come il cambio della moneta come strumento antinflazionistico e di controllo sui profitti di guerra, un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio collegata ad un’imposta sui profitti di guerra, e altre disposizioni inquadrate in un nuovo piano finanziario per avviare la ricostruzione dell’Italia dopo le devastazioni belliche. Rifiutò di partecipare al terzo governo De Gasperi (2 febbraio-31 maggio 1947) non essendo stato riconfermato come titolare del Ministero delle finanze. Membro della direzione e della segreteria del partito, dopo l’VIII congresso del PCI (dicembre 1956), che recepiva il processo di rinnovamento nell’opera di costruzione del socialismo derivante dai risultati del XX congresso del PCUS, S. venne progressivamente emarginato dai centri decisionali del partito e nominato presidente della Commissione centrale di controllo, nuovo organismo creato dall’VIII congresso, carica che mantenne fino alla sua scomparsa. Morì improvvisamente a Roma il 2 gennaio 1972 all’età di settantaquattro anni.

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Bibliografia

Alcuni degli scritti di politica economica di M. Scoccimarro riguardanti gli anni 1945-1956 sono raccolti in Il secondo dopoguerra, a cura di B. MANZOCCHI, Roma, Editori Riuniti, 1956. Gli altri numerosi contributi di carattere ideologico e politico sono negli Atti parlamentari e nei giornali e riviste a cui ha collaborato: «Il Lavoratore friulano» (1919-1921), «Ordine nuovo» (1921-1922), «Correspondance internationale» (1923-1926), «Internationale communiste» (1923-1926), «L’Unità» (1924-1926 e 1944-1972), «Stato operaio» (1924), «Rinascita» (1944-1972).

P. TOGLIATTI, La formazione del gruppo dirigente del PCI nel 1923-24, Roma, Editori Riuniti, 1962; P. SPRIANO, Storia del Partito Comunista Italiano, 1-5, Torino, Einaudi, 1968-1975; P. SECCHIA, Il PCI nella guerra di liberazione 1943-1945, «Annali Feltrinelli», 13 (1971); L. LONGO, I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Roma, Editori Riuniti, 1973; G. PELLEGRINI, Mauro Scoccimarro, «Quaderni friulani», 2 (1974), 43-50; F. ANDREUCCI - T. DETTI, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, Roma, Editori Riuniti, 1978.

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