TIEPOLO GIAMBATTISTA

TIEPOLO GIAMBATTISTA (1696 - 1770)

pittore

Immagine del soggetto

Autoritratto di Giambattista Tiepolo, particolare degli affreschi nella Galleria degli ospiti del palazzo patriarcale, 1727-29 ca. (Udine, Museo diocesano e gallerie del Tiepolo).

Immagine del soggetto

Ritratto della moglie di Giambattista Tiepolo, Cecilia, nelle vesti di Rachele, particolare dell'affresco con Rachele che nasconde gli idoli nella Galleria degli ospiti del palazzo patriarcale, 1727-29 ca. (Udine, Museo diocesano e gallerie del Tiepolo).

Immagine del soggetto

Spettatori nel "Consilium in arena" di Giambattista Tiepolo, particolare, 1750 ca. (Udine, Civici musei).

È uno dei protagonisti della cultura figurativa europea del Settecento e la sua presenza a Udine, nella prima metà del secolo, fu determinante per lo sviluppo dell’arte in Friuli. Nato a Venezia il 5 marzo 1696, figlio di Domenico, capitano di nave mercantile, e di Orsetta, frequentò a quattordici anni la bottega di Gregorio Lazzarini, la cui maniera diligente ben presto abbandonò per guardare piuttosto al Bencovich e al Piazzetta: dal primo trasse il gusto per la tensione lineare, dal secondo il senso del colore; né gli fu sconosciuta la fragrante pittura di Sebastiano Ricci. A diciannove anni dipinse la prima opera pubblica, il Sacrificio di Isacco nella chiesa dell’Ospedaletto di Venezia (in cui si registra anche la presenza di dipinti di Nicola Grassi, carnico). Nel 1719 sposò Cecilia Guardi, sorella dei pittori Giannantonio, Francesco e Nicolò, e da lei ebbe nove figli, due dei quali, Giandomenico e Lorenzo, furono a loro volta pittori ed aiuti del padre. Eseguì alcuni lavori per chiese e dimore veneziane (anche dieci tele con raffigurazioni tratte dalla storia romana a decorazione del palazzo della famiglia Dolfin) finché nel 1726 venne chiamato a Udine dal patriarca Dionisio Dolfin per dipingere nel palazzo patriarcale il cielo dello scalone d’onore che in quel periodo si stava portando a termine. Dipinse San Michele caccia dal Paradiso gli angeli ribelli nel riquadro centrale, e dentro un ricco apparato a stucchi dovuto ad Abondio Stazio, otto freschissime storie della Genesi a monocromo. Al di là dell’interesse per il significato simbolico delle scene, coerentemente inserite in un discorso teologico unitario (tutti gli episodi sono relativi alla disobbedienza al legittimo potere), con forti implicazioni politiche e chiara allusione al comportamento del clero austriaco soggetto al patriarca e alla stessa corte imperiale, i dipinti permettono di valutare la poetica del trentenne pittore, ormai capace di tenere i grandi spazi, di forzare la prospettiva ai limiti della credibilità, di costruire figure aeree ed evanescenti, ma ancora legato ad un mondo secentesco fatto di robustezza plastica, di vuota magniloquenza, di scenica drammaticità esteriore. ... leggi Il 4 giugno 1726 i deputati della città di Udine accoglievano la supplica inviata dal governatore della veneranda confraternita del Santissimo Sacramento e concedevano loro il permesso di poterla «abbellir con pitture sacre di mano del celebre pittore Tiepolo». Questi è costretto ad operare in uno spazio infelice, cui riesce tuttavia a dare armonica unitarietà, organizzando con grande attenzione lo spazio in alto intorno alla finestra e sotto un finto occhio, ed inserendovi gruppi di angeli in volo, mentre in due stretti e lunghi pannelli ai lati delle lesene affresca a monocromo il Sogno di Abramo e il Sacrificio di Isacco. Nello stesso 1726 (o poco dopo) «ristorò la gran sala del pubblico palazzo di Udine, per ordine del governo, a puntino imitando il buon fresco rovinatovi in parte dal tempo». Nello specifico, fu chiamato a completare nei luoghi in cui per l’umidità era caduto il fregio basamentale a monocromo raffigurante il Trionfo dei Cristiani dopo la vittoria contro i Turchi riportata il 7 settembre 1571 nella battaglia di Lepanto che un pittore friulano – con tutta probabilità Francesco Floreani – aveva dipinto nella seconda metà del Cinquecento nel salone del palazzo-castello, sede della luogotenenza veneta per la Patria del Friuli e residenza stessa del luogotenente: figure di eccezionale forza vitale, quasi anticipatrici della tematica degli “scherzi” che purtroppo il tempo ha in gran parte cancellato. Si conserva invece in perfette condizioni l’importante ciclo a fresco del palazzo patriarcale, condotto probabilmente a partire dalla primavera del 1727 (nel 1726 aveva intanto dipinto per la famiglia Caiselli un quadro con le Tentazioni di S. Antonio, oggi a Brera). Tre sono i locali che fu chiamato a decorare: la sala del trono, un vasto ambiente sviluppato in altezza su due piani, cui si accede direttamente dallo scalone, la Galleria degli ospiti, una specie di corridoio lungo e stretto parallelo alla cappella palatina, che si affaccia sul salone e presenta un’infilata di finestre sul lato che dà sulla piazza, destinato agli ospiti illustri in attesa di essere ricevuti dal patriarca, e la sala rossa, o sala del tribunale, in cui si svolgevano le sedute del tribunale ecclesiastico. La Galleria è l’ambiente di maggior spettacolarità, anche per lo scenografico impianto illusionistico ideato da Girolamo Mengozzi Colonna, quadraturista che proprio a Udine iniziava una proficua collaborazione col pittore: tutta una serie di motivi architettonici, ornamentali, di sbrigliata fantasia che organizzano e partiscono lo spazio entro cui T. dipinse le scene, Agar nel deserto, Il sacrificio di Isacco e Il sogno di Giacobbe nel soffitto; Abramo e gli angeli, Rachele nasconde gli idoli, L’Angelo appare a Sara nella parete lunga, insieme con due monocromi (la Riconciliazione fra Esaù e Giacobbe e la Lotta di Giacobbe con l’angelo) e le finte statue di due profetesse; quattro altre finte statue di profetesse dell’Antico e del Nuovo Testamento nella parete con finestre. Giustamente famoso è l’episodio di Rachele che nasconde gli idoli, composizione matura per la purezza del colore, solenne, ben equilibrata nella distribuzione dei vivissimi personaggi (l’autoritratto del giovane al centro, il ritratto della moglie Cecilia nel dolcissimo volto di Rachele), con luminoso paesaggio e fresca scena pastorale sulla sinistra. La decorazione della Galleria viene ritenuta la più importante tappa nel cammino artistico del giovane T., pari per la novità delle realizzazioni alle tappe di Milano, di Würzburg, di Vicenza. Sostanziale trasformazione subisce infatti qui il colore che, fattosi luminoso e trasparente, si riallaccia alla tradizione veronesiana; nuovo è inoltre l’accostamento al dato reale che si traduce in brani paesaggistici di sorprendente modernità. Ultimati i lavori nella Galleria, nel 1729 il T. diede inizio nella Sala del trono alla serie di ritratti dei patriarchi di Aquileia e nello stesso anno passò ad affrescare il soffitto della sala rossa, con il Giudizio di Salomone al centro e i profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele ai quattro angoli, entro riquadri con delicate cornici a stucco appena aggettanti, dovute a Giovanni Maria Andreoli, cui si devono pure quattro bassorilievi a stucco raffiguranti episodi biblici che hanno per protagoniste le donne e che richiamano alla giustizia divina. Nel complesso una iconografia abbastanza inusuale, probabilmente suggerita a Dionisio Dolfin da suoi teologi consiglieri. Non è impossibile, come è stato ipotizzato, che il Giudizio di Salomone in qualche modo costituisca allusione al tentativo del vescovo di Vienna Colonitz (raffigurato nello scherano che tenta di tagliare in due il bambino) di dividere in due parti il patriarcato di Aquileia. Negli anni che seguirono il 1730 il T. produsse altri lavori per Udine e il Friuli: tre bozzetti raffiguranti l’Assunzione, la Decollazione del Battista e S. Giovanni Elemosinario, databili al 1733, testimoniano un suo impegno con la comunità di San Daniele del Friuli per affrescare il soffitto della chiesa di S. Maria della Fratta (opera non realizzata). Il duomo di Udine conserva un dipinto di poco impegno, una paletta con il Crocifisso e santi, già nella cappella Masolina, databile a questi stessi anni, così come due piccoli tondi con i santi Antonio da Padova e Carlo Borromeo nella cappella del palazzo patriarcale. Al 1735 risalgono i dipinti per il soffitto del Seminario cittadino, quattro ovati (perduti) ed una tela di grande dimensione che si suole identificare con quella, ora agli Uffizi, raffigurante l’Erezione di una statua a un imperatore; al 1737 due tele per la chiesa di S. Maria Maddalena dei Filippini di Udine con l’Angelo custode e S. Francesco di Sales, ora in Museo, e una nel duomo di Udine con i santi Ermacora e Fortunato. Per il duomo nel 1738 dipinse anche una Trinità, dal robusto impianto compositivo. L’attività del pittore fu frenetica: fra il 1730 ed il 1740 decorò alcuni palazzi milanesi, operò nella Cappella Colleoni di Bergamo, affrescò il soffitto della chiesa dei Gesuati a Venezia; nel 1743 lavorava nella villa Cordellina di Vicenza, affrescava alla chiesa degli Scalzi a Venezia, eseguì dipinti e affreschi negli anni seguenti in tutto il territorio veneto; cicli pittorici spesso di grande dimensione e di forte impatto visivo, come quelli veneziani della scuola dei Carmini, di S. Francesco della Vigna, di palazzo Barbarigo, di palazzo Labia eccetera. Al 1749-50 risale la tela con la raffigurazione del Consilium in arena, realizzata in ricordo di un singolare fatto storico. Il conte Filippo Florio, udinese, aveva fatto domanda nel 1740 per essere ammesso quale cavaliere di giustizia nell’ordine di Malta: poiché il priorato di Venezia aveva opposto rifiuto dicendo che i nobili di Udine non avevano i requisiti necessari, si fece ricorso all’autorità pontificia la quale, dopo alcuni anni, stabilì che la controversia fosse discussa dal consiglio stesso dell’ordine di Malta. Alla seduta del settembre 1748 partecipò il conte mons. Antonio di Montegnacco, il quale ottenne il diritto non solo del Florio ma dell’intera nobiltà friulana di essere iscritta all’ordine di Malta. Per ricordare l’avvenimento commissionò, dunque, al T. un dipinto che raffigurasse il momento saliente della sua perorazione, fornendogli una descrizione tanto lunga e dettagliata di ciò che aveva visto che, come scrive lo Joppi che per primo la pubblicò, a chi legge non occorrerebbe nemmeno la visione del quadro. Riconosciuto autografo da tutta la letteratura antica, il quadro è stato recentemente attribuito, su basi stilistiche, a Giandomenico Tiepolo e non c’è dubbio che in qualche modo la poetica del figlio sia presente in questa splendida composizione, ma, anche per ragioni storiche, conviene ritenere l’opera frutto di collaborazione tra G. e il giovanissimo figlio (Giandomenico era nato nel 1727). Dal 1750 al 1753 il pittore era presente a Würzburg, insieme con i figli Giandomenico e Lorenzo, per decorare la residenza del principe vescovo Carlo Filippo di Greifenklau: è una delle maggiori realizzazioni del pittore, dove grandiosità di concezione e bontà di esecuzione si sposano felicemente. Ritornato in patria, l’artista riprese ad affrescare ville, palazzi e chiese del territorio veneto e ad eseguire pale d’altare e dipinti per privati committenti. Nel 1759 si registra l’ultima presenza friulana del T.: venne infatti chiamato a Udine, con il figlio Giandomenico, per affrescare la chiesa della Purità che nel 1757 Daniele Dolfin aveva eretto a due passi dal duomo, al posto del preesistente teatro Mantica, acquistato e demolito per «rifabbricarlo e innalzarlo a uso di scuola della dottrina cristiana per le fanciulle». A lui spettò il compito di dipingere la pala del piccolo altare con l’Immacolata e di affrescare i tre riquadri del basso e piatto soffitto, quello maggiore con l’Assunta, assoluto capolavoro per la chiara, ariosa luminosità dell’impaginazione, per la gamma cromatica lieve e dolcissima, per l’intensa spiritualità che pervade la bella figura della Vergine audacemente scorciata, e quelli minori con Gloria di angeli. Giandomenico dipinse invece nelle pareti, a chiaroscuro su fondo oro, su indicazione del cardinal Dolfin, otto scene tratte da fatti più o meno noti dell’Antico e del Nuovo Testamento, che hanno come protagonisti bambini. Nello stesso 1759 G. T. dipinse, per la chiesa di S. Chiara del monastero delle benedettine di Cividale del Friuli una splendida pala d’altare (ora nella Gemäldegalerie di Dresda) con la Visione di S. Anna, pregevole non solo per la qualità pittorica, ma anche per l’inserto paesaggistico che vede rappresentati il Ponte del diavolo di Cividale, il monastero delle Clarisse e, in lontananza, il santuario di Castelmonte. Trent’anni dunque di presenza in Friuli, al servizio di due patriarchi e di altri committenti religiosi e laici, dagli anni di formazione a quelli della piena maturità, prima e dopo le esaltanti imprese che accrebbero vieppiù la sua fama: accolto sempre, in città, come “pittore celebre”, sia nel 1726 che nel 1759. È facile quindi immaginare quale influsso possa aver esercitato sullo sviluppo dell’arte e della stessa società friulana nel XVIIIsecolo. Negli anni seguenti vanno ancora registrate grandi opere, tra cui la decorazione della villa Pisani a Stra e di palazzo Canossa a Verona. Nel 1762 si portò con i figli Giandomenico e Lorenzo a Madrid, dove, tra l’altro, decorò il palazzo reale. Morì a Madrid il 27 marzo 1770.

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Bibliografia

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