TIRONI ANTONIO

TIRONI ANTONIO (1460 - 1528)

scultore

Immagine del soggetto

San Giorgio, particolare dell'ancona lignea di Antonio Tironi, 1508-10 (Paluzza, chiesa di S. Maria).

Immagine del soggetto

La grande ancona lignea scolpita da Antonio Tironi tra il 1522 e il 1527 (Dierico di Paularo, chiesa di S. Maria Maggiore).

Intagliatore e doratore, e forse anche pittore, il T. nacque a Bergamo da Simone de Ieronimis probabilmente intorno al 1470-75. Venne, giovane ancora, a Udine e dimorò per qualche anno (1500-04) presso l’intagliatore sanvitese Bartolomeo dall’Occhio, del quale fu allievo e collaboratore prima di porre a sua volta bottega in Mercatovecchio. È citato nei documenti per lo più come “Antonio Veneto”, o “Antonio da Bergamo” o anche “Antonio da Udine”, ciò che ha creato (e crea) incertezza per la difficoltà di distinguerlo dagli omonimi pittori e artigiani ricordati nelle carte d’archivio. Il T. è figura artistica tra le più discusse in questi ultimi anni in relazione al ruolo che si presume possa aver esercitato nello sviluppo dell’arte lignea friulana del primo Cinquecento, ma soprattutto al non definito rapporto di lavoro intercorso con il coetaneo e amico Giovanni Martini, la cui poetica per molti versi li accomuna. Formatosi con ogni probabilità a Venezia, iniziò la sua attività come doratore: il suo primo lavoro, eseguito quando ancora operava all’interno della bottega di Bartolomeo dall’Occhio, è la doratura (1502) della pala dell’altar maggiore della basilica di Aquileia che Giovanni Pietro da Udine aveva intagliato nel 1500 e che sarebbe stata completata con i pannelli pittorici di Pellegrino da San Daniele nel 1503. È possibile che nel 1503 abbia indorato anche il S. Nicolò intagliato da Bartolomeo per la chiesa di Castel d’Aviano e che gli spetti la doratura di alcuni altari lignei e statue di Giovanni Martini e di altri intagliatori. ... leggi Dei numerosi lavori menzionati dai documenti, non molto è rimasto. Va ricordato in primo luogo il bell’altare ligneo della chiesa di S. Maria di Paluzza, del 1508-10, per lungo tempo attribuito a Giovanni Martini, con nove statue in altrettante nicchie (tre per ognuno dei tre ripiani) delimitate da pilastrini finemente traforati: schema e decorazione (con abbondante uso dell’oro) sono ancora decisamente gotici, ma lo spirito rinascimentale è già pienamente affermato nell’abbandono dell’accentuato verticalismo e nel senso della proporzione, più vicino ai canoni dell’architettura classica, a motivo dei quali le figure vengono inserite in nicchie dal respiro cinquecentesco che diventano veri, credibili ambienti. Nel 1513 scolpì un altarolo per la chiesa di Trava, nel 1516 un’ancona per Pesariis di cui rimangono tre statue, due delle quali ora in collezione privata, la terza nel Museo diocesano d’arte sacra di Udine, una Madonna con Bambino nella chiesa di Mereto di Capitolo, ultimo resto di un altare eseguito nel 1518 per la chiesa di Ronchis di Palmanova, paese distrutto dai Francesi all’inizio dell’Ottocento, un polittico per la chiesa di San Martino al Tagliamento nel 1522 (rimangono tre statue in collezione privata), un Crocifisso per la stessa chiesa e, tra il 1522 ed il 1527, una grande ancona per la chiesa di S. Maria di Dierico di Paularo. È uno dei più significativi altari lignei del Cinquecento friulano, quello che tiene conto della nuova impronta rinascimentale nella struttura architettonica. Non più, come a Paluzza, pilastrini esili e traforati, leggerissimi supporti a pur plastiche figure, ma un’intelaiatura solida, massiccia, con pilastri di buona dimensione (e decorati con finissimo intaglio di foglie e fiori secondo il gusto lombardesco) ed un’altrettanto solida trabeazione. Consta di tre piani con quattro mezze figure di sante ed il Redentore nel piano superiore; negli inferiori dieci santi, figure di bella ed elegante proporzione, dai tratti fini ed espressivi, che fuoriescono in parte dagli schemi abituali della statuaria locale. Nel 1526 scolpì per la chiesa di S. Leonardo ad Osais quella che può essere considerata la sua ultima opera, una piacevole ancona con sei statue nei due ripiani. Quando morì, nel 1528, i suoi eredi cedettero a Giovanni Martini la commissione delle tre ancone che lo scultore aveva iniziato, ma non aveva portato a termine, per la chiesa di Oleis, per quella del Monte di Buttrio e per quella di S. Maria di Claris d’Incarojo, cioè – secondo Joppi – Chiaulis di Paularo. A proposito di quest’ultimo lavoro, va detto che la parrocchia di Trelli e Chiaulis è dedicata a S. Giovanni Battista e che l’unica chiesa della valle d’Incaroio dedicata a S. Maria è quella di Dierico: ciò che porta a credere che tra le ancone incompiute del T. ci fosse anche quella di Dierico, a ragione considerata il suo capolavoro. Si complica ancor più, quindi, il rapporto di lavoro e di amicizia fra il T. e il Martini, al quale ultimo potrebbe essere assegnata l’esecuzione delle cinque mezze figure di sante non ricordate nel contratto che il T. aveva steso con gli uomini di Dierico.

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Bibliografia

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