TORRE (DELLA) LUDOVICO

TORRE (DELLA) LUDOVICO (? - 1365)

patriarca di Aquileia

Immagine del soggetto

Denaro di Ludovico della Torre.

Il padre Raimondo, dopo la sconfitta della parte torriana a Desio (1277), come molti familiari e conterranei si era rifugiato in Friuli, presso il parente Raimondo della Torre, patriarca d’Aquileia; qui aveva sposato Anfonisia di Villalta, dell’aristocrazia friulana, e, nel penultimo o nell’ultimo decennio del XIII secolo, nacque L. Si hanno notizie su di lui a partire dal 1315, come canonico d’Aquileia. Nel novembre del 1331 egli, come tesoriere della chiesa d’Aquileia, sostituì il consanguineo Rinaldo della Torre, che per età e malattia aveva rinunciato all’ufficio. Pochi giorni dopo, il patriarca Pagano della Torre lo incaricò di compiere al suo posto la visita alla basilica di S. Pietro, in Roma, e l’anno successivo lo inviò ad Avignone, presso la corte papale, perché lo facesse assolvere dalla scomunica, da cui era stato colpito per debiti con la curia. Forse era legata al successo diplomatico dell’iniziativa, in cui L. si distinse, anche la sua presenza ad Avignone dieci anni dopo, nel 1342. La nomina a vescovo gli venne conferita qualche anno più tardi: egli fu presule di Trieste fra il 1346 e il 1349, quindi di Oleno e dal 1357 di Corone, in Grecia. Battistella riferisce che nel 1346, mentre Bertrando di Saint-Geniès reprimeva duramente la ribellione feudale dei Torriani, il vescovo di Trieste incitava ed aiutava con denaro i nemici del presule, aspirando a prenderne il posto. L. si trovava presso la curia pontificia, quando morì il patriarca d’Aquileia Nicolò di Lussemburgo. Forte del prestigio acquistato, delle proprie capacità diplomatiche e degli appoggi familiari e politici, egli avanzò la propria candidatura, caldeggiando altresì presso Udinesi e Cividalesi l’invio al papa di lettere che lo appoggiassero. ... leggi In realtà, in Friuli era ancora vivo il ricordo del grande presule Bertrando, morto in fama di santità nel 1350, per cui molti sudditi auspicavano che Innocenzo VI inviasse loro un patriarca francese, ed era vivo anche il ricordo della tenace opposizione dei Torriani a Bertrando. Altri candidati erano proposti ad Avignone da Francesco da Carrara, signore di Padova – il vescovo di Treviso, Pileo di Prata – e da Lodovico re d’Ungheria – il vescovo di Gurk, Paolo Praunspeck de Jägendorf. La scelta cadde invece su L., in vista di una pacificazione dell’Italia Settentrionale, che avrebbe dovuto contribuire a preparare il ritorno dei papi a Roma: l’elezione è del 10 maggio 1359. Il 5 settembre egli era ad Aquileia e il 25 presiedette la riunione del parlamento a Cividale. Già forte dell’appoggio dei suoi parenti, si guadagnò anche quello dei Savorgnan e di Udine, la città che essi controllavano, ricollegandosi perciò alla politica interna di Pagano della Torre. Ma un forte ed aggressivo vicino aspirava ad estendere il proprio dominio ai danni dei vescovi di Bamberga e del principato ecclesiastico d’Aquileia: il duca Rodolfo IV d’Asburgo, che con un’abile azione diplomatica prima ottenne il favore del papa, la neutralità di Venezia e l’alleanza dell’imperatore, del re d’Ungheria, del conte di Gorizia e di alcuni feudatari friulani ribelli: i signori di Spilimbergo, di Strassoldo e di Prata; poi invase il Friuli, innanzitutto per completare il controllo della strada Pontebbana, che collegava la Carinzia a Venezia e sulla quale gli Asburgo dal 1350 già occupavano Venzone e la Chiusa (agosto 1361). Per porre fine alle devastazioni del territorio e giungere a una conciliazione, L. accettò di recarsi a Vienna, dove Rodolfo avrebbe dovuto raggiungerlo, per stipulare accordi di pace. Ma ben presto il patriarca si trovò nella condizione di prigioniero del duca e costretto a sottoscrivere patti durissimi: il passaggio all’Asburgo di tutti i feudi patriarchini che si trovavano sul Carso, in Marca Schiavonia, Carniola, Stiria e Carinzia e il controllo politico e militare degli Austriaci sul Friuli (1362). Tornato nella sua sede, il presule non riconobbe gli accordi, che per l’evidente violenza esercitata furono poi annullati dall’imperatore (1363). La guerra riprese nello stesso anno: da una parte Rodolfo ed alcuni feudatari ribelli (fra i quali, al primo posto, sempre i di Spilimbergo); dall’altra il patriarca, le comunità e la nobiltà fedele, capeggiata dai Savorgnan, fino a quando L. riportò la vittoria, forte del sostegno militare dei signori di Padova, di quello politico dell’imperatore e del re d’Ungheria e della pacificazione con il conte di Gorizia (1365). Il parlamento e il suo consiglio affiancavano le iniziative politico-militari del presule: in particolare, nel 1363, quando fu chiesto aiuto all’imperatore contro Rodolfo IV; nel 1364, allorché si deliberò di stringere l’alleanza con Francesco da Carrara; e l’anno successivo, quando a Udine fu stipulata solennemente la pace con il conte di Gorizia Mainardo. Quanto alle iniziative di carattere economico, nell’ottobre del 1359, poco più di un mese dopo il suo arrivo in Friuli, L. stipulò con un argentiere di origine fiorentina un contratto per la coniazione di una nuova moneta; un altro cambiamento di moneta venne fatto nel febbraio del 1363. Il presule concesse il capitaniato del Cadore per quattro anni al fratello Febusino, come ricompensa per il prestito di 3.000 fiorini d’oro, fatto alla tesoreria patriarcale, per saldarne in parte i debiti (1362). L’anno successivo diede la gastaldia d’Antro per un biennio ad un mercante d’Aquileia, per 1.000 fiorini d’oro che l’uomo gli aveva già prestato, per far fronte a quanto dovuto alla tesoreria pontificia. Sempre nel 1365, favorì gli abitanti del paese di Meduna sul Livenza (con il castello, in posizione strategica, al confine con il Trevigiano), concedendo loro di tenere una fiera di quattro giorni, in occasione della decollazione di san Giovanni Battista (29 agosto); contemporaneamente, assegnò loro, per tre anni, la metà dei censi che i pastori versavano in formaggio e in denaro, per la realizzazione di lavori che avrebbero dovuto porli al riparo dalle inondazioni del fiume. Alla fine di luglio il duca d’Austria, nonostante la giovane età, morì a Milano; tre giorni dopo, il 30 luglio 1365, morì anche l’anziano presule. Fu sepolto nella basilica d’Aquileia, nella cappella di famiglia. Il capitolo, al quale per tanti anni era appartenuto e alle preghiere del quale aveva affidato la sua anima, ricevette come lascito un manso nella villa di Madrisio. Con ogni probabilità proprio per accogliere le spoglie del presule fu realizzato il bel sarcofago in marmo bianco (anepigrafo), decorato sulla fronte con il Cristo benedicente, due donatori inginocchiati, alcuni santi, due stemmi con i gigli araldici dei Torriani e, alle estremità, l’angelo annunciante e la Vergine. Le notizie sul governo piuttosto breve di L. riguardano in gran parte le guerre contro Rodolfo IV e la feudalità ribelle. Ma ve ne sono anche sull’attività ecclesiastica, seppure in forma frammentaria. All’inizio del suo governo fu raccolta la decima papale, di cui il tesoriere patriarcale Ambrogio della Torre gli presentò un rendiconto (1360). In data che sfugge, il presule concedette un’indulgenza per sollecitare l’aiuto economico dei fedeli, al fine di completare i restauri della basilica d’Aquileia, danneggiata da un terremoto ancora nel 1348. Al medesimo scopo, nel 1363 scrisse al re d’Ungheria, perché sollecitasse il duca d’Austria a restituire la “muta” della Chiusa, i cui introiti dovevano servire per la cattedrale. Né mancarono provvedimenti a favore d’iniziative locali, associazioni pie o singole persone: le indulgenze alle confraternite di S. Lucia di Udine e dei battuti di S. Giovanni Battista a Pavia di Udine, estesa, quest’ultima, a quanti si sottoponessero alla flagellazione penitenziale. Quaranta giorni d’indulgenza sarebbero stati lucrati anche da coloro che avessero aiutato economicamente un ebreo, convertitosi di recente (1363). Nel 1360 mandò un invito al sinodo diocesano; nell’agosto del 1363, scrisse al clero aquileiese, per quello che si sarebbe tenuto nella basilica patriarcale l’anno successivo, significativamente nella festa di san Marco, al quale la Chiesa d’Aquileia attribuiva la sua fondazione; successivamente, a distanza di poco più di un mese, il 27 maggio del 1364, si sarebbe radunato il concilio provinciale. Infatti le responsabilità ecclesiastiche del presule andavano ben aldilà dei confini del Friuli; negli anni 1362-1363, egli incaricò della visita pastorale al clero e ai laici della Carniola e della Carinzia gli arcidiaconi di questi territori, appartenenti anch’essi alla sua diocesi. In parte religioso, in parte politico, fu un atto compiuto dal presule nel 1360, dopo avere udito il parere del parlamento: la restituzione all’ambasciatore di Venezia di alcune reliquie dei protomartiri aquileiesi Ermagora e Fortunato e di altri santi, rubate alla chiesa di Grado (alla provincia ecclesiastica della quale apparteneva la città lagunare) e portate ad Aquileia durante il governo di Nicolò di Lussemburgo. Come i predecessori Raimondo e Pagano della Torre, pure L. coinvolse familiari e conterranei nell’azione di governo e nell’amministrazione, sebbene sotto di lui l’immigrazione dalla Lombardia appaia del tutto cessata. Dei Torriani, tra il 1360 e il 1363, Pancera fu capitano di Gemona, di Monfalcone e di Artegna, Rinaldino maresciallo patriarcale, Capo e Nicolino gastaldi della Carnia e poi di San Vito al Tagliamento, Bartolomeo gastaldo di Manzano e Luisio di Tricesimo; Caravacio podestà d’Aquileia; Fedrigino capitano di Sacile; Febusino podestà di Marano e capitano del Cadore, Carlevario vicedomino patriarcale; Padovano prefetto delle milizie patriarcali (1364). Leone e di nuovo Pancera ottennero in appalto la “muta” di Monfalcone. Lombardi furono gastaldi di Manzano, Saciletto e Fiumicello, Buia, Carisacco e Palazzolo, Aiello, un capitano di Udine e un canipario. Fra i membri della casa patriarcale, ancora Torriani ed altri uomini originari della stessa terra: il cappellano Rufino, il camerario Gasparino, e Franceschino di Amoretto, indicato come “familiaris”; il “magister coquinae”, e un notaio e giurisperito. Fra gli altri ecclesiastici e i religiosi, si ricordano Ambrogio della Torre, tesoriere patriarcale, Martino, vice-decano d’Aquileia e canonico di Cividale e Giovanni, canonico d’Aquileia; i decani dei rispettivi capitoli, un preposito di S. Pietro in Carnia, i pievani di Gemona e di Flambro e frate Matteo della Torre, abate di S. Martino alla Beligna. Fra le religiose, Francesca della Torre, badessa del monastero benedettino di S. Maria d’Aquileia. Un confronto con i venticinque anni precedenti, relativi ai governi di Bertrando di Saint-Geniès e Nicolò di Lussemburgo, mostra, al contrario, un’esclusione quasi totale dei Torriani da responsabilità nel governo dello stato, e la loro attività fra gli oppositori del patriarca francese. In quel periodo la loro presenza era stata consistente solo negli enti ecclesiastici più importanti: Filippone della Torre era preposito di Cividale, sotto Bertrando, e Corrado detto Gaza, Pagano e Lupidino, canonici di Cividale e di Udine, sotto il suo successore; Ludovico (il futuro patriarca), Francescolo, Ermannino, Giuseppe, Ambrogio, Corrado e Bertrando, canonici d’Aquileia; Francescutto preposito di Sant’Odorico al Tagliamento. Ma i due patriarchi si servirono ampiamente della collaborazione di altri lombardi, a tal punto radicati nella Patria del Friuli, da essere ormai fedeli ai presuli, non ai discendenti degli antichi signori di Milano. Nella cancelleria patriarcale di L., non compaiono lombardi, eccetto Gubertino da Novate; gli altri erano: Pietro Dell’Oca fu Zanone da Reggio Emilia, Gaudiolo di Giovanni da San Vito, Ambrogio di Alberto da Cucagna e Odorico Susanna. Gaudiolo lasciò degl’interessanti formulari, relativi soprattutto al governo ecclesiastico: l’incarico di visitare la diocesi, il permesso di costruire una chiesa, la dispensa dalla residenza in una pieve, la nomina del vicario “in pontificalibus” e di quello “in spiritualibus”, la conferma dell’elezione di un canonico, la dotazione di una cappella, la convocazione del sinodo diocesano e del concilio provinciale. Al governo temporale, appartiene la formula del permesso di costruire un ponte.

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Bibliografia

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