CAETANI ANTONIO

CAETANI ANTONIO (? - 1412)

patriarca di Aquileia

Immagine del soggetto

Denaro del patriarca Antonio Caetani con lo scudo Caetani a banda ondulata e con la croce (coll. privata).

Discendente di una famiglia romana, nacque probabilmente nel 1360-1365, terzo figlio di Giacomo e di Sveva di Sanseverino. Entrambi i rami dei genitori provenivano da gradi comitali. Luogo di nascita fu probabilmente Piedimonte Matese (un tempo Piedimonte d’Alife), un possedimento della madre vicino al confine settentrionale del regno di Napoli. Il C. dovette avere un’intensa formazione retorica, come mostrano le sue lettere rimaste; seguì corsi di diritto a Firenze senza concludere gli studi. Dal 1384 il C. è segnalato con il titolo onorario di protonotario apostolico. Al più tardi nel 1387 fu anche arcidiacono di Bologna e di conseguenza cancelliere dell’Università, con l’incarico di conferire i gradi accademici; il C. si trattenne però prevalentemente in curia. Lì fece da notaio e referendario papale e divenne anche familiare di Bonifacio IX. Nel 1391 questi gli diede l’incarico di “nuntius” con amministrazione del vescovado di Bologna. Dopo l’assassinio del patriarca Giovanni di Moravia, avvenuto il 13 ottobre 1394, il papa respinse Angelo Correr, propostogli come successore dalla Repubblica di Venezia, e i candidati che il 10 gennaio 1395 erano stati votati dal capitolo della cattedrale: cinque canonici erano per Ludovico di Teck, tre per il cardinale friulano Pileo di Prata e tre per il nobile veneziano Carlo Zen. Invece il 27 gennaio il papa assegnò il patriarcato al C., il quale, presente a Roma, promise il 12 febbraio il pagamento dei servizi maturati per il beneficio ecclesiastico più ricco d’Italia dopo il papato (entrate annuali stimate: 30.000 ducati). Attraverso i delegati inviati, il C. cercò subito di ottenere l’appoggio dei potenti vicini: Francesco Novello da Carrara, signore di Padova, e la Repubblica di Venezia, ai cui governanti assicurò di volersi sempre orientare secondo i loro desideri. ... leggi In marzo inviò il fratello Cristoforo come margravio in Istria per reprimere i disordini locali. Solo all’inizio di aprile il C. era sulla via del Friuli. Durante il passaggio a Venezia, la Repubblica gli accordò un prestito di 3.000 ducati come pagamento anticipato del censo dei possedimenti veneziani in Istria, che ammontava appena a 2.000 ducati l’anno. Il 19 aprile 1395 ebbe luogo la presa di possesso della signoria temporale ed ecclesiastica, circostanza nella quale il C. salì sulla cattedra patriarcale della basilica di Aquileia; con giuramento ufficiale promise un giusto giudizio e la salvaguardia delle consuetudini, quindi ricevette il giuramento di fedeltà dei sudditi. Due giorni dopo presiedette il parlamento friulano e il 22 aprile fece un ingresso trionfale a Udine. Il castello di Udine divenne al momento la sua residenza abituale, dalla quale visitò i restanti luoghi del Friuli: il 15 maggio la vecchia capitale Cividale, quindi Gemona, Venzone e Sacile. Il 18 ottobre celebrò ad Aquileia la sua prima messa solenne come patriarca, insieme ad un sinodo del patriarcato. Quando C. nell’autunno del 1396 trasferì la sua residenza stabile a Cividale, suscitò il disappunto degli udinesi che vedevano minacciata la propria lunga posizione di superiorità. Tuttavia il C. continuò le sue visite in altri luoghi. Probabilmente per evitare un’epidemia, egli abbandonò Cividale nel giugno 1397 e toccò, in un viaggio di quasi un anno, Soffumbergo, San Vito, Portogruaro, Sacile, Monfalcone e Muggia. Dal maggio 1398 si trattenne di nuovo prevalentemente a Cividale. Come pastore, il C. si preoccupò del rispetto del clero per le disposizioni del diritto canonico. Per il miglioramento della formazione, egli dispose che due canonici dovessero sempre insegnare teologia e diritto ecclesiastico nel capitolo di Cividale. Sotto di lui fu terminato il Thesaurus ecclesiae Aquileiensis, eseguito da Odorico e Giovanni Susanna: un repertorio dei documenti del patriarcato. Un registro della cancelleria conservato (3 gennaio 1397 – 10 agosto 1398) testimonia le sue attività di amministrazione corrente. Come signore temporale, il C. riuscì a frenare il conflitto interno, a volte violento, del Friuli. Riuscì anche a intrattenere rapporti amichevoli con i vicini, oltre a Padova e Venezia, soprattutto i duchi d’Austria e i conti di Gorizia. Secondo la testimonianza delle fonti contemporanee, i Friulani stimavano la saggezza e l’acume del C.; essi rispettavano la sua capacità nell’amministrazione del patriarcato. Si osserva in lui una salute debole, che lo spinse chiaramente ad uno stile di vita più prudente: secondo una testimonianza del tempo soffriva di gotta. Si criticava in particolar modo la sua avarizia, unita alla sua intenzione, manifestata ben presto, di abbandonare il patriarcato: si rimproverò al C. di avere accumulato l’enorme somma di 60.000 ducati e di essersi poi recato in curia. Le voci secondo cui il C. meditava un cambiamento spinsero ripetutamente dal febbraio 1396 il senato veneziano a dichiarazioni esortative perché dopo il congedo del patriarca, che la Repubblica vedeva come amico, c’erano da temere disordini interni. Alla fine del 1398 aumentò in Friuli il timore che il C. si volesse far trasferire dal patriarcato. Egli fece allora una breve visita a Venezia. Durante la sua assenza i comuni e i nobili del Friuli strinsero un’alleanza in difesa della propria libertà e cercarono di persuadere il C. a restare. Dopo il suo ritorno nel febbraio del 1399, egli probabilmente aveva già comunicato la sua intenzione di non rinunciare alla carica fino alla morte. Però nel febbraio del 1401 convocò a Portogruaro il parlamento in vista della sua prossima partenza; il 4 marzo destinò un vicario ecclesiastico e due laici all’amministrazione del patriarcato. Egli spiegò di volersi recare ai «balnea Apulee». Fu accolto con tutti gli onori a Venezia, trasportato via mare da lì ad Ancona, dove arrivò il 7 aprile. Quindi visitò la curia papale a Roma, si recò da re Ladislao di Napoli, e poi nella nativa Piedimonte Matese (2 maggio) e ai bagni termali, probabilmente a Pozzuoli o nei pressi. Più tardi si deve essere di nuovo trattenuto nella curia di Bonifacio IX. In ogni caso, il consiglio di Udine discusse il 4 dicembre 1401 di un eventuale cambiamento sulla cattedra patriarcale e il 17 il senato veneziano deplorò la notizia, che il papa aveva intenzione di affidare il patriarcato ad un altro. Il parlamento friulano tentò allora con un’ambasciata a Bonifacio di ostacolare una nuova nomina; tuttavia già il 2 gennaio Antonio Pancera, vescovo di Concordia, ringraziava perché l’appoggio della «maxima pars» dei nobili e dei comuni friulani aveva indotto il papa a conferirgli il patriarcato. La notizia giunse a Venezia prima del 30 gennaio con una relazione di un fratello del Pancera. La promulgazione della decisione papale seguì il 27 febbraio: il C. fu fatto cardinale sacerdote e il Pancera fu obbligato, come nuovo patriarca, a pagare 4.000 ducati. Ancora nel 1407 le città di Udine e di Cividale denunciavano in una lettera comune che questa scelta corrispondeva di fatto ai desideri del C., aveva tuttavia causato grande danno al Friuli. Il C. si trattenne in Trepergole, un luogo termale presso Pozzuoli oggi scomparso. Di ritorno a Roma, ricevette il 17 maggio il conferimento del titolo della chiesa di S. Cecilia; nel quotidiano uso della curia da allora fu chiamato “cardinalis Aquilegiensis”. Il 12 giugno 1405 fu promosso cardinale vescovo di Palestrina, poco più tardi ricevette l’ufficio di gran penitenziere, che egli mantenne fino al termine della sua vita. Fu inoltre protettore dell’ordine dei cistercensi e dei serviti. Dell’attività del C. come membro del collegio cardinalizio sono degni di nota soprattutto i suoi sforzi per comporre il cosiddetto grande scisma: nel settembre 1404 fu probabilmente il C. a spingere Bonifacio IX a stabilire delle trattative con il delegato di Benedetto XIII, giunto a Roma. La morte di Bonifacio interruppe questo avvicinamento delle parti. Nel conclave successivo, che iniziò il 12 ottobre, il C. fece parte della minoranza di cardinali che non volevano procedere ad una nuova elezione in attesa che il papa avignonese si dimettesse velocemente per porre termine allo scisma della Chiesa. A Roma il C. abitò prima nei possedimenti di famiglia sull’isola Tiberina, più tardi vicino a Campo dei Fiori in un palazzo degli Orsini. Tuttavia non era di rado assente come accadde nel periodo dal settembre 1403 al maggio 1404, quindi da settembre a dicembre del 1405, quando raggiunse di nuovo la curia dopo un soggiorno ai bagni termali del Senese. Quando Innocenzo VII si trasferì da Viterbo a Roma nel marzo dell’anno successivo, il C. non lo seguì e si diresse probabilmente a Firenze, dove il 23 marzo il consiglio gli attribuì il diritto di cittadinanza, quindi di nuovo ai bagni. A luglio e a settembre è attestato a Perugia; il 30 settembre 1406 tornò ancora una volta “de balneis” alla curia di Roma. Anche dopo la morte di Innocenzo il 6 novembre, il C. tentò di ottenere che non fosse votato subito il successore. Contro il suo parere il conclave iniziò tuttavia il 18. Corse voce che su sua iniziativa i cardinali decisero e giurarono un preciso programma per la fine dello scisma che comportava il ritiro di entrambe le parti in causa. In seguito deve essere stato di nuovo lui a proporre per primo come papa dell’obbedienza romana il veneziano Angelo Correr che era in fondo anziano, e perciò il più adatto all’incarico da svolgere per il più breve tempo possibile; e se contrariamente alle attese si fosse opposto alla rinuncia, non avrebbe potuto farlo a lungo. In effetti il Correr fu eletto il 30 novembre con il nome di Gregorio XII e mirò subito ad un incontro con il suo avversario. Il C. non è più documentabile a Roma dopo il marzo 1407. Si trovava tuttavia al seguito del papa quando questi si mise in viaggio per l’incontro concordato il 4 settembre a Siena, e lo seguì a Lucca alla fine del gennaio 1408. Le trattative tra i due schieramenti si trascinarono senza risultato finché Gregorio le interruppe. Indignato per la violazione della promessa di un nuovo conclave, l’11 maggio il C. con altri cardinali abbandonò la curia senza autorizzazione. I ribelli si incontrarono subito con i cardinali di obbedienza avignonese, prima a Livorno, poi a Pisa, che Firenze aveva conquistato da poco. Il C., come amico di questa Repubblica, ottenne il permesso di convocare un concilio generale a Pisa, che doveva cominciare il 25 marzo 1409. Con Petros Philargis volle invitarvi nel settembre 1408 anche Gregorio XII, arrivato nel frattempo a Siena. Ma il papa rifiutò loro udienza e depose i cardinali che lo avevano abbandonato. A questi mesi risalgono dure prese di posizione del C., con le quali giustificava l’azione condotta da lui e dagli altri cardinali. Al concilio che si aprì innanzitutto con un processo a entrambi i papi, il C. rese testimonianza il 18 maggio. A causa della inconciliabilità delle posizioni di costoro essi furono deposti il 5 giugno e il 15 iniziò il conclave, dal quale il 26 giugno 1409 uscì Philargis come Alessandro V. Il C. fu trasferito dal nuovo papa il 2 luglio nel vescovado suburbano di Porto e nello stesso tempo ricevette l’amministrazione del vescovado di Fiesole, che esercitò per quasi due anni. In luglio e agosto fece parte della commissione di quattro cardinali che doveva stendere le risoluzioni del concilio sulla riforma della Chiesa; dopo la conclusione dei lavori si trasferì con la curia di Alessandro a Bologna dove arrivò il 12 gennaio 1410. Era presente alla morte di Alessandro V, ma non prese parte per malattia al conclave, che iniziò il 14 maggio. In agosto si recò ai bagni termali, probabilmente sui Colli Euganei, considerato che in questo mese è ricordato a Padova, dove conferì anche due procure, il 21 novembre e il 5 dicembre. Solo nel febbraio 1411 appare di nuovo presso la curia di Giovanni XXIII a Bologna, e più tardi a Roma. Lì il papa lo chiamò nella commissione che doveva esaminare il caso di Jan Hus di Praga, sospettato di eresia. Il C. morì prima della conclusione di questo incarico, l’11 gennaio 1412 verso sera. Il giorno seguente la sua salma fu traslata dal palazzo papale presso S. Pietro alla chiesa domenicana di S. Maria sopra Minerva; egli l’aveva riparata e aveva fatto, in particolare, innalzare l’abside. La sua tomba si trovava lì, originariamente vicino all’altar maggiore; oggi il suo sepolcro di pietra si trova addossato a una parete della sacrestia.

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Bibliografia

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