CELOTTI ANTONIO

CELOTTI ANTONIO (1840 - 1904)

notaio, politico

Immagine del soggetto

Il notaio Antonio Celotti, 1870 ca. (Gemona, Civica biblioteca glemonense, Archivio fotografico).

Nacque a Gemona del Friuli il 13 luglio 1840 da Giuseppe e Lucia Gallici. Sposò nel 1867 Luigia Comino, dalla quale ebbe cinque figli: Lucia (1868), Giuseppe (1870), Liberale Fabio Tommaso (1872), Fabio (1876), Paolo Pietro (morto in fasce nel 1886). La prima presenza di un Celotti a Gemona risale al 1429, quando gli archivi riportano un «de salariando Celotum de Mocio ad aptandam fontem». Un Daniel Zeloti de Mozio è documentato anche nel 1449. Nel 1516 l’archivio parrocchiale registra a Gemona i tre «magistri» fratelli Zeloth, probabilmente scesi a Gemona per la ricostruzione della cittadina dopo il terremoto del 1511. Insediatisi colà, nel secolo XVII vennero citati come «domini», ossia proprietari terrieri, tant’è che nel 1668 un Giovanni Celotti, dottor fisico laureato a Padova, sposò la nobile Tranquilla Comelli. Medici, avvocati, notai ed anche sacerdoti, i Celotti si distinsero nella comunità gemonese fino a tutto l’Ottocento e oltre, impegnandosi nell’attività politica e amministrativa locale e udinese. Il padre di Antonio, Giuseppe, partecipò ai moti del 1848 come comandante della guardia nazionale gemonese, mentre la madre Lucia Gallici, il 12 aprile, nel duomo di Gemona, fece da madrina alla benedizione della bandiera tricolore. Laureatosi in giurisprudenza a Padova nel 1867, crebbe quindi in un clima liberale e nazionalistico, tant’è che fu il primo sindaco di Gemona dopo l’unione del Friuli all’Italia. In tale veste egli orientò la sua azione amministrativa, che si dispiegò in due tornate, tra il 1866 e il 1879 e tra il 1890 e il 1895, verso i problemi del progresso economico ed industriale, della solidarietà sociale e dell’istruzione pubblica. Nel 1868 promosse una Società di beneficenza e lavoro, nel cui progetto discusse il tema del pauperismo, sostenendo che era ormai tempo di estirpare – e non soltanto di alleviarne gli effetti con istituti di beneficenza – la causa della povertà diffusa. ... leggi «Che fare adunque?… ‘Lavoro e lavoro’: e a chi non ha lavoro procuriamolo. Ecco dove il sentimento religioso ed umanitario della carità deve esercitarsi; ecco la soluzione del problema della miseria». Pur avendo il comune e la Congregazione di carità operato bene, soggiunse C., i mezzi posti in essere non bastavano e, d’altra parte, la pura sovvenzione di chi non può lavorare, pur necessaria, avrebbe finito per ostacolare, invece che stimolare, la produzione. La via da intraprendere – non bastando a Gemona la coltivazione dei campi per sostentare la popolazione – era perciò l’associazionismo e il sostegno all’industria, mediante l’istituzione di una società per azioni che acquistasse strumenti e materie prime, per sovvenire in modo sistematico al bisogno dei poveri in grado di lavorare. Tale associazione avrebbe poi dovuto funzionare come una sorta di ufficio del lavoro («procurerà commissioni di lavoro in suo nome, e sotto propria responsabilità da tutti coloro che ricercano l’opera altrui») e promuovere contestualmente l’istruzione tecnica e professionale degli artigiani. C. avrebbe voluto poi dare impulso al lavoro femminile («procuriamo lavoro alle donne, la di cui opportunità si rende maggiore qui da noi, dove alcuni industrianti sono costretti a cercare fuori di paese l’opera di questa») e nel contempo fu sensibile altresì al problema della cura della prima infanzia: «Per impiegare una donna però in assiduo lavoro conviene pensare alla custodia della tenera prole, di cui per la maggior parte sono circondate; perciò che l’asilo infantile sorgere deve contemporaneamente alla nostra istituzione». Nel contempo si impegnò nella solidarietà sociale, concedendo fin dal 1867 agli artigiani di Gemona terreni e locali per tenervi le loro riunioni ed appoggiando poi fin dalla sua fondazione, il 27 dicembre 1874, la locale Società operaia, della quale fu vicepresidente dal 1888 al 1896 e presidente tra il 1897 e il 1904. In tale veste, nel 1898, insistette sulla necessità di creare società cooperative di lavoro, di credito, di consumo, affermando che il sostegno del lavoro, il rispetto delle diverse capacità e dei diversi ingegni sarebbero stati la via obbligata per la libertà e l’eguaglianza ed anche il modo più efficace per sconfiggere «la dannosa livellazione che si avanza minacciosa e spaventevole» promossa dal socialismo. Va perseguita – scrisse – l’«equanime distribuzione non di beni ma di vantaggi» e il capitale deve concedere una ripartizione degli utili ai lavoratori. Il lavoro deve essere tutelato ed essere mezzo di attuazione delle proprie energie e attitudini, e non «pena immeritata che si espii sotto inumano padrone». Alla Società operaia attribuì perciò non soltanto il compito del mutuo soccorso tra operai, ma anche la difesa attiva dei lavoratori. L’impegno più assiduo e continuativo di C. si dispiegò nel campo dell’istruzione pubblica. Già il 28 settembre 1867 redasse un «Progetto di attuazione nel comune di Gemona d’un corso di scuole tecniche» e nel maggio dell’anno successivo avviò la scuola, che si sostenne inizialmente sulle fragili finanze del comune, ma del cui successo egli era così convinto da scrivere: «Apriamo la scuola, e quando potremo mostrare, e lo sarà di certo, un concorso grande, un grande profitto, un grande vantaggio, lo Stato ci darà aiuto». La Scuola tecnica gemonese, che rispondeva alle aspirazioni di C. di elevare la qualità media dell’istruzione della piccola borghesia e degli artigiani, al fine di orientarli prevalentemente all’attività economica ed industriale, funzionò per un decennio, diretta da Valentino Ostermann. Cadde però nel 1878 sotto i colpi dell’opposizione clericale, che protestò essere l’istruzione a Gemona «già portata a un limite più che sufficiente per i suoi reali bisogni; e sorpassa poi la condizione di tutti i grossi paesi della provincia». L’impegno politico di C. non si limitò peraltro all’amministrazione locale. Politicamente vicino ai liberali progressisti, tra il 1898 e il 1900 fu deputato in parlamento, ove si impegnò nella legislazione sugli enti locali. Fu legato politicamente e familiarmente all’avvocato udinese Umberto Caratti, radicale, che gli sarebbe succeduto nel 1901, dopo il breve interludio di Bonaldo Stringher, nel seggio parlamentare del collegio di Gemona. Pur esaltando, accanto al sentimento della patria, quello della religione, deplorò la «furia clericale», tesa a distruggere l’opera unitaria. Fu anche consigliere provinciale di Udine e in quella giunta fu più volte deputato alla pubblica istruzione. Morì a Gemona il 3 giugno 1904.

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Bibliografia

A. CELOTTI, Progetto di statuto d’una società di beneficenza e lavoro, Udine, Tip. G. Seitz, 1868; ID., Parole dette dal Presidente Dott. Antonio Celotti ai Soci della Società operaia, Gemona, Tessitori, 1898.

T. CANCIAN, Antonio Celotti: nonno e nipote, in Il Gemonese, «Le Tre Venezie», 11/4 (2004), 82-83; PATAT, Oms, 53; G. MARINI, Una vita in disparte, in Valentino Baldissera. 1840-1906, Gemona del Friuli, Comune di Gemona del Friuli, 2006, 63-64; ID., Intorno a Raimondo D’Aronco, Gemona del Friuli, Comune di Gemona del Friuli, 2007, 94, 105-111, 160, 195-196, 220, 241.

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