Nacque a Ravenna il 6 ottobre 1758 da famiglia comitale imparentata con i duchi d’Este; fu educato nei collegi di Senigallia e di Urbino. Ancora diacono, fu canonico della cattedrale di Ravenna; prelato domestico di Pio VII, elemosiniere ordinario del viceré Eugène de Beauharnais, alla cui corte in Milano era molto ben introdotto ed accettato, R., nominato vescovo di Novara l’11 gennaio del 1807, in luogo dell’anziano Vittorio Melano, fu traslato nella sede metropolitana di Udine. Il 29 maggio l’imperatore Napoleone, viste le riserve del Melano a lasciare la sede di Novara, trasferì in Friuli il nobile ravennate. Il 18 settembre il pontefice concesse le bolle di conferma della nomina, dietro corresponsione di millecinquecento scudi romani. Il 27 dicembre R. ricevette a Milano la consacrazione episcopale. Il 15 febbraio del 1808 il nuovo arcivescovo raggiunse Udine, dove fu festosamente accolto. Dal 1803, dopo la morte di Pietro Antonio Zorzi, l’arcidiocesi era rimasta sede vacante per quattro anni, pur guidata dall’energico vicario capitolare, mons. Mattia Capellari, che con risoluto coraggio e accorta capacità di mediazione aveva saputo fronteggiare i vincitori. Ossequiente e disciplinato verso l’autorità governativa, R. fu destinato a vivere in Udine sei anni di forti tensioni, al punto che in breve il suo fisico ne rimase logorato, conducendolo ancor giovane alla morte. Il canonico Braida, che ne tenne l’orazione funebre, mise in luce, di R., i tratti di un nobile sentire, l’affabilità, la limpidità morale, l’attenzione caritativa. Il vescovo dovette subito far fronte all’ingerenza statale nella vita delle diocesi italiane, soprattutto per quanto riguardava la giustizia e la disciplina ecclesiastica. ... leggi Nello stesso periodo fu chiamato a far parte di una commissione mista, voluta dal governo, istituita al fine di razionalizzare la rete parrocchiale delle singole diocesi, con cui si prefiggeva un triplice obiettivo di natura economica, burocratica e politica. Rispettoso dell’autorità imperiale, R. improntò la propria azione episcopale sull’osservanza delle nuove norme in materia ecclesiastica stabilite dal ministro per il Culto, Bovara. In Udine le nove originarie parrocchie furono ridotte a cinque, unite ad altrettanti oratori. Sotto il profilo strettamente pastorale, R. si dimostrò attento alla formazione del clero, nella prospettiva di poter disporre di sacerdoti adeguati alle richieste che si stavano delineando da parte della nuova società. In oltre venti tra lettere circolari e pastorali il vescovo informava il clero della diocesi sul comportamento da tenere nei confronti delle «leggi sovrane»: ai parroci – stipendiati dal governo – era ingiunto di contrastare la diffusa renitenza alla coscrizione militare, come pure di porre in essere i continui provvedimenti sociali e igienici. R. trovò una diocesi vessata, aspramente rapinata delle proprietà, ridotta fortemente del numero di ordini religiosi, privata di quelle attive istituzioni che erano state le confraternite. Sull’arcidiocesi e su Udine, vivace quanto a vita cristiana perché fino al 1751 era stata sede della diocesi patriarcale, tra il 1806 e il 1810 si abbattevano le requisizioni. Il 14 novembre 1810 l’intero tesoro di reliquie e di preziosi, patrimonio del patriarcato, era trafugato dalla cattedrale da ladri che sarebbero rimasti ignoti. Nell’agosto del 1808, R. ricevette come permuta – non certo equivalente – per la requisita sede del Seminario il soppresso convento di S. Domenico, successivamente al posto di questo, nel settembre del 1810, quello di S. Bernardino. Per il deciso intervento di R. vennero risparmiati in città l’oratorio del Crocifisso e la chiesa di S. Maria Maddalena della soppressa Congregazione dei filippini. Nel 1809 scoppiò la guerra tra Francia e Austria: all’entrata degli austriaci a Udine, R. fece cantare il Te Deum in cattedrale. Il 10 maggio Napoleone ordinò al suo viceré la fucilazione dell’arcivescovo R., colpevole di alto tradimento. Grazie all’intermediazione del Beauharnais, la pena venne commutata con il confino, prima a Torreano e poi a Tavagnacco. La vicenda ebbe ripercussioni psicologiche su R., già provato per le non buone condizioni fisiche. Pur lontano da Udine, l’arcivescovo mantenne l’amministrazione ecclesiastica della diocesi, cercando di recuperare la fiducia dell’imperatore con atti di lealtà, come l’adesione a quanto rivendicato dal Capitolo di Parigi in materia di assegnazione degli episcopati vacanti. Per il 17 maggio del 1811 fu convocato a Parigi dall’imperatore un concilio dei vescovi francesi e italiani, con l’intento di giungere a svincolare le ordinazioni episcopali dall’investitura canonica del papa. A fronte del Capitolo di Udine che aveva ufficialmente dichiarato di non deflettere dalla fedeltà verso la Santa Sede (dichiarazione che la stampa del regime subdolamente contraffece), R., che in modo smorzato aveva espresso un’adesione alle tesi gallicane, si mise in viaggio verso Parigi. A Susa, però, cadde gravemente malato e fu costretto a ritornare in Friuli. Nell’ottobre del 1813 gli austriaci entrarono nuovamente a Udine, permettendo all’arcivescovo, ormai infermo, di fare ritorno in città. Morì il 14 febbraio 1814.
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ACAU, Nuovi Manoscritti, 601, 655/18, 730/19.
Note cronologiche dell’arcivescovato di mons. Baldassarre dei conti Rasponi da Ravenna arcivescovo di Udine, pubblicate nella fausta circostanza in cui il m.r.d. Tito N. Missitini entra parroco in San Giorgio Maggiore di Udine, Udine, Jacob e Colmegna, 1877; L. BADINI, L’episcopato di Baldassare Rasponi vescovo di Udine, t.l., Università degli studi di Trieste, a.a. 1971-1972; S. PIUSSI, La Chiesa di Udine nel progetto politico-religioso di Napoleone, in Dopo Campo Formio, 179-193; F. FERIN, scheda, ibid., 199; F. AGOSTINI, Istituzioni ecclesiastiche e potere politico in area veneta (1754-1866), Padova, Marsilio, 2002, indice.
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