PACASSI NICOLÒ

PACASSI NICOLÒ (1716 - 1790)

architetto

Immagine del soggetto

La facciata di palazzo Attems-Santa Croce, prima opera progettata da Nicolò Pacassi a Gorizia, 1740.

Nacque a Wiener Neustadt nel 1716 da una famiglia di lapicidi di origine greca che si era stabilita a Gorizia alla fine del Cinquecento e aveva dato scultori e altaristi operosi per tutto il secolo XVII. Il padre Giovanni, che in quella città si era trasferito e aveva sposato la figlia di uno “spizapietra”, aveva eseguito dei lavori di scalpellatura per il sepolcro della famiglia imperiale nella chiesa dei Cappuccini di Vienna. Dal 1716 al 1740 non abbiamo notizie del P. anche se gli esordi artistici e l’amicizia e protezione di Sigismondo d’Attems sembrano confermare l’ipotesi di un suo apprendistato goriziano. Risale al 1740 la sua prima opera nota: il palazzo edificato per i conti Attems di Santa Croce, che poi passò ai della Torre, ai Ritter de Zahony e infine nel 1907 divenne sede del comune di Gorizia. In esso l’ispirazione vagamente longheniana dello scalone posteriore, unica parte superstite della struttura originale, denota la forte influenza esercitata dall’architettura barocca dell’entroterra veneto nella prima fase della sua attività. Spiccano, infatti, la articolazione plastica del vano, molto sporgente dal resto dell’edificio, e il notevole contrasto chiaroscurale fra la loggia e il muro sottostante. La sua formazione in questi anni dovette avere un carattere prevalentemente artigianale, tanto che il P. nel 1742 fu impiegato a Vienna nei lavori di ristrutturazione del castello di Schönbrunn, prima come operaio e poi come architetto. Incaricato dall’imperatrice Maria Teresa di trasformare il grandioso palazzo in una comoda dimora di campagna e in un efficiente centro amministrativo, il P. non apportò modifiche fondamentali all’aspetto esterno concepito da J. B. Fischer von Erlach, mentre intervenne in modo più significativo all’interno, progettando una nuova disposizione dei vani, la decorazione di molte stanze e due gallerie che, secondo Hajos, sono il migliore esempio dell’architettura rococò viennese. ... leggi Sotto l’influenza del gusto francese diffuso a Vienna da Nicolas Jadots, grazie al quale il P. venne anche a conoscenza del trattato di architettura del Blondel edito nel 1737, le componenti venete della sua arte si rarefecero. Egli si ispirò allo stile nitido dell’architetto lorenese, fatto di deboli aggetti, spingendosi ad ulteriori semplificazioni e manifestando una predilezione per i volumi stereometrici e le superfici piane e compatte, appena increspate da pochi elementi decorativi geometricamente spartiti. Si registrò proprio allora, in Austria, un vero trapasso dall’influsso culturale italiano a quello francese favorito anche da influenti personaggi del mondo politico, come l’imperatore Francesco I, che giunse a Vienna con un folto gruppo di artisti, e soprattutto il principe Kaunitz cancelliere di Maria Teresa dal 1753, fautore di tutte le correnti artistiche di avanguardia. Ritornato sulle rive dell’Isonzo, il P. realizzò due architetture che riflettono gli orientamenti francesizzanti e razionalistici che aveva fatto propri nella capitale: il palazzo Attems-Petzenstein (1745), il più maestoso monumento goriziano del Settecento, e la villa degli Attems a Piedimonte (1748), che invece fu distrutta durante la prima guerra mondiale. Le soluzioni architettoniche del palazzo Attems-Petzenstein, improntato a una efficace grandiosità, richiamano da vicino alcuni edifici costruiti nella prima metà del secolo a Vienna e a Praga da architetti austriaci, tedeschi e boemi, come Fischer von Erlach, Hildebrandt e Dietzenhofer. La presenza di moduli che rimandano all’architettura veneta è visibile nella scansione delle ali e nella realizzazione di finestre ad arco sormontate da un timpano molto aggettante, nonché nel coronamento a statue di schietta ispirazione palladiana. Le scanalature orizzontali dei corpi laterali sono tipiche dell’architettura austriaca coeva, mentre le trottole schiacciate, sovrapposte e sistemate tra una statua e l’altra nel coronamento della facciata, rimandano secondo la Walcher alla scultura lignea austriaca e secondo la Perusini alla decorazione delle ville venete. Il suo stile severo, di origine indubbiamente italiana anche se compenetrato delle istanze e dei gusti viennesi, risulta meno fluente e più controllato e dominato dall’impegno di restare corposo, compassatamente elegante e al tempo stesso maestoso. Nel 1748 il P. fu promosso a Vienna architetto e nel 1753 «primo architetto», soppiantando nella carica il lorenese Nicolas Jadots. Nonostante il suo nome compaia nell’elenco dei soci solo nel 1768, è in questo periodo che si colloca la sua frequentazione dell’Accademia di belle arti di Vienna, centro di raccolta e di diffusione delle nuove tendenze artistiche che allora giungevano dalla Francia. Protetto dal Kaunitz, che gli affidò la progettazione di importanti edifici pubblici, come il Kärtnerthortheater, la Hofkanzelei e la Hofbibliothek, il P. si rese interprete del nuovo “stile teresiano”, in gran parte debitore al rococò francese, dal quale però si distinse per il carattere più semplice, funzionale e “borghese”, conforme alle idee illuministe che ben si accordavano con i gusti semplici e pratici della sovrana. Le strutture architettoniche da lui ideate si appiattirono all’esterno disegnando lievi partiture geometriche affidate a paraste e a scanalature orizzontali, basate sull’impiego della dicromia bianco-gialla, che spartiscono geometricamente la facciata. Questo classicismo funzionalistico compare un po’ in tutte le opere del P., ma si accentua nelle realizzazioni più tarde. Ne sono un esempio la sistemazione del castello di Praga (1756), quella del Burg di Wiener Neustadt (1767) e soprattutto il palazzo commissionato da Maria Teresa per l’arciduchessa Maria Anna a Klagenfurt (1769), ora palazzo arcivescovile. Questo edificio, che fu ristrutturato nel 1780 da F. A. Hildebrandt, presenta due corpi avanzati anteriori che delimitano una “cour d’honneur” chiusa. La semplicità quasi geometrica dei volumi e l’appiattimento degli elementi architettonici, con le lesene binate e le scanalature orizzontali nell’intonaco, sono elementi tipici del lessico pacassiano che qui sembra preludere già allo stile neoclassico. Nel 1760 il P. fu nominato “Oberhofarchitekt”, sovrintendente alle costruzioni imperiali, e prima del 1764 divenne membro dell’Accademia di S. Luca di Roma, fatto questo che presumibilmente determinò il rafforzarsi del classicismo delle sue ultime realizzazioni. Nel 1768 fu aggregato al patriziato goriziano e nell’anno successivo ottenne il titolo di barone per la sua attività architettonica e ingegneristica. Dal 1768 al 1772 fornì ben tre progetti per la ristrutturazione del palazzo reale di Milano che, tuttavia, non vennero realizzati. Non è noto se si sia ritirato spontaneamente dalla professione nel 1772 o se sia stato allontanato dalla carica di “Oberhofarchitekt” a causa del troppo rapido deterioramento di alcune sue opere dovuto alla frettolosa esecuzione. Certo è che già nel 1770 l’architetto Hohenberg aveva dovuto restaurare alcune decorazioni interne del castello di Schönbrunn e, nel 1777, anche la scalinata posteriore dell’edificio che era irrimediabilmente compromessa. Al lezioso ed esuberante rococò di Le Pautre e Oppenrod rimandano invece gli stucchi realizzati per le due gallerie di Schönbrunn nel 1761, per gli appartamenti teresiani alla Hofburg di Vienna, per i castelli del Laxenburg, di Praga e Bratislava e per molti altri palazzi e ville di Vienna e dintorni. Tali decorazioni, ottenute da pannelli di legno laccato di bianco con motivi in stucco dorato, sem brano a prima vista in contrasto con la semplicità degli esterni, mentre invece rispondono al principio della “convenance”. Delle decorazioni progettate per gli edifici italiani restano quelle del palazzo Attems-Petzenstein a Gorizia, di poco posteriori al 1745, e quelle del palazzo Taccò-Aita di Cormons, entrambe riferibili alla cerchia dello scultore G. B. Mazzoleni. Queste realizzazioni rappresentano un unicum nella sua produzione in quanto occupano solo il soffitto e non le pareti delle stanze, sono prive di dorature e presentano caratteri stilistici che non saranno più riproposti dal P. negli interventi successivi in Austria. Il P. utilizzò i moduli ornamentali in bianco e oro, impiegati in tutti i suoi edifici civili, anche nella decorazione interna della Gardekirche di Vienna, l’unico rimasto tra i pochi edifici ecclesiastici da lui progettati. Tuttavia, forse nell’intento di ottenere un aspetto di solennità, diede a questi una pesantezza insolita che fu accentuata dalle piccole dimensioni della chiesa. Preparò i disegni per due fontane di pregevole effetto architettonico e decorativo, che furono realizzate a Gorizia dallo scultore padovano Mario Chiereghin: la fontana del Nettuno con i Tritoni (1756) e quella dell’Ercole con l’idra di Lerna (1775). Quest’ultima scolpita a sue spese e donata alla città, oltre ad essere l’unica opera portata a compimento tra il 1772 e il 1790, rappresentò un ulteriore omaggio a Sigismondo d’Attems che aveva adottato proprio quel mito come insegna dell’Accademia degli Indefessi da lui fondata a Gorizia nel terzo decennio del Settecento. Per la sensibilità derivata dallo studio dell’arte dei giardini, riuscì ad ambientare perfettamente le sue costruzioni nel paesaggio circostante e a trovare il giusto equilibrio fra grandiosità e severa asciuttezza delle forme, unitamente al rispetto delle proporzioni e del ritmo fra elementi principali e secondari dell’edificio. Pur non avendo alcuna opera costruita interamente dal P., in quanto la sua specialità furono sempre i lavori di ristrutturazione e ammodernamento di edifici preesistenti, il suo insegnamento echeggiò in molte architetture realizzate tra il sesto e settimo decennio del secolo nei centri maggiori dell’impero. Il suo freddo e fermo classicismo favorì l’affermarsi di un nuovo gusto e di forme improntate a scelte sempre meno rococò e sempre più propense all’accoglimento del verbo neoclassico. Morì a Vienna nel 1790.

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Bibliografia

DBF, 583; R.M. COSSAR, Artisti goriziani del passato. I Pacassi (precisazioni documentate), «La porta orientale», 15/4 (1945), 166-177; G. MANZINI, Niccolò Pacassi e l’architettura goriziana del ’700, «Iulia gens», 17 (1963), 25-27, 72; M. WALCHER, L’attività goriziana dello scultore G.B. Mazzoleni, «Studi goriziani», 41 (1975), 153-167; G. PERUSINI, L’attività goriziana di Nicolò Pacassi, «Studi goriziani», 48 (1978), 79-92; ID., I rapporti di Nicolò Pacassi con l’architettura europea del XVIII secolo, «Arte in Friuli. Arte a Trieste», 4 (1980), 57-75; ID., Nicolò Pacassi e l’architettura del periodo teresiano, in Da Maria Teresa a Giuseppe II. Gorizia-il Litorale-l’Impero. Atti del XIV incontro culturale mitteleuropeo «Maria Teresa e il suo tempo» (Gorizia, 29-30 novembre 1980), Udine, AGF, 1981, 281-287; ID., Nicolò Pacassi e la cultura del periodo teresiano, in Maria Teresa, 243-247; FORMENTINI, Contea di Gorizia, 68-69; Nicolò Pacassi architetto degli Asburgo. Architettura e scultura a Gorizia nel Settecento. Catalogo della mostra (Gorizia, 2 aprile-2 giugno 1998), a cura di E. MONTANARI KOKELJ - G. PERUSINI, Monfalcone, EdL, 1998.

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