MANTICA FRANCESCO MARIA

MANTICA FRANCESCO MARIA (1534 - 14)

cardinale, giurista

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Ritratto del cardinale Francesco Maria Mantica, olio su tela anonimo (Udine, Società  filologica friulana).

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Frontespizio del 'Tractatus de coniecturis' di Francesco Maria Mantica, Venezia 1587.

Nato a Venzone (Udine) nel 1534 dal nobile Andrea e da Fontana di Rizzardo dei signori di Fontanabona, fu avviato agli studi giuridici dallo zio materno Giovanni Fontebono (m. nel 1556), che si prese cura di lui e della sua educazione dopo la morte prematura del padre. Nel 1551 si iscrisse all’Università di Padova, dove studiò con illustri maestri tra i quali Guido Panciroli, allievo di Mario Sozzini il Giovane, e Tiberio Deciani. Conseguì il dottorato in diritto civile il 29 ottobre 1558 e quello in diritto canonico il 17 marzo dell’anno seguente. Lesse nell’ateneo patavino fin dal 1558 e nei decenni successivi consolidò la carriera accademica impartendo corsi di crescente prestigio fino al 1582, quando gli fu assegnato il secondo «luogo» della cattedra principale di diritto civile, quella cosiddetta «di mattina» (con lo stipendio di 800 fiorini). Contemporaneamente svolse attività in «consulendo et iudicando» sia a Padova sia a Bologna, come risulta da un consiglio redatto per la comunità di Tolmino e firmato con Deciani (Giorgi) e da informazioni fornite da lui stesso (Arch. Segr. Vaticano, Sacra romana Rota, Processus, I, 41). Durante questi anni stese il trattato De coniecturis ultimarum voluntatum (Venezia 1579), in cui esplora la materia successoria e i problemi connessi all’identificazione della voluntas del testatore. Il 18 gennaio 1586 Sisto V lo nominò uditore della sacra romana Rota. Fu il primo uditore “nazionale” spettante alla Repubblica di Venezia, dal momento che il papa Peretti aveva appena conferito alla Serenissima il privilegio di avere un proprio esponente nel collegio rotale. ... leggi Scelto in una rosa di quattro candidati indicata dalla Repubblica, fu preferito per la sua solida competenza giuridica – il papa dichiarò che tanto lui quanto gli uditori avevano molto apprezzato il De coniecturis – e per la nota austerità dei costumi. Agirono anche altre considerazioni come l’appartenenza al patriziato di Terraferma, la protezione dei cardinali Federico Cornaro, già vescovo di Padova ed elevato quello stesso anno alla porpora, e Alessandro Peretti Montalto, e i buoni uffici dell’ambasciatore veneto a Roma Lorenzo Priuli. Esercitò l’uditorato per un decennio e a testimonianza della sua attività restano le Decisiones sacrae Rotae Romanae, trecentosettantacinque testi editi postumi dal nipote, l’abate Germanico (Roma 1618). Il 5 giugno 1596 Clemente VIII lo promosse al cardinalato insieme con altri due uditori di Rota, Pompeo Arrigoni e Lorenzo Bianchetti: prese dunque gli ordini e fu consacrato da Agostino Valier, cardinale di Verona. Già nei primi mesi entrò a far parte di congregazioni cardinalizie ordinarie – quella del concilio e quella concistoriale –, e in breve anche di congregazioni straordinarie, costituite per occuparsi di affari particolari e soprattutto di vertenze giurisdizionali. Fu ammesso innanzitutto nella congregazione istituita nel 1596 a causa della scomunica in cui erano incorsi il presidente del Magistrato Supremo Iacopo Menochio e quanti avessero preso provvedimenti contro i fittavoli delle proprietà ecclesiastiche nel Milanese, colpevoli secondo le autorità civili di avere disatteso alle grida governative sulla coltivazione del riso. Inoltre, nel 1603, entrò nella congregazione incaricata della questione di Ceneda, che aveva ripreso i lavori dopo un lungo intervallo per tentare di dare una soluzione a una contesa giurisdizionale fra Roma e Venezia esplosa all’inizio del pontificato clementino. Già allora, peraltro, si era ipotizzato che Mantica, ancora uditore di Rota, potesse svolgere un ruolo di mediazione tra le parti (La legazione, III, 312). Si occupò inoltre di questioni che misero in luce il suo austero profilo morale. Se nel 1598, come membro della congregazione incaricata di valutare la liceità che il papa disponesse del tesoro di S. Pietro per finanziare il viaggio a Ferrara, di cui si era appena celebrata la devoluzione allo Stato pontificio, aveva aderito alla maggioranza consenziente dei cardinali, nel 1600 condivise la critica dei cardinali Cesare Baronio e Roberto Bellarmino all’esosità della dote nuziale della pronipote del pontefice, Margherita Aldobrandini, prossima sposa del duca di Parma, Ranuccio Farnese. La posizione curiale del M. si indebolì, probabilmente, per aver avversato i desideri papali. La sua reputazione, invece, ne uscì rafforzata, sebbene egli fosse già considerato «uno dei migliori cardinali del collegio per bontà, per dottrina, e per una sincerità meravigliosa, se bene alcuni l’accusano dicendo che tanta sincerità in questi tempi non è lodevole, volendo diversi che sia pieno d’arte per avvantaggiarsi, aspirando in tal modo a fortuna maggiore; ma sia come si voglia è un santo» (Relazioni … secolo decimosesto, 489-490). In occasione del conclave del 1605, dal quale sarebbe uscito eletto Paolo V Borghese, fu compreso in un folto numero di cardinali papabili e addirittura si sparse la notizia, infondata, della sua elezione. Anche rivestito degli onori cardinalizi, continuò a occuparsi dei prediletti studi: aggiornò il trattato De coniecturis e scrisse la seconda importante opera, le Vaticanae lucubrationes de tacitis et ambiguis conventionibus (Roma, 1609), che, sulla scia di tematiche già presenti nel primo trattato, esamina l’applicazione della “interpretatio” – l’operazione cioè con cui si indaga il nesso non evidente tra “verba” e “voluntas” del privato – ai negozi, e tra questi al testamento. Il M. morì a Roma nella notte tra il 28 e il 29 gennaio 1614 e fu sepolto nella chiesa agostiniana di S. Maria del Popolo, suo titolo cardinalizio fin dal 1602, dove lo ricorda il monumento adorno di un busto marmoreo apposto sul primo pilastro della navata sinistra. Nel testamento istituì eredi Andrea, figlio del fratello Pietro, l’abate Germanico (futuro vescovo di Famagosta) e Francesco, figli del fratello Gian Daniello. A Francesco, come primogenito, legò il feudo di Fontanabona, acquistato tra 1609 e 1610; a Germanico invece lasciò i libri, le carte e l’arredo modesto della sua abitazione.

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Bibliografia

Archivio di Stato di Roma, Notai dell’Auditor Camerae, Testamenti e donazioni, 44, f. 119 e ss.; ivi, 2334, f. 348 e ss.; Archivio Segreto Vaticano, Sacra romana Rota, Processus in admissione auditorum, I, 41.

Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. ALBERI, Firenze, Società editrice fiorentina, 1857, s. II, IV, 489-490; Le relazioni degli stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo XVII, a cura di N. BAROZZI - G. BERCHET, s. III, I, Venezia, Naratovich, 1877, «Relazione di Marco Venier», 32-33; La legazione di Roma di Paolo Paruta. Dispacci 1592-1595, a cura di G. DE LEVA, Venezia, Regia deputazione veneta di storia patria, 1887, III, 312, 321; Acta graduum academicorum gymnasi patavini ab anno 1550 ad annum 1565, a cura di E. DALLA FRANCESCA - E. VERONESE, Padova, Antenore, 2001, indice; LIRUTI, Notizie delle vite, III, 413-432; M.D. PETTOELLO, Un giureconsulto udinese del sec. XVI, «Bollettino civico della Biblioteca e Museo di Udine», 3/3-4 (1909), 79-89; ID., Scritti inediti di F. M., Ibid., 5/4 (1911), 143-151; E. CERCHIARI, Capellani Papae et apostolicis sedis auditores causarum sacri palatii apostolici seu Sacra Romana Rota […], Roma, Typis Polyglottis Vaticanis, 1920-1921, II, 116-117, n. 437; V.G. GIORGI, Un parere legale del giureconsulto F. M. per i consorti di Tolmino, «MSF», 41 (1954-1955), 155-167; A. MENNITI IPPOLITO, Politica e carriere ecclesiastiche nel secolo XVII, I vescovi veneti tra Roma e Venezia, Bologna, Il Mulino, 1993, 174; M.T. FATTORI, Clemente VIII e il sacro collegio, 1592-1605. Meccanismi istituzionali ed accentramento di governo, Stuttgart, Hiersemann, 2004, indice; S. FECI, Mantica, Francesco Maria, in DBI, 69 (2008), 205-208.

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