CHIARADIA ENRICO

CHIARADIA ENRICO (1851 - 1901)

scultore

Immagine del soggetto

Lo scultore Enrico Chiaradia.

Nacque a Caneva di Sacile (Pordenone) il 9 novembre 1851 da Simone e Antonia Cordenonsi. Secondo la volontà paterna fu avviato agli studi di carattere scientifico e matematico, recandosi, verosimilmente negli anni Settanta, a Monaco di Baviera, dove si fermò fino al 1880, senza completare gli studi prefissati. Il soggiorno in Baviera influenzò profondamente C. che, accanto alla vocazione artistica, maturò anche una passione per la musica wagneriana, che era solito intonare mentre disegnava e scolpiva. Nel 1880 C. si recò da Monaco a Roma per apprendere il mestiere presso lo studio di Giulio Monteverde, dove imparò il disegno e le regole della modellazione e della scultura. Affiancò al simbolismo monacense un gusto realistico che indulgeva ai toni patetici e a una certa retorica monumentale. Allo stesso 1880 si data una tra le prime sue opere: una statua di Caino esposta a Torino e riproposta nell’Esposizione di Monaco di Baviera nel 1882. Intorno al 1882 si possono datare altre sculture: un Cristo, donato alla chiesa di Caneva, una allegoria alata della Fede, per un cimitero parigino, e un bassorilievo cimiteriale. Nel 1883 espose a Roma la scultura Peccavi, dal soggetto smaccatamente patetico, cui seguì nel 1887 per l’Esposizione di Torino un nudo femminile. A Venezia eseguì per lo scalone di palazzo Franchetti Cavallo, opera di Camillo Boito, due medaglioni esagonali raffiguranti le allegorie dell’Arte, dell’Industria, dell’Agricoltura e del Commercio. Gran parte della produzione di C. fu costituita da ritratti, molti di familiari, caratterizzati da un realismo che rielaborava, idealizzandoli, i tratti reali. Nel Museo di Pordenone ne esistono ben sei, uno dei quali, databile al 1880, riproduce il deputato Emidio Chiaradia, fratellastro dello scultore, caratterizzato da uno spiccato realismo. ... leggi Generalmente C. realizzava dapprima dei modelli in gesso, da cui traeva versioni in bronzo e marmo. Nel 1892 in uno dei brevi periodi trascorsi a Caneva realizzò per la chiesa locale una statua della Madonna del Rosario alta due metri, tradotta in marmo dallo scultore locale Giuseppe Minatelli. Questa era la prassi seguita da C., che si servì sempre di aiutanti per la realizzazione in pietra delle statue. Lo scultore rifiutò decisamente il pittoricismo alla Medardo Rosso e rimase saldamente ancorato a una rigida modellazione plastica in cui prestava attenzione ai dati realistici. Influenzato dal Monteverde, si dedicò alla ritrattistica degli eroi risorgimentali, rispecchiando le ideologie patriottiche in sculture immediatamente riconoscibili, dalle forme in bilico tra verismo e patetismo romantico. Nel 1883 presentò a Udine, senza fortuna, un bozzetto per il monumento a Giuseppe Garibaldi, cui seguì nel 1886 a Venezia quello per il monumento a Vittorio Emanuele II. Allo stesso periodo si datano due busti bronzei di Giuseppe Garibaldi ed Emanuele Vittorio II per il municipio di Conegliano e il busto di Umberto I nella casa di riposo di Pordenone. Nel monumento al conte di Cavour (1893) di Padova, C. codificò l’iconografia tradizionale dello statista. A partire dal 1893 il suo impegno principale fu la realizzazione della statua equestre di Vittorio Emanuele II per il Vittoriano. Si trattava di una statua gigantesca, consona ai gusti wagneriani dello scultore. Per potervi lavorare C. approntò lo studio in un teatro nei pressi dell’Ara Pacis. Dal 1885 le varie fasi concorsuali per l’esecuzione della scultura furono tormentate. Dei sei bozzetti presentati, quello di C. sembrò il più efficace nel gesto regale di arringare la folla e nel cavallo rampante. Prima del giudizio definitivo nell’aprile 1889, lo scultore sacilese modificò più volte l’opera, che fu giudicata vincitrice per il verismo del ritratto. C. si trovò al centro di uno scontro tra Camillo Boito, a lui favorevole, e il Sacconi, che lo avversava, tanto che gli fu affiancata una sottocommissione formata da Camillo Boito, Domenico Morelli e Giulio Monteverde. Le critiche portarono a continue modifiche dei bozzetti, fino alla versione del 1894 in cui il gruppo assunse un aspetto monumentale e compassato. C., dal carattere incontentabile e insicuro, lavorò al progetto per dodici anni, tormentato dal logorio mentale e dalla fatica fisica di modellare statue dagli otto ai dodici metri. Ancora nel 1901 gli fu chiesto un nuovo modello prima di passare alla fusione definitiva. Stremato e angosciato egli spirò, nel paese natio, il 3 agosto 1901, mentre attendeva l’ennesimo verdetto della commissione. A C. subentrò lo scultore Emilio Gallori (1864-1924) e finalmente nel 1905 si diede il via libera alla fusione, che durò ben due anni impiegando cinquanta tonnellate di bronzo. La statua di Vittorio Emanuele a cavallo fu inaugurata nel 1911 e un postumo omaggio all’artista fu tributato all’Esposizione regionale di Udine del 1903, dove fu esposta una decina di opere dello scultore.

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Bibliografia

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