BARNABA MARINI FRANCESCA

BARNABA MARINI FRANCESCA (1877 - 1960)

poetessa

Immagine del soggetto

La poetessa Francesca Barnaba Marini.

Nata a Majano (Udine) nel 1877, discendente dalla nobile famiglia Barnaba «che ha dato nell’Ottocento belle figure di patrioti e di scrittori» (Ciceri), trascorse gran parte della vita a Buia e morì a Udine nel 1960. Viene ricordata per l’attività poetica, non consistente ma originale, che iniziò in tarda età. Lontana dai movimenti letterari e dalle accademie friulane, la sua poesia nasce da una volontà di espressione semplice, quasi a colmare il vuoto pensieroso della vecchiaia. Donna dalla forte personalità, i suoi versi catturano l’attenzione per «la fresca ispirazione, l’umanissimo calore del tono, l’armoniosità del canto» (D’Aronco), per «una bella scioltezza e comunicatività» coniugate a un friulano di «purezza incantevole» (Faggin). L’ispirazione nasce dallo sguardo al tempo trascorso, dal rimpianto verso l’età perduta, ma Flors di tale [Soffioni], pubblicato con la rivista «Il Tesaur» di G. D’Aronco nel 1954 e poi in una seconda edizione postuma allargata nel 1962, si pone già dal titolo nel segno della modestia e della fugacità («Fradis dai flôrs di tale / son i miei cianz» [Fratelli dei soffioni / sono i miei canti]. Lo sguardo ritorna al passato e alla gioventù a cercare con tentata leggerezza primaverile il sogno adolescenziale («Eco lí il miò sium di frute […] Lu strenc’ e lu ciarini / il miò biel sium» [Ecco il mio sogno di ragazza […] Lo stringo e accarezzo / il mio bel sogno]) che pare riaffiorare e rapire in prossimità delle tenebre («Dolc’ il scûr al fevele / e la me anime ’e scolte» [Dolce il buio parla / e la mia anima ascolta]), ma non chiude alla speranza quando la realtà irrompe («L’inciànt ’l è rot, / il sium si sfante. ... leggi / Ma al lasse un alc / di fresc, di net, di bon» [L’incanto è rotto, / il sogno si sfa. / Ma lascia qualcosa / di fresco, pulito, buono]). Malinconie sottili si muovono tra natura viva e occhi caldi d’amore dei giovani (Marz [Marzo]), del rigoglio della primavera che si fa provvista («Vorès fâ largie proviste / di flôrs colôr di rose […] par l’ore nere e frede / dal maltímp» [Vorrei fare ampia provvista / di fiori color di rosa […] per l’ora nera e fredda / del maltempo]) a risarcire il rimpianto («Ce dûl murî / quan’ che la tiere ’e iè in fieste» [Che pena morire / quando la terra è in festa]). Il dolore, evento inatteso e drammatico, compare inesorabile e il vuoto rimbomba «sul orli» [sull’orlo], mentre l’esistenza che si affievolisce accoglie la vertigine della morte nella continuità della vita (si veda Soi pronte [Sono pronta], dove tenebre e luce tessono una continuità e invitano al distacco: «Ma ancie dopo / al lusirà il soreli» [Ma anche dopo / risplenderà il sole]). Di M. sono anche alcune prose, ricordi di paese e di famiglia senza pretese, ma scritti in un friulano schietto e vivace.

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Bibliografia

F. MARINI BARNABA, Flors di tale, Udine, «Il Tesaur», 1954; 1962(a cura di G. D’ARONCO, con appendice di recensioni, dediche e ricordi); Flôrs di tale, a cura di M. TOSONI, Udine, Aura, 1994.

CHIURLO - CICERI, Antologia, 682-684; VIRGILI, La flôr, II, 303-306; D’ARONCO, Nuova antologia, III, 19-25; BELARDI - FAGGIN, Poesia, 66.

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