ARGANTE MARIO

ARGANTE MARIO (1909 - 1991)

poeta

Immagine del soggetto

Il poeta Mario Argante.

Insegnante e poeta in italiano e in friulano, nacque a Venezia, nel 1909, da genitori spilimberghesi, ma trascorse gran parte della vita in Friuli, tra Udine (dove morì nel 1991) e paesi distanti dal centro friulano: Tauriano, a cui era legato per origine, e Resia, dove lo condusse la professione di maestro elementare. Iniziò a scrivere giovane, comparendo su periodici in italiano, e fu «per lungo tempo un poeta bifronte» (Belardi – Faggin, 1987), con una produzione italiana in cui si sentiva «decisamente moderno», aderendo ai moduli del tardo futurismo ed entrando in contatto con i suoi maggiori rappresentanti (Marinetti, Farfa, Civello, Masnata), e un comporre in friulano «ancorato a modi tradizionali» (Argante, 1968), adeguato a una percezione dell’ambiente regionale come ancora «provinciale» e «paesano» (ibid.). Gli esordi si collocano tra lo scemare degli anni Venti e i primi anni Trenta e i luoghi ora avvicinano, ora allontanano in termini esotici e pregnanti (Bilena al fiume, Asmara, Sotto la croce del Sud, Saganeiti, Eritrea) dal Friuli. A. incrocia l’anelito alla scrittura con il tardo futurismo, per una disposizione alla parola poetica come volontà di «impossessarsi soprattutto di se stesso» «contro l’artificio cultural-letterario e sempre scarnificato nella parola e nelle immagini» (Morandini, in Argante, 1978), componendo sul filo inquieto dell’analogia e divenendo maestro della metafora (Belardi – Faggin, 1987). In friulano, l’inizio «elegiaco-liricizzante e brioso (ma senza il moto e le ragioni di uno Zorutti)» (Morandini cit. ... leggi), lascia trapelare immagini nuove (sulle riviste della Filologica viene notata la sua Ombris sul fogolâr [Ombre sul focolare]) e attrae un Pasolini teso a cogliere i germogli di un rinnovamento della poesia in friulano nel segno della sua poetica. Pur non convincendolo del tutto, le poesie di A. gli paiono superiori «a tutti i rosei zoruttiani che infestano il Friuli», augura così «di saper cogliere con esattezza la durata dell’emozione poetica, perché non le si diluisca in troppe strofette ‘d’occasione’», invitando a spedirgli le poesie scritte «in maggior intimità con se stesso», da pubblicare sullo «Stroligùt» se consone al gusto di quelle pagine (Pasolini in Friuli, 1976). Altrove l’incitamento a modernizzarsi è forte («abbandoni, la prego, i binari, all’ingrosso zoruttiani, deragli», Ellero, in Argante, 1975). Di lui Pasolini si sarebbe occupato ancora nel 1949, ma come fuggevole cenno (Pasolini, 1949). Il deragliamento sarà in effetti tardo, coincidendo con altri movimenti poetico-linguistici, in particolare con il gruppo de “La cjarande” e della “Scuele libare furlane”. Per A. la possibilità di decantare lingua e immagini (ossia di avvicinarsi alla «letteratura cosidetta di livello» tralasciando «rime popolareggianti» e «villotte per concorsi») è aperta dall’allentarsi degli impegni professionali e delle vicissitudini familiari (Argante, 1968). Nel 1967 escono le venticinque poesie accolte nell’antologia La cjarande, curata insieme a Domenico Zannier e Galliano Zof, che riunisce ventidue voci, per lo più nuove, accomunate dalla «volontà di canto» secondo l’idea di una poesia friulana esente da schemi o correnti, nonché da una scrittura che si uniforma alle regole grafiche della “Scuele libare furlane” (di cui A. fu presidente). Segue la raccolta Sangloz di oris [Singhiozzi di ore], 1968, nella cui introduzione Argante sostiene attuata quella conversione a una nuova poetica (il friulano può accogliere nel verso e nei vocaboli l’esperienza d’avanguardia degli anni Trenta), consona a una mutata, generale, coscienza linguistica. La dichiarazione di poetica diventa tutt’uno con quella di friulanità e di fede, ma il titolo dà la misura di un tempo-dolore, singhiozzo d’ore raramente disteso dallo slargo della felicità (le immagini di pena si rincorrono, inverdite dalle folgorazioni della natura e dalla linfa poetica, sparuti volti ricordano la vicenda degli incontri e le ferite della storia). Di «sporc» e «polvar» [sporco e polvere] che ingombrano l’anima e di poesia come tralcio di conforto riferisce anche l’avvio di Alis di cinise [Ali di cenere] (1969), il cui titolo prosegue la teoria di figure ossimoriche a rendere la vita percepita come vuoto grigiore e ingrata nullità (Belardi – Faggin, 1987). Idealmente dedicato al Pasolini de La meglio gioventù è Erbe che mûr [Erba che muore] (1975), con liriche inedite, sempre parte in koinè e parte nella variante di Tauriano, nelle quali le immagini si fanno più ricercate. Hanno invece la misura del compendio le successive raccolte che alternano le lingue: Un’altra pagina (1978), con «appunti per l’amicizia» di Luciano Morandini, e Stagjons [Stagioni] (1981), con una poesia-conversazione a dedica di Amedeo Giacomini, preziose a tratteggiare uomo e poeta. Tra risultati ineguali e una perenne «fadìe d’inventàsi» [fatica di inventarsi] trascorrono temi e modi (pascoliani, crepuscolari, palazzeschiani, impressionistici), non sempre di eguale urgenza espressiva, ma ricamate di impressioni vivide e plastiche, di analogie nelle quali le visioni della natura sono anelli di mistero, inquietanti o capricciosi nella loro fulminea vitalità. Accanto alle raccolte, A. mantenne un filo costante con diverse riviste friulane (quelle della Società filologica, «La Panarie», i «Quaderni della FACE», «Il Barbacian»), alle quali affidò contributi svariati e i suoi ultimi versi.

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Bibliografia

Scritti di M. Argante: Sangloz di oris, Udine, Scuele libare furlane, La Nuova Base, 1968; Alis di cinise, Udine, Scuele libare furlane, La Cjarande, 1969; L’arcobaleno notturno, Udine, AGF/La Cjarande, 1972; Erbe che mûr, Udine, Scuele libare furlane, La Cjarande, 1975; Poesie, «La Panarie», 38 (1977), 26-27; Ador la Cosa, Spilimberg, Pro Spilimbergo, 1978; Poesie, «La Panarie», 40 (1978), 61-70; Un’altra pagina, Udine, Grillo, s.d. [ma 1977]; Stagjons, Spilimbergo, Pro Spilimbergo, 1981.

DBF, 34-35; P.P. PASOLINI, Poesia d’oggi, «La Panarie», 17 (1949), 131-139; La cjarande, a cura di M. ARGANTE - D. ZANNIER - G. ZOF, Udine, La Nuova Base, 1967; O. BURELLI, Quattro raccolte di poesie friulane, «La Panarie», n.s., 6 (1969), 22-26; G. FAGGIN, La letteratura ladina del Friuli negli ultimi trent’anni, ibid., n.s., 15 (1971), 33; D. ZANNIER, La poesia friulana contemporanea, «Il bimestre», maggio-agosto 1972; Pasolini in Friuli, Udine, AGF, 1976; ID., M. A., Un’altra pagina…, «La Panarie», 40 (1978), 65-66; G. RICCI, Una lunga liberazione, ibid., 54 (1981), 76-78; A. LUCCHITTA, La vicenda poetica di M. A., «Quaderni della FACE», 62 (1983), 15-21; BELARDI - FAGGIN, Poesia; G. DI FUSCO, La poesia nel Friuli-Venezia Giulia, Forlì, Forum/Quinta generazione, 1988; I’ sielc’ peravali’, passim.

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