ASQUINI ALBERTO

ASQUINI ALBERTO (1889 - 1972)

giurista

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Il giurista Alberto Asquini.

Fu uno dei maggiori giuristi del periodo fra le due guerre, ed insieme uomo politico; seppe interpretare le esigenze giuridiche della nascente economia industriale di massa, la necessità dell’intervento pubblico nell’economia quale garanzia di equilibrio tra gruppi economici, la tutela del consumatore nei contratti, la difesa del piccolo risparmiatore e del socio di minoranza nei confronti dei forti gruppi finanziari nelle società commerciali, autore di fondamentali studi nel campo del diritto commerciale, sul contratto di trasporto, sul conflitto di interessi tra socio e società, sui titoli di credito. Con i suoi contributi alla stesura del Codice civile del 1942, portò a termine la riforma del diritto commerciale italiano. Nacque a Tricesimo (Udine) il 12 agosto del 1889, dove suo padre, brigadiere dei carabinieri, ne comandava la stazione. Frequentò il Ginnasio liceo Iacopo Stellini di Udine, dal quale uscì con onore, meritandosi una borsa di studio per l’università, che frequentò a Padova, laureandosi in giurisprudenza nel 1912 con il massimo dei voti e la lode. Iniziò, quindi, il praticantato presso lo studio dell’avv. Levi (poi Livi) di Udine. Nel frattempo aveva assolto al servizio militare come sottotenente di complemento, partecipando nel 1911 alla guerra di Libia. All’Università di Padova ebbe come docente Alfredo Rocco, di cui divenne collaboratore e continuatore. La figura di Alfredo Rocco ebbe un’influenza fondamentale sul giovane A., sia dal punto di vista degli studi economicogiuridici, sia dal punto di vista politico. Nel 1913 A., grazie ad una borsa di studio, ebbe la possibilità di frequentare un corso di specializzazione presso l’Università di Monaco di Baviera, approfondendo sotto la guida del prof. Von Gareis la conoscenza del diritto commerciale, e anche della lingua tedesca. ... leggi Il risultato di questo studio fu la sua prima pubblicazione, Il contratto di trasporto terrestre di persone (Padova, 1915), argomento su cui sarebbe ritornato con grande competenza negli anni successivi in I trasporti cumulativi di persone (Roma, 1921). Scoppiata la prima guerra mondiale, vi partecipò combattendo sul Carso e nel Trentino, meritandosi una medaglia di bronzo, e tre croci di guerra; e nel 1918 venne congedato con il grado di capitano. La motivazione della medaglia così diceva: «Per il Suo contegno calmo e generoso, fu di costante esempio ai suoi dipendenti. Sorpreso da fuoco di fucileria nemica, appostava il reparto e si recava personalmente in esplorazione, spingendosi fin presso una trincea avversaria. Lekovica, 12 ottobre 1916», così il «Giornale di Udine» del 5 luglio 1917. Nel frattempo era iniziata la sua carriera accademica, prima conseguendo presso l’Università di Padova la libera docenza in diritto commerciale (giugno 1916), poi vincendo il concorso di professore straordinario; divenne poi ordinario, presso l’Università di Urbino. Nel 1920, infine, risultò vincitore della cattedra di diritto commerciale all’Università di Sassari. Negli stessi anni A. ricoprì anche la carica (1922) di direttore dell’Istituto superiore di commercio di Trieste, nel quale insegnava e, divenuto quell’Istituto nel 1924 il nucleo fondante dell’Università di Trieste, egli ne divenne il primo magnifico rettore. Nel 1924 A. entrò a far parte della Commissione reale, voluta dal governo, incaricata di modificare il Codice civile e di predisporre nuovi codici di procedura civile, di commercio e della marina mercantile, commissione che concluse i suoi lavori nel 1925. Infine, nel 1926, si trasferì all’Università di Padova come titolare della cattedra di diritto commerciale, succedendo al prof. Alfredo Rocco passato a ricoprire la carica di guardasigilli del Regno. Le esperienze della guerra avevano consolidato le sue convinzioni politiche che lo videro sempre più persuaso sostenitore dell’accentramento dei poteri nello Stato in un quadro legislativo molto rigido che tenesse conto del nuovo soggetto politico costituito dalle masse popolari, inquadrate in alcune organizzazioni parastatali come il sindacato unico, le corporazioni, ecc. Era in atto, in molti ambienti scientifici e accademici di quegli anni, la teorizzazione di un progetto scientifico-giuridico di ammodernamento della struttura statale, ed in questo sforzo A. si inserì con il vigore intellettuale, la chiarezza e la concretezza di pensiero che lo contraddistingueva. E nello stesso tempo egli fu sempre più vicino al fascismo, al quale aderì molto presto tanto da essere, nel 1925, tra i firmatari del manifesto degli intellettuali fascisti. In un comizio tenuto al teatro Puccini di Udine il 18 marzo 1929 e riportato da «La Patria del Friuli», ricordando la sua attività nei giorni del dopoguerra, così ebbe ad esprimersi riguardo alle sue scelte politiche: «Erano i giorni più torbidi del dopoguerra quando pareva che tutte le forze di disgregazione dovessero abbattere la vittoria. Qui nel dissolvimento di tutti i vecchi partiti si riunivano al Congresso i combattenti friulani ad innalzare contro la marea montante dei negatori della Patria l’argine della loro fede. Erano i bagliori della riscossa che nella coscienza dei reduci della trincea maturava. […] il fascismo aveva dato soprattutto il senso dello Stato». E Luigi Spezzotti, sempre su «La Patria del Friuli» del 3 marzo 1929, così indicava il percorso politico che A. aveva seguito, come lo stesso Spezzotti e altri esponenti del ceto liberale, di adesione al fascismo partendo da una cultura dalla forte impronta nazionalista: «Egli [Asquini] era allora in mezzo a noi il giovanissimo alfiere della idea nazionalista, di quella idea che doveva poi venire accolta e valorizzata dal fascismo e portata da esso sopra un terreno di magnifica realtà». La vita politica, a cui A. incominciò a partecipare già a Trieste, diventando membro del consiglio comunale su posizioni nazionaliste e tenendo all’Università i primi corsi di diritto corporativo, lo portò nel 1929 ad essere eletto alla Camera dei deputati dove, riconfermato anche nel 1934, rimase fino al marzo 1939, fino cioè alla costituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni, che sostituiva quella dei deputati, e della quale egli pure fece parte. Sempre dal 1929, fu membro del Consiglio nazionale delle corporazioni. Dal 1930 al 1932 fu anche preside della provincia di Udine, confermando anche così il forte legame che ebbe durante tutta la sua vita, anche nei momenti più difficili, con questa regione. Dal luglio 1932 al 1935 ricoprì la carica di sottosegretario al Ministero delle corporazioni, di cui era ministro il capo del governo Benito Mussolini. Contro il radicalismo di Giuseppe Bottai, che era stato titolare del Ministero prima di Mussolini, A. sostenne e impose una interpretazione molto moderata del sistema corporativo in modo da lasciare poco spazio all’intervento autonomo delle corporazioni subordinandole di fatto al potere governativo. Il suo impegno si concluse con la presentazione del disegno di legge sulla costituzione e funzioni delle corporazioni, divenuto legge nel febbraio del 1934. Contrario alla politica autarchica, perché, come ebbe a dire il 3 aprile 1933 in un discorso pronunciato al Senato, «sono cadute le illusioni che un regime di autarchia economica possa dare i mezzi di vita ad una popolazione crescente, che non si adatti ad una totale o parziale indigenza, come i milioni di disoccupati che si sono formati entro le muraglie doganali hanno sperimentalmente dimostrato […] un paese in fase di ascensione e di espansione economica come l’Italia, che ha un’esportazione diffusa e frazionata, deve poter fare arrivare i suoi manufatti su tutti i mercati…», A. venne accantonato non essendo più in consonanza con la nuova fase politica intrapresa dal fascismo (autarchia e aggressione all’Etiopia), e venne rimosso dall’incarico di sottosegretario. La sua attività politica comunque non fu mai disgiunta da quella giuridico-scientifica, come si può constatare dai numerosi interventi tecnici che presentò al parlamento sotto forma di disegni di legge, come quello sulla fissazione dei salari minimi, a cui era contrario, sull’autonomia dell’impresa, sul fallimento, sui consorzi, sul commercio e su numerosi altri argomenti. Nel frattempo, nel 1935, concludendo prestigiosamente il suo iter accademico, fu chiamato alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma in sostituzione di Alfredo Rocco nella cattedra di diritto commerciale, che mantenne fino al raggiungimento dei limiti di età. Nel 1939 il ministro di Grazia e giustizia Dino Grandi lo nominò nel comitato ministeriale per la redazione dei nuovi codici, incaricandolo di presiedere il comitato per il Codice civile; contemporaneamente fu anche presidente della sottocommissione parlamentare istituita per esaminare il progetto di Codice di commercio. In questa duplice veste egli sostenne l’opportunità di incorporare la materia commerciale nel nuovo Codice civile, convincendo di questa soluzione lo stesso ministro Dino Grandi. A. allora assunse la guida del comitato incaricato della redazione del libro Dell’impresa e del lavoro da inserire nel nuovo Codice civile, lavoro che concluse nell’aprile del 1941. Favorevole alla politica imperiale del fascismo, A. sostenne l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania e nel 1943 aderì alla Repubblica sociale italiana. Nell’ottobre 1943 accettò la presidenza dell’IRI, istituto che ormai aveva il compito di trasferire in mani tedesche l’apparato industriale italiano, incarico che avrebbe mantenuto per poche settimane, fino al 7 febbraio 1944. Nel dopoguerra A. venne sottoposto al procedimento di epurazione e sospeso dall’insegnamento dal gennaio 1945 all’autunno del 1948, quando il Consiglio di Stato annullò la sospensione e lo riammise all’insegnamento. Ritornato a Roma, che aveva lasciato rocambolescamente il 4 giugno 1944, il giorno della liberazione della capitale, riprese l’insegnamento che mantenne fino al 1959, quando fu messo fuori ruolo per limiti d’età, dedicandosi in particolare alla sua intensa attività professionale e scientifica. Nel 1966 fu nominato professore emerito e l’anno seguente socio dell’Accademia dei Lincei. Morì a Roma il 25 ottobre 1972 ed il suo corpo riposa nella tomba di famiglia nel cimitero di Tricesimo.

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Bibliografia

Roma, Università degli studi La Sapienza, Archivio storico, Personale, fasc. Alberto Asquini; ACS, Segreteria particolare del Duce; Camera dei deputati, Atti parlamentari. Camera, legislature XXVIII -XXX ; Annate dei quotidiani «La Patria del Friuli», «Giornale di Udine» e «Il Popolo del Friuli».
Della ricchissima bibliografia di A. Asquini si menzionano solo alcune opere, essendo i contributi scientifici in larghissima misura raccolti nei tre volumi degli Scritti giuridici qui sotto citati: Il contratto di trasporto terrestre di persone, Padova, Fratelli Drucker, 1915; I trasporti cumulativi di persone, Roma, Athenaeum, 1921; Contratto di trasporto, Torino, Unione tipografica-editoriale torinese, 1935; Scritti giuridici I, Padova, CEDAM, 1936; Scritti giuridici II, Padova, CEDAM, 1939; Corso di diritto commerciale, Roma, DUSA-Dispense universitarie, 1940; Scritti giuridici III, Padova, CEDAM, 1961; Titoli di credito cambiale e titoli bancari di pagamento, Padova, CEDAM, 1961; XXX Tricesimo. Ragionamenti & Udienze 1894-1946 (memorie autobiografiche), Roma, Edizioni Anastatike, 1995.
E. SAVINO, La Nazione operante. Profili e figure, Novara, De Agostini, 1937; Scritti in onore di Alberto Asquini, Padova, CEDAM, 1965; G. OPPO, Alberto Asquini, «Rivista di diritto civile», 19 (1973); P. UNGARI, A. Rocco e l’ideologia giuridica del fascismo, Brescia, Morcelliana, 1974; R. MENEGHETTI, Alberto Asquini (1889-1972). Ristrutturazione dell’economia. Riorganizzazione dello Stato, Udine, IFSML, 1995.

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