Nacque il 16 giugno 1762 a Palmanova, ultimo di quattro figli, da Giovanni Battista, originario di Castelfranco, e Angelina Granelli di Venezia, giunti nella cittadina friulana per dedicarsi alla lavorazione della lana. La famiglia si trasferì ben presto a Brescia e fu lì che – stando a quanto riferisce Giovanni Rossi, primo biografo dell’artista – il giovane B. manifestò una precocissima predisposizione al disegno, tanto da convincere i genitori ad avviarlo agli studi artistici con i pittori Girolamo Romani e Saverio Gandini, quest’ultimo specializzato in pittura prospettica. Alla fine degli anni Settanta del secolo seguì un altro trasferimento, questa volta a Venezia dove, su interessamento del modesto decoratore Giovanni Antonio Zanetti, B. prese a seguire le lezioni di Costantino Cedini, professore di figura all’Accademia, seguace tiepolesco, e di Antonio Mauro, scenografo e pittore di prospettive. Fu tra i banchi dell’Accademia al Fonteghetto della Farina che il pittore di origini friulane entrò probabilmente in contatto anche con Francesco Guardi, insegnante accademico dal 1784. La sua prima formazione avvenne dunque all’insegna di un tiepolismo di stretta osservanza, appena velato di suggestioni classiciste, coniugato all’interesse per la scenografia e per il facile e “capriccioso” repertorio della pittura di paesaggio veneta di tardo Settecento. Nel 1787, mettendo a frutto i personali rapporti di conoscenza con l’architetto Giannantonio Selva, fu chiamato da quest’ultimo a collaborare alla decorazione di un appartamento nel palazzo di Domenico Bottoni a Ferrara (dipinti perduti). Nello stesso anno la presenza di B. si registra anche a Padova per i lavori di ornamentazione del Teatro Nuovo a fianco del suo maestro Antonio Mauro; i contatti con il marchese Tommaso degli Obizzi avviati in quell’occasione gli consentirono, dopo aver terminato gli studi accademici nel 1789, di intervenire tra aprile e novembre del 1790 nel castello del Catajo con opere non ben specificate, ma documentate da precise note di pagamento, che dovettero avere una consistenza maggiore rispetto ai cinque copricamino tuttora esistenti. ... leggi Sempre a Padova B. fu chiamato a realizzare, nel 1792, alcuni affreschi a palazzo Maffetti (ora Manzoni), per trasferirsi, nell’agosto del 1793, a Treviso lasciando sul territorio numerose tracce della sua presenza. Lavorò, infatti, ad affresco a villa Spineda a Breda di Piave, a villa già Tivaroni a Lancenigo (1794 ca.), nella chiesa parrocchiale di Venegazzù (1794-1795) dove portò a termine una raffigurazione del Martirio di sant’Andrea sul soffitto, nell’oratorio di villa Bragadin a Ceggia (1795; oggi in provincia di Venezia) ed infine, per intercessione dell’amico Selva, al Casino Soderini (1796). I cicli ornamentali eseguiti in questo arco temporale evidenziano il tentativo da parte dell’artista di raggiungere un compromesso fra l’ancora dominante tradizione tiepolesca e le poetiche neoclassiche in nuce che cominciavano a penetrare anche in ambito veneto. Se nel 1800 alcuni documenti testimoniano l’intervento di B. per alcuni ornati eseguiti a palazzo Dolfin Manin a Venezia, città dove peraltro aveva lavorato al seguito del Cedini anche in altri edifici (palazzi Giustiniani Recanati alle Zattere, Bellavite a San Maurizio e Querini Stampalia), non si può escludere che egli si fosse già spostato a Trieste probabilmente sollecitato dal Selva che lo avrebbe voluto accanto a sé per i lavori di costruzione del Teatro Nuovo (ora Verdi), se questi non fossero poi stati affidati a Matteo Pertsch che li portò a termine nel 1801. Fu quella l’occasione che spinse B. a stabilirsi nel capoluogo giuliano con un prolungato soggiorno conclusosi solo nel 1831, a seguito del definitivo trasferimento a Milano. I contatti, avviati in città con la potente “enclave” della ricca borghesia mercantile, lo condussero ad eseguire, nel 1803, il ciclo di affreschi nella sala rotonda del palazzo che il commerciante greco Demetrio Carciotti aveva fatto costruire sulle rive. Si tratta di otto episodi dell’Iliade (Venere che sottrae Paride dal combattimento, Sinone davanti a Priamo, La morte di Patroclo, Il ratto di Elena, Il sacrificio di Polissena, Duello di Paride e Menelao, La salma di Ettore trascinato dal cocchio di Achille, Il matrimonio di Paride ed Elena) che dimostrano il loro artefice personalmente sintonizzato sui raggiungimenti imposti dalle poetiche neoclassiche ormai dominanti anche in ambito triestino. Successivamente, tra il 1805 e il 1806, B. fu chiamato a prestare la propria opera di decoratore nel palazzo della nuova Borsa eretto da Antonio Mollari, dove nel salone egli raffigurò Carlo VI concede a Trieste le franchigie portuali a celebrare l’atto imperiale che aveva assicurato, nel 1719, le fortune commerciali di Trieste. Di altri cicli ornamentali portati a termine dal pittore in palazzi privati, oggi purtroppo non si conserva più traccia (fatto salvo il caso di tre sovrapporte a palazzo Sagrè-Sartorio). Se nel 1807 le fonti ricordano B. presente a Zara per realizzare alcuni affreschi nel palazzo del provveditore generale (oggi perduti), scomparse sono anche le decorazioni eseguite dallo stesso nel Teatro di Società a Gorizia (1810-1811), così come quelle per palazzo Sirstat a Lubiana (1820) o quelle nel Teatro di S. Luca a Venezia (1818), mentre interamente ridipinto appare attualmente il soffitto affrescato della chiesa di S. Vito a Vipacco (Podnanos, Slovenia). Sopravvivono invece i quattro pennacchi della cupola nella chiesa triestina di S. Maria Maggiore affrescati con le immagini degli Evangelisti (1816). Sarebbero, inoltre, databili tra il 1822 e il 1831 alcune decorazioni attribuite al pittore palmarino esistenti in alcuni ambienti del castello di Porcia (Pordenone), probabile commissione di Alfonso-Gabriele di Porcia e Brugnera, in quel periodo governatore del capoluogo giuliano. Accanto a questa prolifica attività di decoratore, si colloca un’intensa produzione da cavalletto dedicata a scene di genere, al paesaggio naturale o a vedute di Venezia, particolarmente apprezzata in ambito triestino sia per il piccolo formato che ben si prestava all’arredo degli ambienti borghesi a cui era rivolta, sia per la sbrigliata capacità inventiva che la caratterizzava. Tale successo gli valse, nel 1824, la nomina a socio onorario dell’Accademia di belle arti di Venezia. I suoi “capricciosi” paesaggi dominati spesso da resti di architetture classiche in rovina, attraversati da viandanti e popolati di figurine impegnate nelle attività quotidiane al cospetto di una natura colta nel suo aspetto più pittoresco, si conservano oggi in numerose collezioni private e pubbliche della regione (a Trieste presso i Civici musei di storia ed arte, ai Musei Revoltella e Sartorio; a Udine presso i Civici musei; a Pordenone al Museo civico d’arte). Nell’estate del 1831, seguito dal figlio Giuseppe, anche lui pittore, B. decise di trasferirsi a Milano dove, grazie all’appoggio del mercante e collezionista Raffaello Tosoni, poté continuare la sua infaticabile attività, che si chiuse solo con la morte avvenuta nella città ambrosiana il 24 agosto 1844.
ChiudiBibliografia
G. ROSSI, Giuseppe Bison, «Cosmorama pittorico», 11 (1845), 170 e ss.; C. PIPERATA, Giuseppe Bernardino Bison (1762-1844), Padova, CEDAM, 1940; A. MORANDOTTI, Mostra di Giuseppe Bernardino Bison (1762-1844). Catalogo della mostra (Roma), Venezia, Carlo Ferrari, 1942; P. DAMIANI, Giuseppe Bernardino Bison, Udine, Doretti, 1962; F. ZAVA BOCCAZZI, Nuovi paesaggi e pitture di genere del Bison, «Arte veneta», 25 (1968), 229-249; EAD., Gli affreschi del Bison, ibid., 32 (1971), 142-166; F. MAGANI, Giuseppe Bernardino Bison, Soncino (Cremona), Ed. dei Soncino, 1993; F. MAGANI - G. PAVANELLO, I disegni di Giuseppe Bernardino Bison dell’Album Scaramangà di Trieste, Trieste, Fondazione CRTrieste, 1996; Giuseppe Bernardino Bison pittore e disegnatore, a cura di G. BERGAMINI - F. MAGANI - G. PAVANELLO, Milano, Skira, 1997; R. DE FEO, Bison Giuseppe Bernardino, in Pittura nel Veneto. L’Ottocento, II, 650-651.
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