MARCHI GIUSEPPE

MARCHI GIUSEPPE (1795 - 1860)

gesuita, antichista, epigrafista, educatore

Immagine del soggetto

Il gesuita Giuseppe Marchi.

Nato a Tolmezzo il 22 febbraio 1795, ereditò un accentuato spirito pratico e una solida educazione nella fede cattolica dai genitori Giovanni Battista, possidente, spedizioniere, amministratore del complesso manifatturiero di Iacopo Linussio, e Maria Pidutti, originaria di Gemona del Friuli, donna profondamente devota. Dei sedici fratelli, buona parte dei quali morti prematuramente, notizie si hanno della sorella Anna, alla quale M. rimase legato attraverso un’assidua e preziosa corrispondenza. Nel 1805 entrò nel Seminario arcivescovile di Udine, città nella quale compì gli studi, pare con istitutori privati, finché il 12 novembre 1814, tre mesi dopo la ricostituzione della compagnia di Gesù (sciolta nel 1773), entrò, a Roma, nel noviziato di S. Andrea al Quirinale. Distintosi per l’alto ingegno, per le qualità di educatore e la santità di vita, operò dal 1818 nel collegio di Terni prima e in quelli di Reggio Emilia e Modena poi, insegnando umanità, lingua greca e retorica. Nel 1825 tornò nella capitale per reggere la cattedra di umanità presso il Collegio Romano, ove si applicò anche allo studio della teologia, materia poi approfondita nei periodi passati a Fano e a Tivoli all’inizio degli anni Trenta (ne scrisse in L’artiere cristiano, 1827). Consacrato sacerdote nel 1826 (sarebbe stato ammesso alla professione religiosa nel 1833) e nominato docente di retorica a S. Andrea al Quirinale nel 1827, espertissimo nelle lettere italiane e latine, lo diventò anche in quelle greche, che insegnò a Roma per lunghi anni; ma la sua passione più profonda, che gli procurò larghissima fama, emerse negli studi delle antichità profane (in una prima fase) e sacre (in seguito, dal 1843), studi concretizzatisi soprattutto nel fondamentale doppio volume di catalogazione e illustrazione (in questo caso con la collaborazione del confratello Pietro Tesseri) della preziosissima collezione delle monete italiche più antiche che si trovavano presso il Museo Kircheriano di Roma (L’aes grave del Museo Kircheriano ovvero Le monete primitive dei popoli dell’Italia media ordinate e descritte aggiuntovi un ragionamento per tentarne l’illustrazione, 1839). Oltre ad avere ricoperto un ruolo determinante nell’ordinamento del Museo etrusco in Vaticano, del quale curò l’illustrazione, M. fece parte, dal 1837, della Pontificia accademia romana di archeologia, e dal 1840 del Collegio filologico dell’Archiginnasio romano; dal 1847, poi, fu consultore della Congregazione delle indulgenze e delle reliquie, dal 1852 socio corrispondente per l’estero della Société des antiquaires de France e, dal 1855, socio onorario dell’Accademia di S. Luca. ... leggi Diresse per più di vent’anni il Museo Kircheriano, che grazie alla sua opera acquisì parecchi pezzi di notevole importanza; dotò il Lapidario vaticano di una grande quantità di reperti; raccolse numerose sculture che con altri marmi e iscrizioni costituirono il nucleo iniziale del nuovo Museo cristiano lateranense (ora Vaticano Pio Cristiano), per il quale, nel 1854, ricevette dal pontefice Pio IX l’importante incarico di curarne l’allestimento. Fin da giovane acquisì, inoltre, altre nomine di rilievo, come quelle di membro corrispondente della reale Accademia di scienze di Lisbona (1825) e di socio dell’Arcadia (1827). Senza mai adagiarsi sugli allori di queste e di altre affermazioni, peraltro vissute con naturale modestia, a partire dal 1843, con fede di sacerdote e vocazione di scienziato, si dedicò all’Archeologia cristiana, riaccendendo, dopo un lungo periodo di buio e di chiaroscuri, l’interesse per la materia, definendone le partizioni di studio (architettura, scultura, iconografia, epigrafia) e fissandone gli scopi, sempre con alti esiti non solo scientifici, ma anche nel contesto della lotta – irta di difficoltà – contro gli abusi cui erano massicciamente soggetti da lungo tempo i siti della Roma sotterranea. Papa Gregorio XVI – del quale godeva una stima incondizionata – lo nominò, nel 1842, conservatore dei sacri cimiteri di Roma, creando tale ufficio per l’occasione, mentre con Pio IX fu tra i membri della Commissione pontificia di archeologia sacra, istituita nel 1852 e promossa dallo stesso M., la cui opera fu così decisiva per l’antichità sacra che può ben dirsi abbia riaperto le catacombe alla scienza e alla considerazione non solo degli eruditi, ma anche di un più vasto pubblico, grazie tanto al rigoroso metodo positivo di ricerca (foriero di quel procedimento storico-topografico che costituisce tuttora uno dei fondamentali canoni in materia), quanto all’iniziativa delle suggestive e istruttive visite guidate nei siti. Purtroppo, a causa della mancanza di mezzi, di aspre polemiche sulle tombe dei martiri e, soprattutto, delle agitazioni politiche del 1848-1849, poté portare a termine, nel 1844, solo il primo segmento (Monumenti delle arti cristiane primitive nella metropoli del cristianesimo disegnati ed illustrati…) del suo vasto progetto sulle catacombe, originariamente concepito in tre parti. Fu autore, in questo settore, di numerose ed eccelse ricerche, svolte quasi vivendo in simbiosi con gli antichi monumenti (studiati de visu, con faticosissimi percorsi fra i labirinti della città) e foriere di basilari scoperte, come quelle del sepolcro eccezionalmente intatto del martire Giacinto, nel cimitero di S. Ermete, della regione cimiteriale di S. Sotere in Callisto, della grande cripta nel cimitero ritenuto di S. Agnese (in realtà si trattava del Coemeterium Maius) sulla Nomentana, un luogo, quest’ultimo, da lui particolarmente venerato e frequentato, oggetto di altri lavori che contribuirono sia a stabilire l’origine dei cimiteri cristiani, sia a correggere errori e pregiudizi fino a quel punto assai comuni. Vittima di un colpo apoplettico nel 1855, dopo tanti anni di instancabile attività dovette ridurre il suo impegno e s’indebolì progressivamente sino alla morte, avvenuta a Roma il 10 febbraio 1860. Fu sepolto nella chiesa di S. Ignazio. Gesuita integerrimo, fu stimato non solo per la competenza scientifica e per le capacità comunicative, ma anche per le qualità umane di lealtà e di coraggiosa solidarietà (esplicito in tal senso il suo prodigarsi durante il colera dell’estate del 1837 a Roma). Oltre ai lavori già menzionati si segnalano quanto meno lo studio su La stipe tributata alle divinità delle Acque Apollinari (1852) e la dissertazione La cista atletica del Museo Kircheriano (1848), oltre che le illustrazioni di documenti di vario genere, le memorie di archeologia cristiana edite sia in quaderni specifici (a Udine Trombetti-Murero pubblicò nel 1846 l’opuscolo Illustrazione d’una lapide cristiana aquileiese), sia in vari periodici: in questo campo basti ricordare la breve relazione del 1851 dal titolo Roma sotterranea, redatta con l’amato discepolo e collaboratore Giovanni Battista De Rossi (1822-1894: proseguì l’opera archeologica del maestro diventando una celebrità di livello internazionale) per «La Civiltà cattolica», la rivista dei gesuiti con la quale M. collaborò anche in altre occasioni; né vanno dimenticate le copiose e pregevoli iscrizioni redatte anche su richiesta, che lo annoverano fra i più illustri epigrafisti. Molti sono stati inoltre i lavori d’altro genere, spesso lasciati umilmente anonimi, riunendo i quali si potrebbe formare una voluminosa pubblicazione.

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Bibliografia

Necrologio, «La Civiltà cattolica», s. IV, 5 (1860), 618-620; Biografia del P. Giuseppe Marchi di Tolmezzo Gesuita (per occasione della Messa celebrata dal reverendissimo don Giovanni D’Orlando Pievano di Verzegnis dopo cinquant’anni dalla sua prima celebrazione), Tolmezzo, Tip. Paschini, 1871; L. DELL ’ANGELO, Per il mio Friuli, «Il Cittadino italiano», 8 ottobre 1894; G. BONAVENIA, D’un manoscritto inedito del P. Giuseppe Marchi intorno all’architettura di Roma cristiana fuor de’ sacri cimiteri, in Atti del II Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana (Roma, 1900), a cura di L. DUCHESNE, Roma, Spithöver, 1902, 123-126; G. CELI S. I., Il p. Giuseppe Marchi S. I. dopo cinquant’anni, «La Civiltà cattolica», 61/1 (1910), 308-322; Le grandi glorie friulane (un cinquantenario). Il Padre Giuseppe Marchi, «Il Crociato», 10 febbraio 1910; A. SACCAVINO, Un grande archeologo friulano: Giuseppe Marchi, «La Panarie», 4/20 (1927), 94-100; R. FAUSTI, Il p. Giuseppe Marchi S. I. (1795-1860) e il rinnovamento dell’archeologia cristiana auspici Gregorio XVI e Pio IX, in Miscellanea Historiae Pontificiae, VII, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1943, 445-514; ID., Documenti inediti sull’azione innovatrice del P. Giuseppe Marchi S. I. negli studi di archeologia, «Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia», 19 (1943), 105-179; A FERRUA, Del P. Giuseppe Marchi S. I., «La Civiltà cattolica», 2 (1945), 254-264; R. FAUSTI, Gregorio XVI e l’archeologia cristiana, in Gregorio XVI. Miscellanea commemorativa, I-II, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1948, 405-456; G. SASSOLI DE BIANCHI, Recenti studi su di un illustre archeologo friulano: padre Giuseppe Marchi di Tolmezzo, «Ce fastu?», 26 (1950), 123-127; G.C. MENIS, L’archeologo cristiano Giuseppe Marchi nel centenario della morte, Udine, AGF, 1960; ID., Giuseppe Marchi «instauratore dell’archeologia cristiana», «MSF», 44 (1960-1961), 181-189; A. FRONDONI, Contributo alla memoria di Giuseppe Marchi, «MSF», 55 (1976), 149-183; EAD., Manoscritti e tavole del P. Marchi per lo studio delle Basiliche, «Rivista di Archeologia Cristiana», 55 (1979), 115-172; MARCHETTI, Friuli, 637-648; G.C. MENIS, Padre Giuseppe Marchi e Monsignor Pio Paschini. Due secoli di ricerche storiche romane, in Tumieç, 401-406; M.C. MOLINARI, Marchi, Giuseppe, in DBI, 69 (2007), 674-677.

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