SEVERO

SEVERO (? - 606)

patriarca di Aquileia

S. non può essere confuso con l’omonimo e contemporaneo vescovo di Trieste che partecipò al sinodo tenutosi a Grado il 3 novembre 579 (secondo altri, tra gli anni 572 e 577) e che fu coinvolto nella consacrazione di S. e nelle gravi reazioni papali ed esarcali. S., succeduto a Elia nel 586/587, ebbe a sostenere le conseguenze dell’inasprimento dello scisma dei Tre Capitoli, iniziatosi più di trent’anni prima con Macedonio. Paolo Diacono gli dedica il capitolo 26 del II libro dicendo che «deceduto Elia, patriarca di Aquileia, dopo quindici anni di episcopato, gli successe nel governo della Chiesa di Aquileia Severo». Le sollecitazioni che più di vent’anni prima Pelagio I aveva rivolto all’autorità civile e militare romano-bizantina perché venisse posta fine allo scisma anche col ricorso alla forza, vengono immediatamente ripetute da Pelagio II, sicché l’esarca Smaragdo, sbarcato a Grado, cattura con la forza S. e i tre vescovi, forse quelli che lo avevano consacrato (Giovanni di Parenzo, Severo di Trieste, Vindemio di Cissa, più un “defensor” della Chiesa di Aquileia, Antonio) e li deporta a Ravenna tenendoli prigionieri per un anno, finché essi non cedettero alla violenza, accettando di condannare i Tre Capitoli e quindi l’atteggiamento fino ad allora assunto dalle loro Chiese. Il richiamo era alle decisioni dei papi Vigilio e Pelagio (anche Pelagio II aveva indirizzato tre lettere a Elia nel 585 e ai suoi vescovi): si ottenne in tal modo formalmente la “communio” col vescovo di Ravenna, Giovanni. Rientrati però a Grado, i fedeli (la “plebs”) e gli altri vescovi non vollero accoglierli se prima non avessero receduto dall’abiura. Smaragdo, tra l’altro, fu destituito nel 589 e richiamato a Costantinopoli, dove c’era senza dubbio una forte corrente incline a non mettere troppo a disagio gli Aquileiesi rifugiati a Grado, che potevano tornare utili in un’azione di riconquista del territorio di Aquileia. ... leggi Nel 590/591 S. venne accolto dai suoi vescovi nel sinodo che si tenne a Marano, alla presenza di dodici vescovi provenienti dalle terre occupate dai Longobardi; con S. vennero accolti anche coloro che lo avevano accompagnato a Ravenna. Nel 590 papa Gregorio I tentò di far recedere dallo scisma (tale non era giudicato dagli Aquileiesi, che definivano fedifraghi gli accusatori e persecutori) S. di Aquileia convocandolo a Roma. Lo stesso patriarca con i suoi suffraganei si rivolse direttamente all’imperatore Maurizio per sottrarsi alla convocazione romana. Si conoscono le lettere inviate da Gregorio I a S. nel 590 e una delle tre suppliche partite da Grado verso Costantinopoli e certamente dettate dal patriarca. Vi si ricorda la «violentia militaris» usata contro di loro e si sposta l’attenzione sui significati e sugli effetti politici dell’azione condotta dall’esarca, al punto che si chiede di por fine alle angherie contro la Chiesa di Aquileia, temporaneamente a Grado, altrimenti, come già stava avvenendo nel Norico dove si era verificata un’intromissione dei Franchi, la stessa Chiesa di Aquileia si sarebbe rivolta ai vescovi e ai metropoliti franchi per l’elezione e per la consacrazione: in tal modo la “sancta respublica Romana” avrebbe perduto la sua autorità non soltanto a Grado, pur sempre romana, ma moralmente in tutti i molti centri episcopali che da più di vent’anni erano nel regno longobardo. Più che un banale e grossolano ricatto era il tentativo estremo di salvare un’identità dottrinale e culturale, ormai aggrappata all’unico elemento certo, la Chiesa patriarcale, con la sua autorità metropolitica al di sopra delle divisioni politiche. L’imperatore Maurizio non insistette in un’azione vigorosa con Callinico e con Romano, esarchi, ma quando S. morì (606/607), persistendo Grado nella disobbedienza a Roma, l’elezione del successore fu accompagnata da nuove violenze. Il nuovo patriarca, Candidiano, fu imposto d’autorità perché avrebbe comportato l’abiura della Chiesa di Aquileia allo scisma, cosa che avvenne soltanto con una profonda frattura all’interno del clero: parte degli “elettori” rientrò dopo quasi cinquant’anni ad Aquileia e vi elesse patriarca l’abate Giovanni, dando inizio a una serie parallela di patriarchi di Aquileia, dapprima scismatici e poi, dopo la definitiva ricomposizione (698), fregiato del nome di Aquileia, mentre la serie gradese diede origine a una successione distinta di patriarchi sotto il nome di Grado.

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Bibliografia

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