MAFFEO D’AQUILEIA

MAFFEO D’AQUILEIA

camerario del comune di Udine

Il camerario M. d’A. che fu in carica ad Udine dal 1348 al 1349 non va confuso con l’omonimo Maffeo di Biagio d’Aquileia notaio: quest’ultimo fu cancelliere patriarcale, titolare di numerosi e prestigiosi incarichi e morì nel 1338. Le pochissime notizie esistenti invece sul camerario M. d’A., le possiamo trarre principalmente dal quaderno da lui redatto mentre ricopriva l’ufficio ad Udine, un decennio dopo la morte dell’omonimo notaio. Infatti la struttura dei quaderni dei camerari, ossia dei pubblici registri contabili, è piuttosto informale: la mera registrazione di un’entrata o di una spesa è in genere costituita dai tre elementi: data, importo, somma parziale, a volte segue quella che oggi definiremmo una causale. In tanta essenzialità di dati due sono le parti che possono assumere una minima formalità segnalata talvolta da una capitale manoscritta sobriamente ornata: la “racio receptorum” e la “racio expensarum”, cioè l’apertura delle due partite rispettivamente dell’avere e del dare. Qui, ove il camerario è di norma annotato oltre che con il proprio nome e paternità, anche con il titolo, il camerario M. è detto «virum discretum», attestazione implicita che titoli veri e propri egli non ne possedeva. Il caso non è unico e nel medesimo fondo dei Camerari del comune di Udine una cinquantina d’anni prima, in un unico manoscritto, troviamo le note contabili relative a tre camerari: Oldorico notaio, Francesco e magister Marino. In tale manoscritto Francesco camerario è sempre nominato con il solo nome di battesimo. Accanto al nome è spesso il mestiere a distinguere chi ricopriva la carica: orefice, speziale, mercante; in soli due casi su ventitré quaderni costituenti oggi il fondo dei Camerari della Biblioteca civica di Udine il titolo è di notaio. Ciò permette di formulare delle considerazioni sulle caratteristiche personali e sull’estrazione culturale di quanti, tra i cittadini udinesi gestivano un ufficio a scadenza annuale (con inizio nel mese di maggio fino al 1355, spostata poi a settembre per restare tale fino a tutta l’età veneta) che era affidato a rotazione, in un contesto storico che è quello dell’istituzione comunale in via di rafforzamento e sviluppo, a semplici cittadini quali appunto M. I requisiti dovevano essere sicuramente il saper leggere e scrivere, l’abilità di calcolo e la solvibilità, stante la responsabilità patrimoniale personale per ammanchi. ... leggi Sia pur in via minima era richiesta anche una competenza amministrativa esistendo un obbligo di rendicontazione mensile ed una continuità di rapporti con il cancelliere cittadino il quale trascriveva materialmente le voci, gli importi ed infine conservava il quaderno nella cancelleria. Al camerario M. come ad ogni suo collega non potevano mancare competenze giuridiche stante l’affiancamento di due procuratori che avevano, assieme al camerario, compiti d’impulso all’azione giudiziaria in caso di omicidio, nonché competenze in tema di “tregua nella Terra”, in tema di pignoramenti e di generica vigilanza sull’erario pubblico. Sia pur limitatamente nel tempo M. d’A. fu nella sua qualità di camerario quello che oggi definiamo un funzionario: infatti, così come riportato dai notai incaricati di trascrivere le note di spesa, i camerari sono indicati come “officiales communis”. La vita personale e quella di pubblico contabile di M. d’A. si intrecciarono con momenti particolarmente tragici della vita del Friuli: furono quelli infatti gli anni in cui si verificarono vari eventi sismici, in particolare un “tremendo” terremoto nel 1347 cui seguì un’epidemia di peste. Inoltre erano in atto acute instabilità politiche destinate a culminare, alcuni mesi dopo la remissione del mandato di M., nella congiura contro il patriarca Bertrando di S. Geniès. M. d’A. registra con l’impersonalità propria delle note contabili voci che si riferiscono a riparazioni di ponti, di porte, della pesa pubblica, della loggia comunale; ingenti spese riguardano la pulizia e rifacitura di pozzi e, a dare l’idea delle proporzioni degli eventi, si acquistano rilevanti quantità di materiale da costruzione quali pietre, travi, assi, tegole, sabbia, calce. Era in atto la ricostruzione. Anche il momento politico militare passa dalle scritture del camerario M. attraverso una serie di spese difensivo-militari, dovute alla rivalità con la vicina Cividale e con i conti di Gorizia. Attività diplomatica e di spionaggio si intrecciano con l’invio di ambasciatori e informatori presso le comunità sospettate d’essere ostili ad Udine; M. trasmette queste notizie con voluta genericità certamente pensando a tutelare l’identità di chi era coinvolto nelle missioni: «Item duabus spiis que fuerint Civitate in tribus diebus». Da ultimo è questo il periodo che vede l’ascesa di Udine a discapito di Cividale, con la conseguente contrapposizione della nobiltà castellana alla nobiltà cittadina che ha il proprio modello nei Savorgnan ed in quel “dominus” Federico di Savorgnan che incontriamo così spesso nelle note contabili del camerario M. Il momento storico nel quale M. d’A. entra in carica è ben caratterizzato anche per altri aspetti normativi strettamente attinenti all’ufficio ricoperto: dal 1335 in poi il patriarca Bertrando emana una serie di disposizioni tese a contrastare le usure e ricordiamo che per il diritto canonico era illecito il prestito ad interesse indipendentemente dalla gravosità del tasso. Nonostante ciò era ammesso un dono in denaro a titolo risarcitorio. Nella difficoltà a distinguere l’interesse usuraio dalla libera dazione M. d’A. – così come aveva in precedenza fatto il collega Marino (1297-1301) – adotta un artificio contabile: non viene infatti registrato il tasso di interesse per valori percentuali, ma è registrata direttamente la somma dovuta a titolo di servizio del debito. Quanto esposto allinea la contabilità udinese a quella di altri comuni italiani legittimando le perplessità sulla gestione giuridico-finanziaria del periodo espresse da Bowsky, Lane, Brucker, Fiumi. Un caso è esplicito, non essendo certo l’unico, in merito all’esistenza di artifici contabili, quando M. registra un pagamento a titolo di interesse eseguito dall’ospedale di S. Maria per un valore di sedici marche, non viene però specificato il valore del capitale, per cui non è dato sapere l’entità del tasso di interesse che fu applicato. Solo una quarantina d’anni più tardi le cose cambiarono ed il camerario udinese Paolo Ermanno detto da Percoto figlio di ser Missio di Remanzacco (1384-1385) adotterà tutt’altro tipo di contabilità registrando esplicitamente tassi di interesse al 20%, non sussistendo alcuna remora a definire i mutui “sub usuris”. Stante la necessità di finanziamenti per opere difensive e di ricostruzione di cui si è detto, risalta nel bilancio di M. l’elevata quantità di rientri di liquidi mutuati dal comune a privati. È questa una peculiarità del bilancio del 1348-1349, in quanto rispetto agli anni immediatamente precedenti e seguenti assistiamo a un tentativo di contenimento di quel disavanzo macroscopico fra la voce delle entrate e quella delle uscite che è tipica dei bilanci del tempo e che sembra aver avuto il suo unico rimedio nelle varie forme di finanziamento pubblico del comune. Nell’esercizio del 1348-1349 la manovra economica sembra essere condotta in maniera diversa: infatti, per evitare di alimentare la spirale del finanziamento privato della “res publica”, si tenta di sostenere le spese tramite il rientro delle posizioni insolute. Una condotta cioè parzialmente inversa da quella attuata in periodi passati: riscossione di precedenti debiti di privati in luogo di aperture di credito del comune verso privati. Con i soli dati a disposizione non è dato sapere fino a che punto si riuscì negli intenti, ma certamente si può affermare che il camerario M. chiuse il proprio mandato con una partita che cercò di mantenere un certo equilibrio fra entrate ed uscite.

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Bibliografia

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