NOGARA GIUSEPPE

NOGARA GIUSEPPE (1872 - 1955)

arcivescovo

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L'arcivescovo Giuseppe Nogara

Nacque il 26 giugno 1872 a Bellano (in provincia di Como, ma nella diocesi di Milano) da Giovanni e Giulia Vitali. Frequentato il Seminario minore di Monza, quindi quello Lombardo a Roma, dove conseguì la laurea in filosofia e in teologia, fu ordinato sacerdote nel 1895. Dapprima professore di filosofia nel Seminario liceale di Monza, città dove diresse la scuola politico-sociale, dal 1904 fu docente di Sacra Scrittura nel Seminario teologico di Milano, curando la pubblicazione di saggi critico-esegetici; dal 1912 al 1918 fu revisore ecclesiastico dell’editrice Vita e pensiero; nel 1913, nominato canonico del duomo di Milano, diresse sia l’ufficio catechistico diocesano come il periodico «La Scuola Cattolica», e fu assistente diocesano della Gioventù femminile di Azione cattolica e dell’Unione donne cattoliche. Ricercatore di storia ecclesiastica locale, presso la Biblioteca Ambrosiana, qui ne conobbe il prefetto, Achille Ratti che, divenuto papa Pio XI, nel 1922 lo chiamò a Roma con gli incarichi di segretario della pontificia Opera per la Propaganda della fede, di segretario generale del comitato per l’Anno Santo del 1925, e quindi di assistente ecclesiastico dell’Unione donne cattoliche, compito quest’ultimo che assolse fino al marzo 1928, dopo di che, il 7 aprile, fu chiamato a succedere ad Anastasio Rossi quale arcivescovo di Udine. Nell’ottobre 1928 N. prendeva possesso della diocesi; l’avrebbe guidata per ventisette anni, fino al 1955 – in conformità con le direttive magisteriali di Pio XI, quindi di Pio XII – durante il succedersi del Ventennio fascista, della seconda guerra mondiale, dell’occupazione nazitedesca, della Resistenza e, quindi, degli inizi della Repubblica italiana. ... leggi La cura per la formazione cattolica e per l’Azione cattolica restarono i due obiettivi primari del suo episcopato. Istituì la Scuola cattolica di cultura e rifondò l’organizzazione dell’Azione cattolica, che in poco più di un anno raddoppiò gli iscritti; gli esponenti del disciolto Partito popolare italiano erano da lui unificati nella Giunta diocesana e nominava un nutrito quadro di Assistenti. Dopo aver dapprima condiviso nei confronti del fascismo e dell’operato di Mussolini quell’apertura di consenso comune al mondo cattolico in seguito ai Patti Lateranensi, alla fine del maggio 1931, unitamente all’episcopato italiano, deplorava lo scioglimento dell’Azione cattolica italiana; in seguito, a riappacificazione avvenuta, dal settembre 1931 N. assestò i propri rapporti nei riguardi del duce e del regime in atteggiamenti che l’autorità pubblica riconosceva come improntati a «devozione assoluta». Rapporti con il regime che sarebbero rimasti buoni, anche se da parte sua non mancarono richiami e rimostranze verso il governo fascista, come nel 1933 in seguito al divieto dell’uso dello sloveno nel catechismo e nella liturgia per le comunità della Slavia friulana; protesta che N., lasciato solo dal Vaticano, dovette poi accettare. Nel 1938 un’analoga proibizione dell’uso del tedesco nella Valcanale – area unita alla diocesi di Udine dal 1933 – fu però resa inefficace. Il 9 gennaio 1938 N. andava oltre le righe nel suo discorso ufficiale a nome dell’episcopato italiano (riportato da tutti i quotidiani italiani) rivolto a Mussolini in occasione della “battaglia del grano”, o meglio al “Concorso nazionale del grano per il clero”. N. avrebbe condiviso iniziative del regime, come il dono delle fedi nuziali e la guerra civile spagnola. L’arcivescovo fu capace di ricucire i rapporti con il clero, pur proseguendo sostanzialmente nel solco del predecessore, ovvero rinnovando la struttura territoriale della diocesi, con la creazione di nuove parrocchie, e mantenendo buoni rapporti con le autorità politiche. Dopo la prima visita pastorale nel 1934, convocava tra il 10 e il 12 luglio 1935, il Sinodo diocesano terzo. Mostrò forte preoccupazione pastorale per la moralità, in particolare per i balli e la blasfemia. La guerra fu da lui interpretata nel solco della lettura moralistico-ascetica come castigo correttivo; da allora, però, nel prolungarsi del conflitto prese a manifestare un atteggiamento più decisamente distaccato dal regime fascista. Nella primavera 1943 N. pubblicò una lettera circolare dall’emblematico titolo Il clero e l’Azione Cattolica di fronte a eventuale insorgere di partiti politici: vi invitava il clero, tenuto ad essere al di sopra di ogni partito, a favorire quel partito organizzato dai laici che si ispirasse a principi cattolici, mentre agli iscritti all’Azione cattolica indicava il dovere morale di parteciparvi. Dopo l’8 settembre 1943 N. cercò di mantenersi al di sopra delle parti, occupandosi soprattutto di iniziative di assistenza. Fu cofirmatario del documento ufficiale dei vescovi del litorale adriatico riuniti a Trieste il 14 marzo 1944, e che fu fatto circolare – inascoltato – in tutte le chiese; vi si deploravano il disprezzo e le lesioni per la dignità e i diritti della persona da chiunque fossero perpetrati; si chiedeva a chi esercitava la forza, di non infierire su popolazioni inermi. N. iniziò da allora a interporsi nel tentativo di convincere i partigiani ad astenersi dalle azioni armate per evitare rappresaglie tedesche sulla popolazione, anche se aveva destato perplessità il fatto di aver dato il permesso di predicare al padre Eusebio, francescano fanatico repubblichino. Si prodigò insieme al suo clero in molteplici modi verso il popolo friulano, confortando e assistendo i deportati, soccorrendo le popolazioni depredate e devastate, proteggendo quanti erano braccati dai nazisti, i carcerati, i condannati, i feriti, interponendosi come mediatore per lo scambio dei prigionieri; in tale azione poté giovarsi dell’accorto intervento dell’umanissimo don Emilio De Roia. L’arcivescovo inoltre dette il suo prudente assenso a che alcune figure del clero fossero aggregate come cappellani alle formazioni partigiane: Ascanio De Luca, Redento Bello e Aldo Moretti, che fu il coordinatore dei Verdi. Tra il dicembre 1944 e il gennaio 1945, N. fu l’unico mediatore tra il comando nazista e i partigiani dell’“Osoppo”, anche se pubbliche furono le dichiarazioni di critica verso la sua linea che voleva essere al di sopra delle parti. Durante le trattative di pace a Parigi, N. protestò presso il governatore inglese quale fosse stata l’efficacia della cooperazione che gli italiani avevano dato nella lotta di liberazione. Nel devastato quadro del Friuli postbellico l’arcivescovo prese a rivolgere al clero continue direttive per la ricostruzione e l’organizzazione del laicato, anche allo scopo di fronteggiare il pericolo del comunismo titino. Il problema del comunismo assumeva, infatti, nella regione e nella diocesi friulana un aspetto suo particolare e peculiare, tutto locale, in diretta conseguenza delle mire espansionistiche iugoslave nei confronti dei territori di confine, con indebite ricadute negative e penalizzanti verso la popolazione e il clero di lingua e cultura slava delle Valli del Natisone. E in tal senso si sarebbe connotata la stessa pastorale sia di N., destinata a protrarsi con successive ripercussioni fin dopo il 1955, come il penoso caso giudiziario relativo a mons. Angelo Cracina. Nell’ottobre 1946 furono riformati gli statuti dell’Azione cattolica che, conforme al carattere centralizzante impresso dal pontificato di Pio XII, tendevano a distinguerne l’azione pastorale sua propria da quella politica affidata alla Democrazia cristiana. L’assillo costante di N. era quello di far crescere l’associazionismo cattolico, per il cui incremento e progresso, nel 1947 nominava come suo delegato don Aldo Moretti, personalità vulcanica, dall’intelligenza intuitiva e dall’attivismo irruente e brillante, il quale, per assumere il mandato, pretese, e ottenne dall’arcivescovo, una piena e pubblica fiducia; avrebbe mantenuto la delega fino al 1955. N. pubblicò nello stesso anno la lettera pastorale In vista della Costituzione, dove esprimeva gli intenti – in linea con il programma papale – di ottenere spazi autonomi all’educazione nella scuola, il riconoscimento della religione cattolica. L’organizzazione in vista delle elezioni politiche del 1948 fu brillantemente pilotata sul versante essenzialmente religioso dalla personalità intellettuale, altrettanto carismatica di quella di Moretti, ma rispetto a lui maggiormente coerente, di don Guglielmo Biasutti che la fondava sulla costituzione del Comitato cattolico (poi civico), incentrandola sulla devozionale mariana delle popolazioni friulane come pure sull’ossequio verso l’arcivescovo in occasione dei vent’anni del suo episcopato. Nel giugno 1948 N. sollecitava il clero a reperire le forze del lavoro a indirizzarle verso l’organizzazione presindacale delle ACLI, come strumento di penetrazione sociale. I patronati si sarebbero in breve diramati in ogni forania della diocesi con un delegato per tutte le espressioni lavorative. Dal primo luglio 1949 N. iniziò ad essere tutto occupato dal problema del “pericolo comunista”: mentre curava di spiegare le ragioni essenzialmente religiose della scomunica comminata agli aderenti al comunismo, esprimeva nei confronti del clero un magistero chiaro, dai toni drastici, sottolineando l’importanza del loro ministero educativo e catechetico. Viveva N. quel dramma cattolico che scaturiva dalla percezione di un atteggiamento difensivo programmatica di fronte al montante “spirito del mondo”; questo appannò anche l’apertura al sociale che aveva caratterizzato gli anni precedenti dell’episcopato. Gli ultimi anni di vita di N. furono segnati da un progressivo declino della sua salute; dalla primavera 1953 fu affiancato da mons. Luigi Cicuttini quale vescovo ausiliare. Le sempre più scarse energie di N. vennero assorbite dall’opera di ricostruzione del seminario, fortemente lesionato e in gran parte distrutto dai bombardamenti del 1944. Sarebbe stato inaugurato nel settembre 1956 dal suo successore. Morì il 9 dicembre 1955 ed è sepolto nella cattedrale di Udine.

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Bibliografia

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