ENGHELBERTO III

ENGHELBERTO III (? - 5)

conte di Gorizia

Immagine del soggetto

Il sigillo di Engelberto II, conte di Gorizia e padre di Engelberto III (Novacella, Archivio abbaziale).

Era figlio del conte goriziano Enghelberto II († 1191 circa), da cui prese il nome, che era arrivato nella casata goriziana tramite i parenti della parte femminile, discendenti della stirpe dei Sigardinghi. Sua madre era Adelaide († 1191 circa), figlia del conte Ottone I di Dachau. Oltre a E., nacque da questo matrimonio anche Mainardo II (1158-1231 circa) che, essendo il maggiore dei due figli, assunse dopo la morte del padre il ruolo principale (ma non esclusivo) alla guida della casata di Gorizia. E. compare per la prima volta nel 1183 insieme alla moglie Matilde e al padre Enghelberto II, in qualità di testimone nella controversia riguardante le decime nella città istriana di Rovigno: esse spettavano al vescovo di Parenzo, ma il conte istriano Mainardo di Pisino se ne era appropriato. Allora E. doveva aver già raggiunto la maggiore età, in quanto era già sposato ed era inoltre intervenuto come teste in una questione giudiziaria. Sua moglie Matilde discendeva dalla casata bavarese degli Andechs e suo padre Bertoldo V († 1188) era, a quel tempo, margravio dell’Istria. Mainardo III (1192/1194-1258 circa), nato da questo matrimonio, dopo la morte dello zio Mainardo II passò al comando della casata dei conti goriziani che, in quel periodo, era riuscita ad affermarsi come una delle più importanti famiglie dell’alta nobiltà della zona sud-orientale dell’impero, nel territorio dell’Adriatico settentrionale e delle Alpi orientali. Tale casata avrebbe poi raggiunto il proprio apice sotto la guida di Mainardo IV († 1295) e Alberto I († 1304). Tuttavia Matilde di Andechs-Gorizia morì con tutta probabilità prima del 1194 (forse proprio dando alla luce Mainardo III), poiché E. risultava allora già sposato con un’altra Matilde († 1245 circa), figlia del sopracitato conte Mainardo di Pisino, avvocato della diocesi di Parenzo, che prese il nome anche da Castelnero (Schwarzenburg) e da Šumberk nella Carniola e che era imparentato con il patriarca di Aquileia Ulrico II (della famiglia dei conti Treffen di Carinzia). E. non ebbe figli dal suo secondo matrimonio, ma questa unione aprì definitivamente ai conti di Gorizia le porte dell’Istria. ... leggi Riuscì infatti ad ottenere Pisino e ad impadronirsi, a scapito dei possedimenti della Chiesa, di un ampio territorio all’interno della penisola che divenne poi nel XIV secolo, a tutti gli effetti, una provincia. Pisino, ormai centro dei possedimenti goriziani in Istria, era ufficialmente feudo del vescovo di Parenzo e raggiunse tale obiettivo proprio grazie al matrimonio di E. con Matilde di Pisino che gli consentì inoltre, dopo la morte del suocero, di diventare avvocato del vescovo di Parenzo, anche se in seguito non si fregiò mai di questo titolo. In questa carica viene attestato per la prima volta nel 1194, quando dovette difendere i diritti del vescovo di Parenzo nella controversia riguardante le decime di Rovigno, nella quale aveva coinvolto, conducendoli appositamente al castello di Pisino, i suoi ministeriali, che non erano originari del luogo, ma erano giunti lì insieme a lui. Ciò che interessava maggiormente ai conti di Gorizia non era tanto possedere il titolo di avvocati di Parenzo, quanto quello di avvocati della Chiesa aquileiese che, già dal 1125, era passata in eredità alla loro casata. E. compare per la prima volta col titolo di avvocato di Aquileia nella primavera del 1191, circa una settimana dopo la morte del padre; col titolo di avvocato del convento di Millstatt in Carinzia, che era stato fondato dagli Ariboni, antenati dei conti goriziani, sarebbe stato menzionato invece per la prima volta nel 1201. All’inizio del XIII secolo i due fratelli e conti goriziani Mainardo II ed E. sfruttarono a loro vantaggio la difficile situazione in cui versava il patriarcato d’Aquileia a causa del conflitto con Treviso e riuscirono così a sistemare due questioni che premevano molto alla loro casata. La prima riguardava Gorizia, la loro sede, di cui erano entrati in possesso dopo il 1123 grazie all’unione con la famiglia Spanheim; contemporaneamente però dal 1001 Gorizia era diventata anche proprietà del patriarca di Aquileia, grazie all’atto di donazione di Ottone III. Con la pace raggiunta all’inizio del 1202 fra il patriarca Pellegrino II e i conti Mainardo II ed E. a San Quirino presso Cormons, la questione fu risolta con un compromesso: Gorizia avrebbe continuato ad essere feudo della Chiesa aquileiese, appartenendo comunque ai conti goriziani sia per linea maschile che femminile. Questo significava “de facto” che i conti goriziani potevano disporre di Gorizia senza alcuna limitazione, fatto che si verificò per la prima volta già nel 1210 quando Mainardo II (senza menzione di E.) ottenne dall’imperatore Ottone IV (e non dal patriarca aquileiese, in qualità di principe friulano) il diritto di avere un mercato settimanale a Gorizia. L’altra controversia, che i due conti goriziani riuscirono a volgere a loro vantaggio, riguardava i diritti loro spettanti in qualità di avvocati d’Aquileia. La sentenza pronunciata alla fine del 1202 a Cividale è uno dei rari documenti che descrivono dettagliatamente i diritti e i doveri dell’avvocato del vescovo e che illustrano chiaramente l’enorme potenziale che questa carica offriva ai conti goriziani, non solo in termini economici, ma anche di potere. Nel periodo successivo, a quanto sembra, E. si trasferì nei possedimenti che la sua famiglia aveva in Carinzia dove condusse poi una vita più ritirata, lasciando la scena al fratello – che viene infatti menzionato più volte al seguito del sovrano e al Reichstag. Apparve ancora in un ruolo importante soltanto una volta, tra il 1218 e il 1220, quando dopo la morte del patriarca Folchero il parlamento friulano lo elesse governatore generale del Friuli durante la vacanza di sede. Continuò a rivestire questo ruolo anche dopo l’elezione a patriarca di Bertoldo di Andechs e contribuì in modo determinante a soffocare la rivolta della nobiltà friulana. Viene menzionato per l’ultima volta ancora in vita nel 1220, quando, con l’autorizzazione del patriarca e del parlamento friulano, condusse con i rappresentanti di Padova le trattative per un patto di reciproca alleanza. Morì il giorno 5 settembre, molto probabilmente dello stesso anno, e la sua morte fu registrata nel necrologio del monastero di Rosazzo.

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Bibliografia

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