BIANCHINI DOMENICO DETTO ROSSETTO

BIANCHINI DOMENICO DETTO ROSSETTO (1500 - ?)

liutista, mosaicista

Immagine del soggetto

Mosaico con il profeta Zaccaria realizzato da Domenico Bianchini su modello dello Schiavone (Venezia, chiesa di S. Marco).

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Frontespizio dell'Intabolatura de lauto... libro primo, antologia strumentale di Domenico Bianchini, Venezia 1546.

La ricostruzione della vicenda biografica di questo mosaicista e musicista, soprannominato “Rossetto” a detta del Fétis per il colore dei capelli, presenta ancora molti interrogativi nonostante le indagini accurate svolte da diversi studiosi e la ormai folta bibliografia disponibile sul suo conto. Incerti restano, ad esempio, il luogo d’origine (Venezia secondo Francesco Caffi, Udine secondo Arthur J. Ness, Spilimbergo o zone limitrofe secondo Gilberto Pressacco), la data di nascita (in mancanza di documenti collocata convenzionalmente attorno al 1510) e le tappe della sua formazione in ambito musivo e musicale, mentre è noto che era figlio di Giovanni Antonio dei Bianchi, barbiere in Udine. Delle due carriere la meglio documentata è quella di mosaicista, probabilmente favorita dal fratello maggiore Vincenzo che lavorò ai mosaici di S. Marco a Venezia dal 1517 al 1563, con un’interruzione dal 1524 al 1532 a causa di due condanne penali. Il B., dopo essere stato ammesso alla corporazione dei maestri mosaicisti, il 21 agosto 1537 fu assunto nella fabbrica di S. Marco e qui poi lavorò probabilmente per tutta la vita, prima assieme al fratello Vincenzo e al nipote Giovanni Antonio, poi autonomamente. Documenti dell’Archivio notarile di Venezia attestano come nel 1540 e nel 1544 i procuratori di S. Marco, soddisfatti per il suo lavoro, gli abbiano aumentato il salario, mentre nel 1551 lo abbiano richiamato unitamente al fratello per «non aver usata quella diligentia che si conveniva» nella rappresentazione dell’Albero genealogico della Vergine (in quella circostanza il Rossetto si giustificò dicendo che non lui ma il fratello attendeva a quella scena, mentre egli era impegnato all’altare di S. Giacomo). Nel 1563 D. B. fu chiamato a testimoniare contro i fratelli Zuccato, mosaicisti nella basilica, accusati di aver usato il pennello e non le tessere per i mosaici, ma egli preferì non prendere posizione (le vicende di questo processo furono liberamente interpretate nel romanzo le Maîtres mosaïstes scritto nel 1837 da Georg Sand ove i Bianchini vennero tratteggiati come intriganti e grossolani). Due anni più tardi i procuratori lo gratificarono con un donativo, ma la sua situazione economica non doveva essere florida se nel maggio del 1566 i suoi figli e la moglie versavano in «maxima miseria» e per di più erano malati, tanto che furono loro concessi sussidi pubblici. ... leggi Nell’autunno di quell’anno, al termine di un concorso per stabilire una graduatoria di merito tra i mosaicisti operanti nella basilica, si vide piazzato ultimo, ma gli venne riconosciuto dai giudici (J. Sansovino, P. Veronese e Tintoretto) di aver «più degli altri eseguito con puntualità l’invenzione», probabilmente il S. Gerolamo penitente oggi visibile sulla parete sud della sacrestia. Negli anni seguenti portò a termine diverse realizzazioni, ancora oggi visibili nella basilica di S. Marco: Cristo che risuscita il figlio della vedova di Naim e la Guarigione miracolosa della Cananea su cartoni forniti da F. Salviati (1510-1563), l’Ultima cena, i SS. Processo e Martiniano e un S. Michele Arcangelo su cartoni del Tintoretto (1518-1594). Al B. si deve anche la figura del profeta Zaccaria su modello di A. Meldolla detto lo Schiavone (1515-1563), un S. Giovanni Battista eseguito nei primi anni di attività, ma in seguito sostituito dall’immagine del Profeta Isaia realizzata da G. D. De Santi, oltre ad alcune collaborazioni con il fratello e il nipote. Dal 1570, a seguito di una sua richiesta, ottenne un’indennità «essendo maestro vecchio nell’arte e servendo la giesia di San Marco da tanti anni». Il suo nome compare un’ultima volta nei registri dei procuratori il 13 luglio del 1576 quando il proto di S. Marco, Simone Sorella, convalidò alcuni suoi lavori musivi. È probabile sia morto a causa del contagio pestilenziale che allora decimava la popolazione della Dominante. Se questo è il profilo del mosaicista, molto meno è noto circa l’attività del musicista che trova riscontri solamente in due testimonianze letterarie e in alcune stampe musicali. La prima testimonianza si deve al poligrafo A. F. Doni (1513-1574) che nel suo Dialogo sulla musica (Venezia, G. Scotto, 1544), tra i musicisti che insieme a G. Parabosco animavano le serate musicali veneziane con «musica […] bonissima» (un ensemble composto da due cantori, un flauto traverso, due viole, due cornetti, un cembalo, un liuto e un violone), ricorda anche D. B. suonatore di liuto; la seconda è del commediografo A. Calmo (1510 circa-1571) che in una sua lettera, volendo lodare le doti liutistiche di una certa madonna Calandra veneziana, la fa superiore ad Apollo, Mercurio, Orfeo e ad una lista di grandi liutisti suoi contemporanei tra cui compare appunto anche «Domenego Rossetto». Certamente queste citazioni indicano che godeva di una buona fama nell’ambiente veneziano e che la sua attività di liutista non era circoscritta all’ambiente privato e familiare. Ulteriore conferma viene data dalla fortunata antologia strumentale Intabolatura de lauto […] di recercari, motetti, madrigali, canzon francese, napolitane et balli […] libro primo, Venezia, Antonio Gardane, 1546, che D. B. compilò scegliendo e trascrivendo per liuto 27 brani perlopiù di autori di area franco-fiamminga (tra essi si riconoscono N. Gombert, J. Arcadelt, J. Berchem, P. Certon, C. de Sermisy, A. Willaert, J. Richafort, G. Segni e forse G. Cavazzoni) e di diverse tipologie (6 ricercari, 1 mottetto, 3 madrigali, 6 chansons francesi, 1 napolitana e 10 balli). Il suo contributo creativo consiste nella intavolatura, ossia riscrittura per liuto, di pezzi composti per voci e/o altri strumenti, nell’armonizzazione di alcune danze popolari veneziane e di una canzone. La silloge, dedicata ai mercanti del Fondaco dei Tedeschi, coi quali forse il B. era in affari, ebbe l’onore di almeno altre due edizioni veneziane, con il medesimo contenuto, ma senza la dedica, nel 1554 e nel 1563, rispettivamente per i tipi del Gardane e dello Scotto, circostanza non molto frequente per questo tipo di musica e segno di un favore duraturo se si considera che 17 anni separano la prima dall’ultima edizione. Inoltre ben undici brani tratti dall’edizione del 1546 furono riediti trascritti nel sistema di intavolatura tedesca in un’antologia compilata da Hans Gerle comprendente una scelta dei più famosi liutisti italiani tra cui Francesco da Milano, Antonio Rotta, Giovan Maria da Crema: Ein newes sehr Künstlichs Lautenbuch, darinen etliche Preambel, uund welsche Tentz, mit vier Stimmen, Nürnberg, H. Formschneider, 1552. Un altro brano, sempre tratto dall’edizione del 1546, riapparve trascritto in intavolatura francese nella ricca antologia Hortus Musarum curata ed edita da Pierre Phalèse a Lovanio nel 1552. Infine quattro pezzi intavolati per liuto del B. si conservano manoscritti in quattro diverse biblioteche: nella Fürstlich Fürstenbergische Hofbibliothek di Donaueschingen (ms G I 4, II, ff. 56v-57: Creator omnium di Willaert), nella Bayerische Staats bibliothek di Monaco (ms 1511b, ff. 14 e 16v: Bre gan tino di anonimo), nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda (un mottetto di Willaert) e presso l’archivio del duomo di Castelfranco Veneto (ms 240, ff. 82v-83v: parte di una Padoana milanese). Questo è quanto si sa del B. musicista: la sua opera musicale, pur modesta in termini quantitativi, è tra le più interessanti nel panorama liutistico rinascimentale e la sua antologia ha avuto in anni recenti alcune ristampe anastatiche (Köln, 1977; Neuss am Rhein, 1977; Genève, 1982).

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Bibliografia

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