BIANCONE GIROLAMO

BIANCONE GIROLAMO (1520 - 1589)

poeta

Figlio di Andrea, gastaldo di Tolmezzo nei trienni 1524-26 e 1530-32; fratello di Francesco, gastaldo per nove anni consecutivi, dal 1543 al 1551 (ricoprirono la carica anche altri due suoi fratelli: Mattio dal 1554 al 1556, e Leandro dal 1557 al 1559), G. nacque, probabilmente a Tolmezzo, verso il 1530. Trascorse buona parte della sua vita negli strascichi di quella terribile faida nobiliare che culminò nella «terribil zobia grassa» del 1511, nella quale sembra che i B. parteggiassero per i Colloredo e gli “strumieri”, contro i Savorgnani e “zamberlani” e i loro sostenitori tolmezzini, gli Ianis e i Cillenio. Un episodio di quella faida fu l’aggressione, l’11 marzo 1553, a Zuan Leonardo Pozzo di Venzone, ma abitante a Tolmezzo (e collegato ai B.), da parte di Bartolomeo ed Eustachio Ianis. A delitto compiuto accorsero, in vista di una (subito smorzata) possibile vendetta, anche Mattio B. ed i suoi fratelli, tra essi G. Un episodio molto più atroce fu il massacro degli Ianis perpetrato il 31 dicembre 1559 da Mattio B. e dal suo servo Gregorio Visintin «armati de archibusi prohibiti et cortellazzi» nella sala del consiglio tolmezzino, e poi fin dentro le loro case. Perirono quattro membri della famiglia Ianis e il loro notaio di fiducia Francesco Rosso, detto Zecotto. Mattio e Gregorio Visintin vennero banditi, condannati a morte in contumacia, e la casa dei B. nel 1560 fu spianata dalle fondamenta. Nel 1568 a S. Giovanni Battista alla Giudecca Mattio B. fu tra i protagonisti della pacificazione tra i Colloredo ed i Savorgnano, che avrebbe dovuto mettere fine alla faida. G. B. per l’occasione scrisse un sonetto caudato Sore la paas dai signors Colorez e Savorgnians; sono state ritrovate e pubblicate due lettere (1574 e 1576) della sua corrispondenza con Marzio Colloredo (uno dei principali protagonisti della contesa). Si collega alla sequenza di morti ammazzati per punto d’onore anche il sonetto Sore lu clarissim misser Francesch Viniir lutignint d’Udin dal 1568, col pressante ed accorato invito a metter ordine in un Friuli che «è di rissis deventaat un maar». G. B. sposò Olimpia, figlia di Giorgio Elt di Gemona, appartenente ad una famiglia dalle ormai lontane origini salisburghesi; discordanti sono gli elenchi dei loro figlioli, tra i quali i registri parrocchiali tolmezzini documentano soltanto Giuseppe Rizardo (n. 1565), Leandro Antonio (n. 1567), Biancafior Florinda (n. 1569), Antea (1575); ma ve n’erano certamente altri due, Marzio (nome forse significativo in relazione al patrono Colloredo) e Claudia. ... leggi Nel 1570 G. B. fu testimone reticente al processo intentato dal Sant’Officio a carico di Matteo Bruno di Tolmezzo per adesione e propaganda delle dottrine riformate. A lungo si è sospettato che anche G. B. nutrisse simpatie eterodosse: sospetti, invero, fondati su fragili fraintendimenti che non hanno retto alla prova documentaria; né li autorizzano i destinatari di alcune sue opere letterarie: non il sonetto caudato al vicario patriarcale Iacopo Maracco, fiero e meticoloso esecutore dei dettati tridentini («Al mirabil Marach lu Blancon»); non i quattro sonetti variamente caudati al medico Giuseppe Daciano, il cui schieramento nel campo della Controriforma appare senza tentennamenti («Sore misser Ioseph Decian phisic d’Udin»); non l’ottava all’ambiguo Giovanni Spica, organista e precettore a Gemona, inquisito per la detenzione della Confessio Augustana e dell’Apologia confessionis Augustanae, e tuttavia causa dei guai col Sant’Officio di Marc’Antonio Pichissino nel 1574, e delatore sul conto del maestro tolmezzino Nicolò Cillenio e del medico Cipriano Brandolino («Mostrasi ogn’hor Giemona et ogni aprica»); e nemmeno il sonetto in memoria di Salome, moglie di quel Giorgio della Torre, che pure aveva ospitato nel 1563 Primož Trubar a Gorizia, ed aveva raccolto nella sua casa una ricca collezione di libri eterodossi, dunque decisamente compromesso con la Riforma («Discolorato hai, Morte, quel bel volto»). Il sonetto per Salome di Munsterberg è l’unica opera stampata durante la vita dell’autore, nella silloge Oratio in funere […] dominae Salomes ducis Munsterbergi et Olseni in Silesia […], edita a Venezia nel 1567. La sua “discrezione” editoriale delinea un poeta schivo ed appartato, e tuttavia in corrispondenza con molte delle personalità della vita culturale friulana cinquecentesca: da Riccardo Luigini a Nicolò Morlupino a, con ogni probabilità, Girolamo Sini con i quali intessé un dialogo-dibattito poetico sulla lingua friulana; da Fabio Quintiliano Ermacora a Paolo Rigolino a Giuseppe Daciano; e con opere tra le più singolari e di migliore qualità della produzione coeva. Tali sono certamente gli Avvertimenti cristiani, ventiquattro ottave di endecasillabi molto sorvegliati, e di notevole perfezione formale, ma insieme trepidi e partecipi. Gli Avvertimenti cristiani sono una lunga e meditata parafrasi dei versetti evangelici sui «segnali» escatologici: le guerre tra regni, le epidemie, le carestie, i terremoti, ma anche una tiepida primavera anticipata, la recente vittoria di Lepanto, la comparsa di una stella straordinaria e splendente sono avvenimenti cui il B. ebbe modo di assistere nel corso dei quarant’anni di sua vita. Ma, letti alla luce dei versetti evangelici e della fede cristiana, sono “segnali” da interpretare e da seguire. Stanno ad indicare che la «redenzione» è vicina per l’umanità, e per lui stesso; solo che, per lui stesso, la «redenzione» coincide con la fine della vita. E con uno straordinario avvio commiserativo («Povar Blancoon, a di chest pas vignuut»), comincia la parte dedicata alla riflessione sulla sua «redenzione» personale: dalla constatazione di essere quasi cieco e molto malridotto, all’accettazione di queste e di peggiori miserie quali punizione e purgazione, occasione e modo di sublimazione ascetica, personale «segnale» da riconoscere ed accettare («ed accettarai siimpri par segnaal / dal vuestri grand amoor ogni mio maal»). La religiosità alta, tesa, intima, e la sequenza di versi non hanno corrispettivo nella poesia in friulano e friulana dell’epoca. G. B. morì in un giorno imprecisato tra il 18 gennaio 1589 e il 31 marzo 1593.

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Bibliografia

Tolmezzo, Archivio parrocchiale, Liber baptizatorum Tulmetii ab anno 1565 ad annum 1570, f. 3v, 16v, 77r; ab anno 1584 ad annum 1604.

Rime in Oratio in funere ill. et ecc. principis et dominae Salomes ducis Munsterbergi et Olssenii in Slesia, comitis et liberae baronissae a Turri et s. Crucis, domine Lipnizi et Theudtshenbrodthi, cum naeniis Latinis atque Italicis insignium poetarum, Venezia, Valgrisio, 1567.

G. PERUSINI, Un poeta friulano del Cinquecento, «Ce fastu?», 14/1 (1938), 89-92; 14/2 (1938), 145-149; P. RIZZOLATTI, Osservazioni su alcuni componimenti inediti di G. B., «Ce fastu?», 61 (1985), 287-318; FERIGO, Morbida facta, 7-73; R. PELLEGRINI, Versi di Girolamo Biancone, Udine, Forum, 2000; G. FERIGO, Ce ch’al jodè e nol jodè Blancon […]. Tre note su Girolamo Biancone, «Metodi e ricerche», n.s., 21/1 (2002), 33-52.

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