CANDONI LUIGI

CANDONI LUIGI (1921 - 1974)

commediografo, pubblicista, animatore culturale, impresario

Immagine del soggetto

Il commediografo carnico Luigi Candoni.

Fu pubblicista, animatore culturale, anche sporadico romanziere e poeta, drammaturgo e scrittore per la radio e per il cinema. Tre tappe ritmano la breve esistenza di C., che, nato a Cedarchis di Arta Terme (Udine) nel 1921 da Enrico, costruttore edile, e Maria Londero, morì a Udine nel 1974. Costretto ad accelerare gli studi, per contribuire all’economia familiare compromessa dalla morte prematura del padre, avvenuta ad Asmara nel 1935, si diplomò geometra appena sedicenne all’Istituto tecnico Zanon di Udine, dove la famiglia si era trasferita. In seguito, al rientro dagli Stati Uniti, dove era stato prigioniero di guerra a Washington, presso il campo di Forte Meade, si laureò nel 1945 all’Università di Trieste in economia e commercio e dal 1950 fu assunto come segretario generale della SAFAU udinese. C. coltivò in parallelo la vocazione drammaturgica con vari esercizi di scrittura, culminati nel 1953 con il premio Murano al testo Un uomo da nulla, subito rappresentato in quell’anno, il 30 giugno, dalla Compagnia primaria Diana Torrieri, con Enrico Maria Salerno e per la regia di Gianfranco De Bosio, alla Fenice di Venezia. Sempre al 1953 risale Il desiderio del sabato sera (prima rappresentazione il 14 marzo 1958, con Enrico Maria Salerno, al Teatro Stabile di Genova). Era un feroce affresco sul dramma dell’emigrazione in Carnia, che travolge in un comune destino di sconfitta le donne abbandonate dagli uomini, ma soprattutto era un «importante momento di passaggio» (Paolo Patui), nell’esaurimento di una scrittura ancora tradizionale e di gusto naturalista. Febbrilmente impegnata nella sperimentazione di nuove soluzioni formali, tra sensibilità di ambito esistenzialista e inclinazione al teatro dell’assurdo o al montaggio da cabaret, fu perciò la seconda fase avviata a Roma, dove C. si trasferì nel 1954, anche allo scopo di una definitiva sprovincializzazione. ... leggi Da allora, su illustri palcoscenici, molti interpreti di cartello si cimentarono sui suoi testi, da Camillo Pilotto a Valentina Fortunato, Alberto Lupo, Corrado Pani e Paola Borboni. L’impegno di C. era tuttavia orientato a battere vie più alternative di iconoclastia teatrale, così da collocarsi all’esterno del sistema “ufficiale” e spesso su posizione di aperta polemica. Divenuto impresario di se stesso, C. organizzò dal 1956 al 1962, presso il Teatro dei Satiri, già Teatro Pirandello, un originale Festival delle novità, per rassegne di allestimenti di testi contemporanei, suoi e di altri, come Tennessee Williams (presente alla prima nazionale del suo Proibito), Adamov, Eugéne Jonesco (in prima mondiale, nel 1957, per Il nuovo inquilino), Jean Genet e soprattutto Samuel Beckett (il suo Fin de partie, su traduzione di C., fu in prima nazionale nel 1958 per la regia di Andrea Camilleri). Fu una fervida fucina di rifondazione teatrale da «Ora zero», come C. titolò la sua rivista d’avanguardia, inaugurata nel 1958 a corredo anche teorico della propria creatività di animatore e d’autore, che si diramò con barocca esuberanza quantitativa nel doppio binario («freddo e «caldo», disse), da un lato, dell’aggressiva vena satiricocomica e, dall’altro, del dramma di idee, con ambizioni moralistiche e velleità filosofiche. Vertici di questa operosità “romana” sono Edipo a Hiroshima del 1961 (prima allo Stabile di Torino, 1963, per la regia di Roberto Guicciardini) e Sigfrido a Stalingrado del 1964 (prima nello stesso anno, 24 febbraio, allo Stabile di Firenze, regia di Di Martino), in cui lo spunto d’attualità preso a traliccio (rispettivamente, il “day-after” nucleare e la tragedia della guerra) è sollevato sul piano universale e metastorico degli archetipi, nel dibattito eterno tra menzogna e verità e, anche per le soluzioni formali, supera il realismo in “transrealismo”, con simbolico scivolamento dei piani temporali e con l’uso di suggestioni plurisensoriali, visive e acustiche (voci registrate, diapositive, filmati), intrecciate al parlato. Questa fecondità non venne meno neanche nella terza fase degli anni Settanta, quando C., ormai minato da una malattia implacabile, rientrò in Friuli. Il suo nome si legò allora ad un nuovo attivismo: la fondazione nel 1969 della Compagnia Teatro Orazero, con sedi a Udine, Padova e Roma, e nel 1970 la creazione del premio Arta Terme per atti unici di destinazione radiofonica o con note per versioni televisive. Sempre al 1970 risale il singolare esperimento di “Offplay” (poi proseguito, ma in tono minore, nel 1971 e nel 1972), strutturato come happening a tema, ma aperto e irripetibile, per nove giorni di rappresentazioni, improvvisazioni, dibattiti-provocazione, decentrati sul territorio e attivati fuori dal luogo deputato della sala teatrale. Il percorso a tappe era pensato per convergere nella giornata di chiusura, in cui erano montate le tante reazioni del pubblico raccolte durante il percorso e (fu il caso della prima edizione dell’esperimento) era finalmente svelato il mistero dell’acronimo PUGTAUS (Per Un Grande Teatro A Udine Subito) stampigliato sul misterioso mattone precedentemente spedito a degli ignari destinatari udinesi. Per C. era anche un simbolico distacco dal proprio lavoro di drammaturgo, ora quasi azzerato al ruolo di assemblatore di frammenti “spontanei” di altri, dopo tutta una vita professionale di infaticabile difesa del ruolo dell’autore rispetto al trionfo del teatro di regia, e poi dei “collettivi”, e alla conseguente nuova supremazia dell’evento spettacolare sul testo. Ma, come autore, C. si ripropose ancora in un ultimo lavoro da congedo definitivo, Strissant vie pe gnot (1974, premio Società filologica friulana e prima rappresentazione con il Piccolo Teatro di Udine, per la regia di Rodolfo Castiglione) che, in quanto unicum in friulano (a parte Desideri da sabida sera, tradotto dall’italiano), assume quasi le valenze simboliche della regressione ancestrale ai motivi e alla lingua delle prime origini. Generoso, eclettico, mobilitato dalla foga battagliera e dalla ricerca permanente di temi e forme nuovi, l’ingegno letterario di C. si motiva nel quadro ansioso del secondo dopoguerra italiano, subito incupito dall’incubo atomico e, poi, dalle prime avvisaglie della mentalità edonista e consumista. Al centro vi è dunque la crisi dell’uomo contemporaneo, smarrito tra il tramonto dei valori tradizionali e la tensione spirituale alla ricerca della verità e al recupero dell’umanità. Questa dialettica tra male storico e bene morale, tra pessimismo e idealismo, pervade tutta la multiforme attività di C., ma trova particolarmente nella scrittura per il teatro (di un teatro-contro e di rottura) lo strumento espressivo più assorbente e originale, sia pure con cadute nella dispersione in troppi rivoli e nel facile orecchiamento delle più avvertite tendenze dell’avanguardia europea. Il paese natale ha dedicato al nome di C. un’associazione culturale, ubicata a Piano d’Arta, in via Montefiore 8, e variamente impegnata in iniziative tese alla valorizzazione della figura del grande conterraneo e, in generale, della cultura del territorio.

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Bibliografia

G. CALENDOLI, Una storia non inventata, «Orazero», 2 (1958), 20; M. R. BERARDI, Candoni o del trans realismo, ibid., 36 (1970), 29-34; A. BRAGAGLIA VIGLIANI, Messaggio di Candoni, ibid., 53 (1977), 71-73; S. SARTI, Il sipario chiuso, ibid., 63-66; P. PATUI, Luigi Candoni. Un sipario ancora aperto, Udine, Ed. Orazero, 1987, 53-65; A. FELICE, Luigi Candoni ovvero la vitalità del pessimismo, «Sot la nape», 52/2 (2000), 71-74.

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